Continua lo scontro fra la Regione Sardegna e il Governo sulla Legge Scempia-coste sarda. Di nuovo a Palazzo della Consulta [di Francesca Pedace]

Consiglio Raegionale

https://www.pausania.it/ 17 Agosto 2020.  Pochi giorni fa il Consiglio dei Ministri ha deliberato di impugnare ben 11 leggi regionali fra cui la L.R. sarda 17/2020 recante modifiche alla L.R. n. 22/2019 in materia di proroga di termini in tema di interpretazione autentica del PPR e Piano casa.

A renderlo noto il comunicato stampa del 7 agosto 2020 dello stesso Consiglio: «la legge regionale, che reca il differimento di alcuni termini contenuti in precedenti leggi regionali è censurabile relativamente alla disposizione contenuta dell’articolo 1 che (…) viola l’art. 3 dello Statuto speciale della Regione (…) e la potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio di cui all’art. 117 co. 2 lett. s) della Costituzione, rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio».

Oggetto dello scandalo è il fatto che la norma contenuta nell’art 1 della legge in esame è volto a disporre un’ulteriore proroga delle disposizioni temporanee di cui al Titolo II – Capo I “Norme per il miglioramento del patrimonio esistente” della L.R. n. 8/2015, protraendo ulteriormente l’efficacia di una disciplina a carattere derogatorio rispetto agli strumenti urbanistici così riformati sulla base delle disposizioni del “Piano casa”.

Ab origine, infatti, la disposizione era destinata ad avere un’applicazione temporale estremamente limitata tanto che, all’art. 37 co. 1, nel suo originario tenore, essa riportava che: «le disposizioni di cui al presente capo si applicano fino all’entrata in vigore della nuova legge regionale in materia di governo del territorio e comunque non oltre il 31 dicembre 2016».[1]

Dopo ciò, tuttavia, si sono susseguite una serie di altre leggi (la L.R. 33/2016, 26/2017, 8/2019, 22/2019) le quali hanno prorogato i termini sino al 30 giugno 2020. La L. 17/2020, salve impugnazioni, proroga ulteriormente detto termine sino al 31 dicembre 2020.

In sostanza, con detta ennesima proroga, la Regione Sardegna perpetua ulteriormente una disciplina derogatoria introdotta per la prima volta nel 2009 che, pur se con successivi adeguamenti, consente sin da allora la realizzazione di nuove volumetrie in deroga alla pianificazione urbanistica e ciò anche nelle aree sottoposte a tutela paesaggistica.

La finalità normativa era originariamente quella di consentire interventi “straordinari” per un periodo temporalmente limitato mentre le continue proroghe stanno conducendo ad una sostanziale stabilizzazione di una situazione altrimenti illecita. Il Mibact, in particolare, aveva sottolineato che il rinvio dei termini del Piano casa è «l’ennesimo di una disciplina introdotta nel 2009 che consente la realizzazione di nuove volumetrie in deroga alla pianificazione urbanistica, anche nelle aree sottoposte a tutela paesaggistica».

Nello specifico, le impugnative del CdM riguardano la legge di interpretazione autentica del PPR – fortemente voluta dalla maggioranza per poter concludere la quattro corsie Sassari-Alghero e oggetto di forte scontro con l’opposizione – e la proroga del Piano casa, approvata all’unanimità dall’intero Consiglio regionale.[2]

Il CdM ha ritenuto censurabili queste due leggi per violazione dell’art. 117 Cost. in quanto lesive della disciplina statale in materia di riparto di potestà legislativa fra Stato e Regioni circa la tutela del paesaggio. Gli interventi consentiti in deroga incidono, infatti, su beni soggetti alla tutela paesaggistica ai sensi di quanto riportato dal Codice del paesaggio.

Soltanto a quest’ultimo strumento spettava dunque stabilire, per ciascuna area tutelata, i criteri di gestione del vincolo volti a orientare la fase autorizzatoria nonché ad individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili, di quelle vietate e le condizioni delle eventuali trasformazioni.[3]

Da ciò consegue che la disciplina introdotta dalla legge regionale impugnata avrebbe, perciò, dovuto prevedere la propria applicazione, in relazione ai beni paesaggistici, esclusivamente nei casi e con le modalità previamente determinati dal piano paesaggistico elaborato congiuntamente dalla Regione con il Ministero per i beni e le attività culturali ed il turismo, cosa mai avvenuta.

Al riguardo, deve tenersi presente che la Regione Sardegna ha approvato il primo ambito omogeneo del Piano paesaggistico regionale – relativo esclusivamente alle aree costiere – solo il 5 settembre 2006. Successivamente, il 19 febbraio 2007, è stato sottoscritto dalla Regione con il Ministero per i beni e le attività culturali il Protocollo d’Intesa per la verifica e l’adeguamento congiunto del Piano paesaggistico regionale cui non si è dato seguito. Nulla è stato disciplinato, invece, per ciò che attiene le aree interne al territorio regionale sicché, ad oggi, in Sardegna vi sono beni paesaggistici per i quali non esiste, allo stato, alcuna pianificazione paesaggistica (aree interne dell’isola), o esiste una disciplina non adeguata al Codice (aree costiere).

Conseguentemente, la proroga della previsione di una disciplina che stabilisce ex lege la possibilità di realizzare volumetrie aggiuntive anche in relazione ai beni paesaggistici comporta la conseguenza che tali interventi debbano essere valutati caso per caso, solo al momento del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e senza una contestualizzazione nel dovuto quadro di regole dato dal Legislatore nazionale.

