L’esemplare vicenda di uno dei tanti giovani sardi “capaci, meritevoli e privi di mezzi” [di Luigi Sotgiu]

fiat

Alla fine degli anni ’60 il paese di Cuglieri, un tempo tra le principali “città dell’olio” di oliva, è già avviato verso una lunga decadenza economica ed ha ben poche prospettive da offrire ai giovani che, al pari di tanti altri sardi e meridionali, iniziano ad emigrare verso le città industriali del nord.

Nel 1969 anche Antonio Giallara, all’età di 18 anni, segue la strada avviata da altri parenti e amici: arriva a Torino, ha una prima esperienza lavorativa all’Iveco, la fabbrica dei motori per camion e dopo parte per il servizio militare. Al ritorno frequenta per un anno la scuola Fiat e approda infine nel reparto carrozzeria della Mirafiori.

Queste notizie le apprendiamo dal libro “Care compagne, cari compagni, Storie di comunisti italiani”, Strisciarossa Edizioni. Si tratta di tredici storie di militanza nel PCI raccontate da altrettanti giornalisti. La prima storia, scritta da Bruno Ugolini, già giornalista dell’Unità, si intitola “Antonio Giallara. Il giovane leader di Mirafiori anni 70. Quando si ragionava con il Noi”.

Il giovane Antonio sa poco di politica ma la impara presto nel vivo delle lotte operaie: Torino che, negli anni 1919/20 ha vissuto il biennio rosso vissuto e raccontato da Antonio Gramsci, negli anni 1968/69 ha vissuto una nuova stagione di lotte operaie e studentesche. Giàllara, che a Torino pronunciano Giallàra, matura presto una maturità politica che lo porta a diventare delegato del consiglio di fabbrica, responsabile della cellula del PCI di Mirafiori e poi importante leader sindacale della Fiom e del Pci sino ad essere eletto, insieme a Fassino e al sindaco Novelli, nel comitato centrale del Pci che nomina Enrico Berlinguer segretario.

Consiglio di leggere la storia di questo ragazzo di 18 anni, catapultato da un piccolo paese nel cuore dell’organizzazione della più grande fabbrica italiana, riuscito in breve tempo a diventare uno stimato dirigente sindacale e di partito.

Nell’intervista parla di Bruno Trentin e di Enrico Berlinguer; di quest’ultimo dice: “Quando veniva ai cancelli della fabbrica ero sempre accanto a lui. Voleva sapere quanti operai sardi c’erano in Fiat, quanti scioperavano, quanti erano iscritti al PCI e al sindacato. Ogni volta mi chiedeva di riferirgli cosa pensavano gli operai e cosa si aspettavano da noi”.

La storia di Antonio è emblematica: in paese avrebbe avuto un futuro legato esclusivamente al lavoro precario nell’edilizia e nell’agricoltura; a Torino ha avuto la sua occasione di crescita lavorativa e personale attraverso il lavoro in fabbrica e la militanza sindacale e politica. Negli stessi anni altri giovani del paese, mandati dalle famiglie a studiare fuori grazie a tanti sacrifici e all’esistenza di presalari e case dello studente, hanno potuto laurearsi.

Sarebbe interessante fare un confronto su come funzionava in quei tempi l’ascensore sociale e come funziona oggi per i giovani “capaci, meritevoli e privi di mezzi”, per i quali la Costituzione garantisce il diritto allo studio. Credo che la storia di Antonio Giallara meriti di essere conosciuta in Sardegna e possa essere molto istruttiva.

Peccato che i due quotidiani sardi non la pensino nello stesso modo: siccome nemo propheta in patria, Antonio Giallara continuerà ad essere molto apprezzato a Torino e poco conosciuto in Sardegna.    

 

One Comment

  1. viva Antonio Giallara: da Gianni Marchetto

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