Siamo tutti giganti [di Carlo A. Borghi]

Monte Prama Agosto 2010 217

Li Punti, fine 2011. In fila per vedere i Giganti. Apparenza di Soprintendenza. In realtà sono i Giganti a fare la fila per andare a vedere cosa e chi c’è in mostra. Prenotazione con coupon di pernottamento in loco per ritrovarsi posizionati primi primi nella fila. Una folla di Giganti. Is de Prama. Uno dietro l’altro in attesa dell’apertura. Calma e gesso. Calma e pietra arenaria.

Arceri, pugilatori, spadaccini, strumpatori con le loro mogli o fidanzate altrettanto di pietra statuaria. Anche qualche ragazzetto pietroso e barroso in età scolare. Tutti composti. Impassibili. Niente schiamazzi. Ineffabili come gentlemen della City. Percorso obbligato da un filare di transenne dell’età del ferro battuto. In fila con Giganti e Gigantesse anche Menhir, Perdas fittas e Betili. Antichi Betili dell’età di Soru.

Erano arrivati in città dalle campagne dove lavoravano la terra e allevavano bestiame con le loro stesse mani di pietra basaltica. Tutti fremevano e scalpitavano per poter vedere la Mostra del secolo o addirittura del millennio. Anche archeologi e antropologi erano diventati scienziati di pietra lavica e tufacea. Avevano preparato e disposto ogni cosa in un allestimento espositivo di straordinario impatto.  In bella e documentata mostra un’intera famiglia sarda. Gente vivente ritrovata in un sito sperduto alle falde del Supramonte. Ogni componente del gruppo familiare ritrovato, era esposto su una base di pietra scalpellata da artisti picaparderis. Statue viventi e parlanti.

Erano resti umani in carne ed ossa, vestiti alla moda di quel tempo lontano, quando i giovani portavano capelli lunghi e giocavano a ballare facendo girare dischi di un materiale nero, bucato al centro e pieno di solchi. Datazione: 1974, circa. Ospiti d’onore per l’inaugurazione del nuovo Museo, i Bronzi di Riace. Ad accoglierli una banda comunale di fiati e grancasse. Tutte di pietra sonora cavata a mano. Le porte sarebbero state aperte alle ore 9, dopo il taglio del nastro. Anche il nastro era di pietra.

I Giganti non vedevano l’ora. Biglietto a prezzo politico per tutti, ingresso libero per anziani e disabili. Alcuni guerrieri si muovevano su carrozzine motorizzate. Altri Giganti mutilati si reggevano grazie a stampelle e deambulatori. All’interno, custodi e inservienti davano gli ultimi ritocchi agli esemplari umani esposti in bella vista. Un quadro vivente di antica gens sarda, sopravissuta alle Guerre Puniche e agli Anni di Piombo sparato a colpi di P38.

Allora le armi non erano di pietra. L’emozione si tagliava a fette come fosse salsiccia di Irgoli. Inviati speciali, reporter e corrispondenti dappertutto a raccontare il grande evento. “Qui avete il Supramonte – dichiarano i Bronzi ai giornalisti – noi in Grecia abbiamo l’Olimpomonte e in Calabria, dove abitiamo, l’Aspromonte”. Certi Giganti, pur non avendo l’avambraccio, si davano di gomito.

“Quelli sono femminielli, altroché guerrieri!” – diceva uno. Altri ci davano dentro con pesanti apprezzamenti sulle loro classiche e nude forme. Scocca l’ora, s’aprono le porte a Li Punti e… così s’interrompe il sogno di Urgurù, Gigante restaurato di Monti Prama che non sognava più nulla da 3000 anni. CABORG.

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