Esempio della pericolosità della proroga alla legge in questione si può desumere dalla disposizione di cui alla L.R. 8/2015, tutto sommato espressione del perché tale legge sia stata definita “Legge scempia-coste” secondo la quale «ai fini della riqualificazione e dell’accrescimento delle potenzialità delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive ricadenti nelle zone urbanistiche omogenee B, C, F e G, purché al di fuori della fascia dei 300 metri dalla linea di battigia marina, possono essere autorizzati interventi di ristrutturazione e rinnovamento comportanti incrementi volumetrici, anche mediante la realizzazione di corpi di fabbrica separati, destinabili anche, nella misura massima del 30% dell’incremento volumetrico concesso».

Già in passato si era posto problema dell’ampliamento degli alberghi sulle spiagge e già allora il risultato è stato una dichiarazione di illegittimità costituzionale di alcune norme della L.R. sarda per violazione dell’art. 117 Cost.

Si vedano in proposito la sentenza costituzionale n. 178/2018 e il relativo commento di Pausania sul punto (link).

Nel caso in esame, gli artt. 13 co. 1, 29 co. 1 lett. a), 37, 38 e 39 della L.R. 11/2017 (Disposizioni urgenti in materia urbanistica ed edilizia. Modifiche alla legge regionale n. 23/1985, alla legge regionale n. 45/1989, alla legge regionale n. 8/2015) si ponevano in contrasto con gli artt. 135, 143, 145 e 156 del Codice del paesaggio nella parte in cui questi prevedevano l’obbligo di pianificazione congiunta fra Stato e Regione e la prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto di pianificazione territoriale e urbanistica.

In particolare, oggetto di impugnativa era l’art. 13 della L.R. che – modificando le disposizioni di cui alle leggi urbanistiche regionali precedenti – escludeva dal “vincolo di integrale conservazione” e, dunque, dal vincolo di inedificabilità, le opere relativi alla realizzazione di parcheggi che non determinassero un’alterazione permanente e irreversibile dello stato dei luoghi anticipando così alla Regione scelte di merito di compatibilità paesaggistica di talune tipologie di interventi altrimenti oggetto del piano paesaggistico il quale, appunto, è frutto di una pianificazione congiunta della Regione con gli organi statali.

Sul punto la regione Sardegna si difendeva asserendo che l’art. 13 sopracitato non avrebbe leso il principio di co-pianificazione vista la mancata coincidenza fra i beni oggetto di tutela nel codice e quelli oggetto di tutela nella legge regionale.

Già in quella occasione, tuttavia, la Corte Costituzionale boicottò la ricostruzione operata dalla Regione riconoscendo come fondato il ricorso del CdM:«dal momento che i beni elencati nell’art. 142, comma 1, del d.lgs. n. 42/ 2004 e quelli indicati nell’art. 10-bis della legge reg. Sardegna n. 45/1989 sostanzialmente coincidono, la disposizione impugnata – che esclude dal «vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri naturalistici, storico-morfologici e dei rispettivi insiemi», previsto dal medesimo art. 10-bis, determinati interventi – contrasta con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135 e 143, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42/2004   (…)   Non può essere accolta la difesa della Regione secondo cui le norme censurate farebbero applicazione dell’art. 143, comma 2, del d.lgs. n. 42/2004, e in particolare del procedimento facoltativo dell’intesa «per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici». L’intesa, infatti, deve precedere l’eventuale trasposizione normativa di rango primario e non può essere predeterminata unilateralmente nei contenuti con legge della Regione autonoma  (…)  Peraltro, le disposizioni previste dagli artt. 37, 38 e 39 della legge reg. Sardegna n. 11/2017, oltre che emanate unilateralmente, riguardano una competenza che non appartiene, e non è mai appartenuta, alla Regione autonoma della Sardegna».

Al riguardo, la Corte ha dunque riconosciuto la prevalenza dell’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, rimarcando che «sul territorio vengono a gravare più interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; dall’altro, quelli riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtù del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. In definitiva, si «tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti».

Ne conseguiva, sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la “separazione” tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro pur dovendo prevalere, comunque, «l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica».

Tornando al caso in questione, avente tutto sommato il medesimo oggetto, la compressione di diritti costituzionali (nel caso qui in esame, l’interesse alla tutela del paesaggio e il principio di co-pianificazione, sopra richiamato) poteva essere giustificata, per ragioni eccezionali, solo per un limitato arco temporale; diviene tuttavia illegittima se tale proroga si estende nel tempo quasi fino a stabilizzarsi come nel caso di specie dove si sono raggiunti persino quasi 4 anni di proroga.

Ben si può ritenere, a questo punto, che anche la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 1 della L.R. 17/2020 abbia buone possibilità di essere dichiarata incostituzionale per violazione dell’art. 3 dello Statuto speciale della Regione e della potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio di cui all’art. 117 co. 2 lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.[4]

[1] Comunicato stampa del CdM, 7 agosto 2020.

[2] Sardegna: governo impugna legge su Ppr e Piano casa, Ansa.it, 08/08/2020

[3] La Corte costituzionale ha, infatti, da tempo affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).

[4] Comunicato stampa del CdM, 7 agosto 2020

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