L’Opera ai tempi dei videoclip [di Franco Masala]

Milano, la facciata del teatro alla Scala.dipinto di Angelo Inganni, 1852

Già sulla carta il programma rivelava la sequenza di pezzi d’opera famosissimi legati da inserti di vario genere senza un andamento cronologico. Alla prova dei fatti la non-inaugurazione del Teatro alla Scala 2020 si è dimostrata tutto quello che opera non è: ne è risultata infatti una sommatoria di videoclip anche patinati ma lontani da ciò che è il melodramma. La possibilità di disporre di oltre venti cantanti tra i più quotati ha fatto il resto così che molti gridassero al miracolo.

Forse è il caso di fare alcune precisazioni. Il regista Davide Livermore, già autore di un ottimo Attila (2018) e di una discutibile ma interessante Tosca (2019), ha fatto il ter filmando una serie ininterrotta di quadri – tre ore filate – con cambi di scena per ciascuno che sarebbero stati impossibili in diretta. Peccato che l’ambientazione fosse del tutto fuori contesto e quasi sempre senza relazione con il testo cantato.

Non è un caso allora che l’esito più convincente sia stato il gioco d’ombre nel finale di Madama Butterfly con il soprano Kristine Opolais ben inserita a conclusione del pezzo.

Il maestro Riccardo Chailly si è mosso abilmente tra stili e musiche disparate, pur avendo dovuto tagliare il Wagner previsto per esigenze di tempi televisivi (e che dire di Bellini completamente latitante?).

Belle (e brave quasi sempre) signore hanno cantato abbigliate con abiti sensazionali di grande sartoria alternandosi a compassati signori correttamente in nero, tranne il povero Juan Diego Florez vestito con un frackettino azzurro miserello in mezzo a comparse “felliniane”, ormai come il prezzemolo.

Inserti danzati piuttosto sciatti ad esclusione di un Roberto Bolle sempre più orientato verso il contemporaneo. Letture disparate sono state pronunciate tra un brano e l’altro, scomodando frammenti di Pavese e di Montale o fornendo le banalità sulla donna nell’opera di Michela Murgia. Insomma, “di tutto di più” secondo lo slogan della stessa RAI già negli anni Novanta del secolo scorso.

Il problema è che coloro che non hanno dimestichezza con l’opera possano pensare che sia un flusso continuo di videoclip da consumare con rapidità per passare poi ad altro. Chi conosce e ama il teatro musicale fa altre considerazioni. È logico che in tempi di COVID-19 tutto sia ben più difficile del solito ma basti pensare a certe esperienze -l’apprezzabilissima stagione in streaming del Teatro Municipale di Piacenza, di grande efficacia nonostante l’assenza di pubblico, o l’intelligente Barbiere di Siviglia messo in scena da Mario Martone e Daniele Gatti a Roma in termini cinematografici – per capire che possono esserci alternative. Quel che conta sono le idee, infatti.

La serata “stellare” alla Scala rimarrà unica, speriamo. Altrimenti tanto vale infilare nel lettore un CD o un DVD. L’Opera e la Musica si fanno dal vivo.

*Angelo Inganni, La facciata del Teatro alla Scala, 1852 (Milano, Museo teatrale alla Scala).

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