Il futuro passa dal recupero dei luoghi [di Maria Antonietta Mongiu]

Marseille_Saint-Victor

L’Unione Sarda 12 novembre 2020. La città in pillole. Ripetutamente qui si sostiene che nel tempo sospeso che ci è dato di vivere, proprio ora, bisogna assumersi la responsabilità di progettare la città futura.

Un processo collettivo che tutti interpella, perché ci si rimbocchi le maniche affinché i luoghi non smettano di vivere, ormai reificati e sottratti a quanto li ascrive alla categoria dell’urbano, e persistano irriducibili nel recupero di senso, fondato sulla cultura e sulla memoria. Semplificando si tratta di agire un’imponente renovatio loci.

L’espressione, usata dai Benedettini nella Regola, fu da loro praticata nelle geografie fisiche e antropiche, nuove quanto incognite, dopo il definitivo tramonto dell’impero romano e al comparire di uomini, chiamati barbari, che permisero al tempo antico di arrivare alla modernità. Accadde anche in Sardegna quando a Cagliari nel 1089 dall’Abbazia di San Vittore di Marsiglia, fu chiamato un manipolo di monaci.

Inaugurarono una stagione multiculturale, sconosciuta negli interstizi che hanno costruito “Noi siamo sardi” di Grazia Deledda, per rimanere alla più celebre declinazione delle tante anime che fondano l’isola, elaborata dal premio Nobel e innegabilmente discosta dal perverso recente etnocentrismo.

Un’ autentica renovatio, possibile solo a patto che i protagonisti riconoscano e ripropongano quell’ordine e quelle regole che tengano lontano i sottoprodotti dell’urbano che hanno ridotto la città e l’isola a periferie folcloristiche. Quella transizione in cui si inserirono i provenzali, un tempo definita buco nero della storia fu, pure a Cagliari, una notte che continua a brillare con le sue superbe testimonianze.

Occuparono infatti aree e spazi dismessi e, forti dell’esperienza della Camargue, ridisegnarono le “acque interne” di Santa Gilla e Molentargius; riscoprendo il sale che, da tempi remoti, ha fatto di Cagliari un baricentro del Mediterraneo. Oltrepassarono il senso di perdita che, talvolta, ghermisce i cagliaritani che, comunque, mai hanno abbandonato la città e le sue istituzioni.

Riqualificarono aree, già insediate, della città romana e del suo territorio, da Pula a Quartu, accompagnati da un manipolo di santi, numi tutelari dei luoghi, allora e ora. Della città percepirono la potenza del genius loci e il suo irriducibile valore fondante.

Carta d’identità e progetto, mai dismessi, antidoto efficace contro dolore e declino. Nel medioevo; nel 1944; e oggi.

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