Un mondo da rifondare [di Maria Antonietta Mongiu]

Gramsci

L’Unione Sarda 20 marzo 2020. “Istruitevi, perchè avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perchè avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perchè avremo bisogno di tutta la nostra forza”. Questo l’esergo con cui Antonio Gramsci, Segretario di Redazione (si definisce proprio così!), inaugura la Rivista L’Ordine Nuovo (Rassegna settimanale di cultura socialista anno I, n. 1, 1° maggio 1919).

Quelle sei righe sono in un rettangolo, sotto il titolo, a sinistra in alto, in simmetria con un altro contenente l’indirizzo della Redazione, il costo, per numero e abbonamento, possibilità di utilizzare il Conto Corrente alle Poste.

Pragmatismo insospettato solo per chi non conosca scritti e pensiero dell’intellettuale sardo; che illumina le frasi con cui Gramsci sembra costruire accattivanti slogan, diventati persino pop in anni recenti. Si tratta piuttosto di aforismi che operano su molti registri; interdipendenti da quel “Pessimismo dell’intelligenza. Ottimismo della volontà” che fece suo l’anno dopo e che, grazie a lui, è bussola negli smarrimenti e sconvolgimenti della contemporaneità.

Due diamanti nel buio del primo dopoguerra terrorizzato dall’epidemia spagnola che si sommava alla catastrofe bellica diventata, nelle nostre comunità, narrazione dei sopravvissuti che si chiudeva, nel racconto e nella realtà, con miracolose guarigioni. In gara con quelle, esclusivamente maschili, più pudiche per la casuale salvezza da una guerra altro dalle geografie consuetudinarie.

In quella doppia disfatta un altro sardo, Emilio Lussu, costruì un vademecum per oltrepassare finitezza e morte che avevano dimidiato famiglie e paesi per la perdita dei più deboli e dei più forti. “Un anno sull’Altipiano” dichiarò definitivamente, all’indomani della morte di Gramsci, inutilità e banalità della guerra.

Ma è Gramsci che traccia l’orizzonte risolutivo di ogni caduta. Sembra che in lui agisca il senso più profondo di una parola ben radicata nel suo irriducibile sostrato.

Scrive nell’Editoriale di presentazione del settimanale: “La guerra ha generato, coll’enorme distruzione di ricchezze, col crollo degli ideali e degli organismi sociali, un profondo turbamento da cui è stolto pensare si possa uscire in breve tempo facilmente. Nessuno può pretendere di avere la ricetta magica che da un giorno all’altro cancelli dalla faccia della terra ogni traccia del tremendo passato”.

La parola che fa sintesi dell’essenza del suo ragionamento è apocalisse, da millenni assai frequentata quanto abusata, il cui significato e senso reca ogni possibile declinazione di speranza, di via di uscita, di salvezza perché insiste sul disvelamento di futuro.

Ecco allora la rivelazione laica, democratica, pragmatica di ” Istruitevi [..] Agitatevi [..] Organizzatevi[..]”,  di cui in carcere, dieci anni dopo, farà intendere la profonda connessione con la politica: “Il grande politico perciò non può che essere «coltissimo», cioè deve «conoscere» il massimo di elementi della vita attuale; conoscerli non «librescamente», come «erudizione» ma in modo «vivente», come sostanza concreta di «intuizione» politica (tuttavia perché in lui diventino sostanza vivente di «intuizione» occorrerà apprenderli anche «librescamente » ).

Anche in questa guerra o pandemia si prospettano possibilità e opportunità straordinarie. Bisogna volerle. A quelli che Gramsci chiama “problemisti” bisogna ricordare che già oggi registriamo quanto spontaneamente si stia riorganizzando la scuola come comunità pensante, con soluzioni e vitalità impensabili; quanto si stiano rifondando le strutture sanitarie; quanto stiano operando volontariato e relazioni interpersonali.

E la politica? E i decisori? E la Sardegna?

Praticare la politica è cosa complessa perché orientare e organizzare un corso storico ha bisogno di tutta la nostra intelligenza, passione, organizzazione, visione ovvero di competenze diffuse e individuali. La politica senza cultura e progetto si riduce a dominio. Coraggio allora oggi è già domani. Anche in Sardegna, per oltrepassare la crisi di autorità e la pandemia, la via di uscita è la sua rifondazione. Non è forse la patria di Gramsci e di Lussu che hanno fornito la cassetta degli attrezzi al mondo?

*Illustrazione di Agostino Iacurci

One Comment

  1. alberto bionducci

    Cara Maria Antonietta, gentili frequentatori di queste pagine,
    prendo spunto da un libro a firma dello scrittore americano Crane che racconta gli stati d’animo di quattro naufraghi in balia di un mare tempestoso che li sospinge su una scogliera.
    I quattro lottano eroicamente per non farsi sopraffare ma nei momenti in cui il mare concede brevi tregue i loro straordinari colloqui volano sulle tante cose che avrebbero fatto una volta toccato terra in salvo.
    Il tutto è assimilabile a quanto stiamo vivendo oggi: noi che non siamo impegnati in trincea dobbiamo aiutare noi stessi ma anche e soprattutto quelli che lottano senza tregua impegnandoci a far si che la ripartenza sia la migliore e la più veloce possibile.
    Sto qui proponendo la creazione di più gruppi di lavoro tematici che mettano a punto proposte da fornire alla politica da presentare non appena , finito il combattimento, si dovranno ricostituire quasi tutti i gangli della vita comune.
    Non è difficile scandagliare le attività più vitali partendo dalle valutazioni di cosa sarà veramente cambiato per noi sardi alla fine dell’emergenza.
    Queste valutazioni vanno fatte ora , aspettare che si realizzino i cambiamenti ci vedrà perdenti come al solito.
    Possiamo scandagliare gli umori e verificare la fattibilità?
    Grazie per l’attenzione
    Alberto Bionducci

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