Grazie, donna Giulia. Per noi sarai una Sarda Mater [di Maria Antonietta Mongiu]

giulia

L’Unione Sarda 20 luglio 2020. Il Ricordo. «Poco importa in qual misura e in qual maniera la finzione si ispiri alla realtà: essa si edifica solo polverizzandola per farla rinascere a un’altra esistenza. Le comari intente a frugare nella cenere si lasciano sfuggire ciò che un libro può offrire loro», così Simone de Beauvoir in “La cerimonia degli addii”.

Sintesi che si attaglia ad una biografia intensa quale quella di Giulia Maria Crespi o donna Giulia come la chiamavano, cosa che la restituiva ad una dimensione addirittura campagnola. Un titolo di merito che la sottraeva alla “razza padrona” o peggio al jet set a cui la ascrivevano i suoi detrattori che, cultori di una pedagogia abigeataria, fraintendevano il suo pignolo rispetto del paesaggio rurale di Cala Trana a Palau, luogo di elezione.

Quel rigore la autorizzava a dirsi sarda, non di adozione. Chi l’abbia conosciuta sa che sosteneva che lo era da una vita precedente e il primo viaggio in Sardegna ne fu conferma. L’agnizione era una fabulosa narrazione di un’empatia verso un paesaggio che conosceva già prima di averlo visto, come l’innamoramento che nasce da una conoscenza che si crede pregressa e da una densità di umori, sensazioni, odori. Chimica, si dice.

Le poche volte di tanto miracolo, si diventa intransigenti custodi dell’oggetto d’amore. Lei fu attivista persino insofferente di una appartenenza mai dismessa alla nostra isola. Ecco perché chi volesse vedere la Sardegna della costa prima delle cementificazioni variamente imbellettate e falsamente sostenibili, specie quando le quinte sceniche del verde mimetizzano l’orrore autorizzato da classi dirigenti eterodirette e, talvolta, compromesse, può andare a Cala Trana e godersi un’autentica “dialettica del riconoscimento”, prevista dall’art. 9 della Costituzione, della “sarda bellezza” senza ruraleggianti valorizzazioni perché è un paesaggio vero.

Giulia Maria Crespi lo ha capito bene e si giustifica così la sua indignazione perché è una predazione che riguarda l’Italia tutta.  Lo scrive come pochi sono riusciti a fare nel volume “Il mio filo rosso. Il “Corriere” e altre storie della mia vita” di Einaudi che presentammo a Cagliari il 18 gennaio 2016.

Protagonista un vissuto che s’intreccia con il Novecento, con il Corriere della Sera di cui la sua famiglia era proprietaria dall’Ottocento, col gotha di politica, imprenditoria e giornalismo spesso percepiti provinciali e poco leali, compreso Gianni Agnelli che porrà fine nel 1974 alla proprietà del Corriere di Giulia Maria Crespi, nel CdA dal 1962. Con i Moratti, prestanome di IRI e ENI, consentirà l’acquisto del Corriere da parte dei Rizzoli dietro cui c’erano Cefis e Montedison. Sullo sfondo la P2 con ciò che ne consegue soprattutto per l’Italia.

Giulia Maria Crespi? Altro che radical chic. Molto di più che attivista o allieva di Antonio Cederna o mentore di Pier Palo Pasolini o fondatrice del FAI e della nuova agricoltura. Ecco il senso della frase di Simone de Beauvoir. Merita il rango delle Madri Costituenti. In Sardegna di essere insignita del titolo di Sarda Mater alla memoria, come Giovanni Lilliu e Antonio Cao che ebbero l’onorificenza di Sardus Pater in vita. Parleremo ancora molto di lei. Intanto gratitudine per il privilegio di un pezzo di strada al suo fianco.

One Comment

  1. Graziano Bachis

    Giusto riconoscimento.

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