La caduta di Kabul e la crisi dei valori dell’Occidente [di Nicolò Migheli]

Joe Biden nel suo discorso ha sottolineato più volte che gli Usa non erano in Afghanistan per il nation-building, non erano lì per esportare la democrazia, rinnegando trent’anni di teorizzazione neo-con. Lo scopo della missione era sconfiggere Al Qaeda, impedire che attacchi come l’11 settembre si ripetessero. Se la missione era questa, ha avuto successo.

Loro insieme ai britannici hanno privilegiato l’aspetto combattente. In quest’ottica l’addestramento dell’esercito nazionale afghano, magari non curandosi troppo delle leadership che spesso millantavano soldati per intascarsi le paghe. Hanno anche costruito scuole e tribunali, ma poco, tenendo conto che un Paese rurale- solo il 20% della popolazione abita nelle città- non è stato scalfito nei suoi comportamenti arcaici. I talebani hanno avuto gioco facile, si sono saputi adattare.

La canna si china quando soffia il vento, ma lì resta. In questo favoriti anche dall’approccio combattente degli anglosassoni; dalla spirale azione-reazione, dai bombardamenti, gli omicidi selettivi, dalle insensate vittime civili catalogate sbrigativamente come effetti collaterali. Fatti che hanno impedito una parvenza di relazione con gli afghani, che non fossero il blandire il signore della guerra o il capo tribale di turno. Per gli occidentali rapportarsi con società che hanno strutture sociali fondate su gruppi etnici, tribali e clanici non è facile.

Realtà in cui Dio è più vivo che mai e l’autorità maschile tradizionale non è scalfita, resta quella arcaica. Difficoltà che mostrano un blocco culturale nel quotidiano nonostante i dotti studi etno-antropologici. Però anche in questo si sono registrate differenze. Tedeschi e italiani, nei territori di loro competenza, hanno privilegiato il peacekeeping rispetto al combat, anche in virtù dei limiti costituzionali di entrambi i Paesi. Nonostante abbiano combattuto quanto gli altri, quando vi è stata la necessità. L’approccio amichevole è stato favorito per i tedeschi dal fatto che avendo consistenti minoranze turche, curde e siriane, negli anni hanno imparato a capirle.

Per gli italiani, soprattutto grazie ai militari di origine meridionale e sarda, la conoscenza diretta di che cosa siano le comunità che hanno ancora oggi famiglie estese, gruppi clanici e un familismo ancora attuale. Quello che certi studiosi sul capitale umano considerano un limite in Afghanistan si tramutato in vantaggio.

Atteggiamento che ha permesso l’investimento in strutture, di dialogare con la popolazione. Il favore di un villaggio lo si poteva ottenere con la costruzione di un piccolo acquedotto o di un pozzo. Affianco ai militari un consistente impegno delle Ong che hanno portato aiuti notevoli a una popolazione bisognosa di tutto.

Evidentemente non è bastato anche se 20 anni di presenza hanno inciso in una parte della cittadinanza prevalentemente urbana. Gli avvenimenti di questi giorni ci interrogano se la nostra democrazia sia esportabile. Giuliano Ferrara, memore del suo passato neo-con, sostiene di sì e porta l’esempio di Germania, Italia e Giappone dopo la II GM. Esempio errato, a mio avviso.

Nei due Paesi europei era bastato eliminare la dittatura perché le precedenti istituzioni riprendessero vita. Un caso a sé è il Giappone, che fu annichilito con l’arma atomica, cosa che in Afghanistan non è avvenuto, nessuna sconfitta definitiva dei talebani.

Tokio è l’unico caso di successo. Ci si dimentica però che quelle nation-building vennero aiutate con gli ingenti finanziamenti del piano Marshall. Niente di tutto questo nel Paese centro-asiatico, se non in misura minore, il 90% sono state spese militari. Si possono imporre istituzioni e i nostri valori a società che non li accettano perché hanno altra cultura e non hanno nessun desiderio di modificarla? In Afghanistan la cartina di tornasole è stato l’impegno femminile extra domestico, osteggiato non solo dai talebani ma anche da consistenti componenti dei governi filoccidentali.

La domanda conseguente riporta al nodo: i Diritti Umani sono universali come crediamo noi? In sede Onu nessun Paese nel 1948 votò contro ma su 58 membri, tanti erano allora, 10 si astennero. Le critiche a quella dichiarazione proseguono anche oggi con maggior forza. Alla base c’è che quei diritti non sono universali, ma vengono da un retroterra culturale giudaico-cristiano e quindi sono espressione solo nostre.

I Paesi musulmani conservatori propongono una loro versione, votata nel 1981 a Parigi, che fa riferimento alla legge divina, l’unica che garantisce i rapporti tra le persone all’interno della società.

L’altra opposizione è quella dei cinesi che basandosi sul confucianesimo ritengono che i diritti individuali siano sottoposti a quelli comunitari, i cui bisogni ed esigenze sono sempre superiori alle singole persone. Posizioni che l’Occidente poteva sottovalutare fino a quando era in posizione dominante.

Ma oggi con il multilateralismo, con la Cina che durante questo secolo potrebbe diventare la potenza egemone cosa avverrà? I primi ad aver depotenziato quei Diritti sono stati gli occidentali che ne hanno fatta un’arma politica: reprimere con sanzioni o peggio con interventi militari i Paesi ostili mentre si ignoravano quelli dei popoli sottoposti ai dittatori amici.

I casi Regeni e Zaki sono da compito. Nella stessa Unione Europea, Ungheria e Polonia possono limitarli senza che Bruxelles possa fare molto. Nel caso che la Cina diventi il Paese leader l’attacco sarà ancora più forte anche se Pechino è rispettoso del principio di non ingerenza. Ai cinesi non importa il sistema politico quanto che i governi perseguano i loro interessi.

Solo che un sistema autoritario come quello potrà diventare attrattivo per la sua efficienza. Di conseguenza quei Diritti rimarranno solo una prerogativa occidentale, messi in discussione anche qui? Non è detto. Però per chi vorrebbe un mondo diverso si apre una sfida gigantesca.

One Comment

  1. Pier Giorgio Testa

    Continuando a perpetuare l’idea che Liberismo economico sia uguale a Democrazia e che gli USA esportino quest’ultima, Ferrara meriterà il premio “Il più amato dagli Americani”. Ma la democrazia dove e da chi l’avrebbero imparata?
    Sembra più evidente che sappiano esportare guerre e altre soluzioni vantaggiose per i loro interessi; si veda a tal proposito il numero di guerre che hanno dichiarato da quando esistono come Nazione e quante “aree di influenza” si siano attribuiti (Regeni e Zaki doceant sed dubitare licet quin Juliani cerebrum intelligere possit)
    Non si pone il dubbio se i Diritti Umani siano universali; un Paese in cui vige la pena di morte potrebbe essere considerato senza titoli per parlare di diritti dell’uomo.

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