Il mondo di gaia [di Giampaolo Cassitta]

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Da piccoli, almeno ai miei tempi, i giochi erano circoscritti e limitati alle poche cose che in quel tempo si possedeva: pallone, palline, tappi di bottiglia, figurine, gessetti, plastilina, corde varie e molta fantasia. Un giorno eravamo pirati ed un altro cow boy o principesse o maghe o sacerdotesse. Si costruivano storie, si disegnavano scenari e trascorrevano le serate in attesa della fantomatica “tivù dei ragazzi” pronta a rimettere tutto in ordine e regalare altri attimi di fantasia. Ecco, ai miei tempi, c’eravamo inventati, per gioco, un mondo parallelo dove non esistevano i cattivi, dove tutti dovevano contribuire al bene comune e dove nessuno poteva litigare. Pena l’esclusione da quel mondo.

L’avevamo chiamato il pianeta degli amici della terra perché ritenevamo che il suolo calpestato, gli alberi, i fiumi, le montagne, fossero di nostra proprietà e anche noi, come dicevano i vecchi Apaches, facevamo parte della terra. Figli della terra, quindi figli di Gaia. Avevamo dodici anni e molte lentiggini e brufoli di contorno ai nostri sogni. E avevamo diritto a disegnare quello strano mondo. Leggendo la notizia, davvero singolare, dell’imprenditore a cui hanno sequestrato, a Sassari, l’auto con targa contraffatta, come il tagliando dell’assicurazione e il passaporto, tutti intestati al fantomatico Regno sovrano di Gaia ho pensato, per un attimo, fosse uno dei miei vecchi amici che aveva realizzato il sogno: quello di regalare alla fantasia i colori della realtà. Ho anche pensato ad uno scherzo di buontemponi: la targa era davvero apprezzabile per la sua fattura.

Invece, a quanto pare, gli appartenenti al Regno esistono davvero e non sono tenuti a rispettare le leggi dello Stato italiano, in quanto essi sono sovrani di loro stessi. Per sancire questo distacco, a quanto pare, compilano un documento da inviare al Presidente della Repubblica (che non riconoscono). In questo documento ci sono delle dichiarazioni davvero incomprensibili e legate a crediti che ognuno di noi, all’atto della nascita dovrebbe ottenere dallo Stato. Ecco perché, secondo i sudditi di Gaia niente è dovuto allo Stato Italia. Se non è goliardia non è, perlomeno nelle spiegazioni, alta finanza o analisi sociologica. Dunque è una scelta di persone capaci di intendere e di volere che si autoproclamano sudditi di un regno per il quale tutto è bellissimo, tutto è semplice e dove tutto funziona perfettamente.

Mi verrebbe da chiedere ai felici appartenenti al regno di Gaia come sono gli ospedali dalle loro parti, come si vota, ci saranno le primarie, oppure tutto è lasciato all’autodeterminazione dei popoli? E la benzina quanto cosa? Pagheranno le accise nel regno di Gaia? E che lingua si parla in questo Regno, apparentemente senza confini? Quale scuola, quale università, quale arte si dipana nel loro mondo? Perché, in fondo, siamo tutti minimalisti e pragmatici. Non grandi portatori di filosofia e neppure profondi conoscitori di economia, politica o fisica e chimica. No, per fare un mondo, per creare l’algoritmo di uno Stato basta un passaporto, una targa e un’assicurazione che non esiste.

Come il famoso “non compleanno” di Alice nel paese delle meraviglie. Una visione onirica della vita. E se il nostro suddito di Gaia avesse investito un pedone sulle strisce pedonali come si risolveva la questione? Non avrebbe riconosciuto le strisce italiane? Se non si pagano le tasse nessuno contribuirà ai servizi perché, molto probabilmente, quei servizi sono garantiti da altri: come per esempio il comune di Sassari. Dove il suddito di Gaia manda suo figlio a scuola, ha il medico di fiducia, getta il sacchetto della spazzatura nel cassonetto della sua via, utilizza gli ospedali e gli asili nido, l’asfalto dove la sua auto cammina, le rotonde, i semafori, i musei senza voler contribuire minimamente allo Stato che non riconosce.

Il buon suddito di Gaia non è, come sembra, un buontempone, un personaggio in cerca d’autore. E’ una piccola sanguisuga che, anziché rispettare le regole minime della comunità in cui vive, tenta di inventarsi mondi paralleli e virtuali. Una volta, da giovani, giocavamo per ore, fino a stancarci. Ma avevamo capito le regole e il senso del gioco. E che cosa fosse la realtà.

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