Lo scrittore e la materia dei sogni [di Maria Antonietta Mongiu]

Todde

L’Unione Sarda 30 luglio 2020. La città in pillole. Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e nello spazio e nel tempo di un sogno è raccolta la nostra breve vita.

Giusto commiato per un sommo scrittore la frase da La tempesta di Shakespeare, anche perché l’opera pare riguardarci. Protagonisti soprusi, sopraffazioni, e il Mediterraneo, nello spicchio che è mare sardo e libico, affollato da naufraghi in fuga da una patria perduta e alla deriva verso quella futura che si allontana quando pare a portata di mano.

Salpati da Cartagine e spiaggiati in un’isola deserta in balia di manipolatori e usurpatori, dove la promessa della città futura è affidata alla magia. Parola infida ma risolutiva perché agisce come un’epifania, comunque e sempre.

Se Antonio Romagnino è da considerare di quel sogno chiamato Cagliari, la parte lieve che canta la memoria antica fino a diventare disperato e intransigente difensore della bellezza che va appannandosi o della eredità, dispersa da famelici artigli troppo incolti da intendere persino il senso stesso del misfatto.

Se Sergio Atzeni, guarda la città turrita dai margini sfrangiati che sfumano nella città delle acque interne, sempre cercando di ricucire un qualche nesso la Sardegna, che oltrepassa la cinta daziaria, e la sua storia con un epos che trasforma in mitologia persino lo sfruttamento schiavile delle miniere.

Se Alberto Rodriguez di questo luogo dai bianchi colli, apparentemente risolto nella luce accecante, intravvide con malinconica rassegnazione anche le sue oscure profondità non tanto geologiche quanto dei progetti scellerati, della superficialità o dell’ignoranza avvinghiate al potere.

Giorgio Todde di questa galleria dell’urbano cagliaritano è il ritratto del combattente disincantato.

Mai in contraddizione col mestiere per eccellenza della borghesia urbana che è la professione medica; molto di più col secondo che è fare l’ingegnere; e col terzo che è l’avvocatura.

Mai in contraddizione con le geografie antropologiche e sociologiche perché più simile ad Antonio Romagnino e ad Alberto Rodriguez che a Sergio Atzeni. Ma perennemente ondivago tra l’insuperata leggerezza dei primi e le inquietudini irrisolte dell’ultimo.

Solo così Giorgio Todde poteva oltrepassarle senza negarle con la sua magistrale scrittura, monumentum aere perennius dell’urbano cagliaritano e del suo dominus che è il paesaggio, di cui fu, negli anni maturi, indefesso militante.

La sua potente parola sarà più duratura del bronzo perché è fatta della stessa sostanza del sogno e perché si è fatta spazio pubblico. Grazie Giorgio.

 

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