La storia del bosco è da scrivere [di Maria Antonietta Mongiu]

L’Unione sarda 5 agosto 2021. La città in pillole.Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria” l’adagio che Dante fa dire a Francesca nel V Canto dell’Inferno, è in verità l’omaggio alla coscienza di aver vissuto, coscienti di averne coscienza. Si tratta di un’auto percezione tanto luminosa da assumere la dimensione della felicità. Nessun rimpianto ma dolore per una condizione non più praticabile.

Solo chi non conosca potenza e sacralità, conferite alla sfera del femminile, si stupisce che Dante assegni ad una donna il compito di asserire che è l’irriducibile autoriferimento interiore a generare un’autocoscienza tutt’uno con la coscienza.

Quanti si occupano di esegesi dantesca aggiungerebbero che quanto dice Francesca porta ad Aristotele e alla sua Etica nicomachea. Ma Dante non conosceva il greco e l’articolato esito finale di traduzioni, commentari, tradimenti, degli scritti disponibili “del maestro di color che sanno”, come definì Aristotele, gli dà la possibilità di interpellarlo per ambiti distanti e, apparentemente, altro dalla politica.

È appena il caso di sottolineare che non i temi ma la consapevolezza che li abita e con cui sono percepiti che ne fanno un campo politico. Allora, per venire al dunque, è ineludibile quanto i sardi si chiedono, specie in questi giorni del fuoco e delle retoriche sullo stesso. Se gli alberi che bruciano siano un fatto politico/culturale o una partita per assunti a tempo determinato e di ristori, variamente giustificati.

La risposta deve essere ricondotta al preambolo di questa nota, se pure proprio quel rogo può sottendere gesti mafiosi o interessi anche meno malavitosi ma pur sempre di parte.

Si può rispondere che è crollata la coscienza collettiva che gli alberi, nella loro dimensione spaziale e nella cultura materiale, sono parte integrante dell’esistenza e della coscienza umane.

Della Sardegna, in particolare, di cui Cagliari è imprescindibile compendio. Non solo perché Gilles Clément – illustre paesaggista che accompagnai, nella primavera del 2007, a visitarla – definì Cagliari “città di superbi giardini verticali” e di ineguagliabili aree ascrivibili al “terzo paesaggio”.

Ma perché ha un Museo archeologico che lascia senza fiato per la quantità e la qualità di teste di mazza litiche, di asce di bronzo, e di forme di fusione per realizzare queste ultime. Segnano il tempo dei boschi della Sardegna e il loro rango nella metallurgia e negli scambi commerciali del Mediterraneo nel mondo antico. La storia del bosco in Sardegna è ancora tutta da scrivere.

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