Il Nagorno-Karabakh ci riguarda [di Nicolò Migheli]

Armenia

Il conflitto trentennale tra Armenia e Azerbaigian ha origini antiche. Nel 1922 Stalin decise che l’ l’Artsakh armeno, Nagorno per i russi e Karabakh per i persiani, passasse all’Azerbaigian. La politica di rimescolamento delle etnie è stata una costante dell’Urss, in questo caso un Azerbaigian forte poteva essere il luogo per l’esportazione della rivoluzione in Turchia. Con il risultato però di esacerbare i contrasti etnici.

L’Artsakh non ha mai accettato questo stato di cose; è  una terra ancestrale armena, quando cadde l’Urss chiese di essere annesso alla repubblica di Armenia. Ne seguì una guerra dal ’91 al ’94 che fece 30.000 morti. L’Artsakh con una popolazione di 150.000 abitanti si è autonominato repubblica, ma non è riconosciuto da nessuno. Per la pacificazione di quei territori esiste il gruppo di Minsk nell’ambito dell’ Osce, istituito da Francia, Russa e Usa e ne fa parte anche l’Italia.

Gli scontri ultimi sono cominciati il 12 di luglio sulla frontiera tra i due Stati e si sono esauriti in una settimana. Il 27 di settembre le ostilità sono riprese sull’obiettivo principale: riappropriarsi dell’Artsakh. Guerra preparata nelle settimane precedenti. Il sito Flightradar24  monitora il traffico aereo, ha mostrato voli che dalla Libia raggiungevano Baku, aerei che trasportavano i mercenari Jihadisti siriani ingaggiati dalla Turchia.

Quel sito, fatto poi oggetto di un attacco cibernetico, ha registrato anche il traffico aereo che trasportava armi da Israele a Baku tra cui i micidiali missili Lora e i droni suicidi con i quali gli azeri bombardano le linee di difesa e le città dell’Artsakh. Tra i due contendenti vi è una grande disparità di mezzi. Alla supremazia numerica e tecnologica azera, l’Artsakh risponde con combattenti motivati che difendono le proprie case e le loro famiglie. Il rischio di un nuovo genocidio è presente.

I bombardamenti sulle città che stanno colpendo i civili indiscriminatamente, sono l’arma, anche psicologica perché ci sia una pulizia etnica. Il presidente azero Ilham Aliyev avrebbe potuto attaccare senza il permesso e forse l’invito di Erdogan? Sul Caucaso e sui resti di quella che fu l’Urss si sta combattendo una contesa geopolitica che riguarda il Centro Asia, il Medio Oriente e anche l’Europa. È luogo di scontro diretto tra la Russia e le pretese turche, proiettate sempre di più nel loro sogno ottomano.

Azeri e turchi si considerano lo stesso popolo benché di confessioni differenti, i primi sciiti e i secondi sunniti. Nello scenario non è estraneo l’Iran, impensierito dall’espansionismo turco, appoggia l’Armenia. La posizione più imbarazzata è quella di Putin, legato da alleanza con l’Armenia, sa però che non può lasciare l’Azerbaigian ai turchi. Israele in competizione con Ankara ovunque non lo è qui. Baku è l’unica alleata di Israele nello scacchiere.

Tel Aviv usa le basi azere come centri di ascolto dell’Iran e in caso di guerra è probabile che possa impiegarle come centri d’attacco, per questo motivo la riforniscono di armi avanzate. Tanto che l’Armenia ha ritirato il suo ambasciatore in Israele. Il comportamento di Netanyahu cozza contro l’amicizia storica tra i due popoli, anche se gli israeliani non hanno mai riconosciuto l’olocausto armeno per non urtare i turchi con i quali erano in ottimi rapporti fino al 2012.

Di Maio dopo un incontro con l’ambasciatore armeno dove ha pronunciato parole di circostanza, ha lodato la saggezza di Erdogan. La posizione italiana sempre più filo turca è imbarazzante. L’Italia è il primo partner commerciale dell’Azerbaigian, l’interscambio con quel Paese raggiunge il 30% per un valore di 5,9 miliardi di dollari, il secondo la Turchia con 1,8 miliardi. Leonardo ha già venduto agli azeri gli aerei da addestramento M 346 e quell’aeronautica potrebbe essere il cliente di lancio per la versione d’attacco dello stesso velivolo.

L’Italia potrebbe influire molto, usare la leva economica, bloccare l’esportazioni di armi. L’impressione è che sull’Armenia sia in atto una Monaco del 2020. Lasciare che l’espansionismo turco si riversi lì e non sul Mediterraneo Orientale. L’errore che fece Chamberlain con Hitler nel 1938 con l’appeasement. Erdogan come il Führer si muove per fatti compiuti.

Le possibilità che ci sia un nuovo olocausto armeno sono drammaticamente probabili e questo nel totale silenzio europeo, americano e dell’Italia. Se ci sarà le responsabilità saranno anche nostre. Non basteranno le condanne a posteriori saranno terribilmente ipocrite. Evidentemente il gas azerbaigiano conta di più del sacrificio di un piccolo e coraggioso popolo.

 

 

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