I Giganti e l’Inferno di Dante [di Maria Antonietta Mongiu]

prama

L’Unione Sarda 18 febbraio 2021. La città in pillole, “E a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche”. Mai come oggi il verso del XXII Canto dell’Inferno di Dante è attuale. Nel tempo della pandemia mondiale, i sardi appaiono, ut semper, ossessionati dal “natio borgo” immaginifico e agorafobico.

 Come in ogni autoreclusione e in ogni perdita di senso, non fanno meglio degli ignavi descritti da Dante: “quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan […]. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto […]”.

 Ma chi sono quelli autosufficienti nella compulsiva logorrea sulla loro terra, così poco interessati alla terribilità della pena e del peccato che la genera? Perché Dante li chiama in questione? Com’è che ancora ci riguardano? Sono “frate Gomita, quel di Gallura, vasel d’ogne froda” che “usa con esso donno Michel Zanche di Logodoro”.

 Protagonisti di un problematico canto della Commedia, interpellano con urgenza la Sardegna per lo speciale peccato di cui si macchiarono. Apostrofati per l’ossessione, a parole, della loro terra sono barattieri. Truffatori di una particolare specie: usano il ruolo pubblico a proprio favore. Funzione e carica non per il bene comune ma per farsi i fatti loro; e, nondimeno, insistono a parlare di Sardegna.

 Al di là delle specifiche vicende giudicali del XIII secolo dei due e dei presunti stigmi sui sardi di cui si macchierebbe Dante, siamo abitati anche noi dall’idea che, in diversi momenti, lo straparlare, in Sardegna, di identità o di patrimonio culturale non sia dello stesso ordine di grandezza delle pratiche di un loro reale riconoscimento e messa in valore. Ecco perché il mitocentrismo, infantile malattia, cela solo pulsioni autodistruttive. Nel mentre la realtà agisce senza clamore.

 A proposito delle manifestazioni a Cabras per il complesso scultoreo, quanti sanno che è tale per un cospicuo finanziamento della RAS, che ha permesso a migliaia di frammenti di essere rimessi insieme dal 2007 nel Centro di Restauro di Li Punti di Sassari?

 Mille mani e sapienze, spesso dimenticate, da quelle di Alessandro Bedini, venuto a mancare in questi giorni. Ispettore della Soprintendenza archeologica di Cagliari, nel dicembre del 1975, fece i primi scavi a Mont’e Prama, capendo il valore di quei frammenti o di Giovanni Lilliu che, in queste pagine, raccontò, per la prima volta nel 1976, i ritrovamenti che hanno capovolto il paradigma sulla vicenda nuragica. Storie del fare competente per il bene comune. Come è delle vere classi dirigenti.

One Comment

  1. Mario Pudhu

    Is Sardos «ut semper, ossessionati dal “natio borgo” immaginifico e agorafobico» e po cussu «non fanno meglio degli ignavi descritti da Dante»?!
    At a èssere, si a giare fide a su Buginu “della patria” giai de séculos nosi costat chi aus imparau a no nosi fidare de noso etotu, ca aus fatu s’allenamentu a dipèndhere e a giare fide a chie no tocat, ma no a nosi guvernare cun istima, fide e capacidades.
    E de «ignavi» chi «visser sanza infamia e sanza lodo» ndhe connoscheus a trumas, a chedhas, po no narri a tallus, ma meda “titolati”, e de «barattieri» e «truffatori» su matessi, aprofitadores chi iant a meritare sa barca de Caronte po andhare prus a innanti de is «ignavi».
    Fortzis, si fiaus gente, iaus a ischire méngius chi su mundhu est totu su mundhu ma chi no dhue at mundhu chentza custa terra cun d-unu pópulu, a su postu de èssere unu tallu chentza mancu terra.

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