La peste, l’arroganza, e i vaccini [di Maria Antonietta Mongiu]

L’Unione Sarda 30 settembre. La città in pillole. C’è un luogo più della peste che racconti la dialettica tra utopia e distopìa? Forse no. Lo testimoniano il vissuto di ciascuno; il dibattito pubblico; gli approfondimenti di scienziati, ma pure la comunità che non vuole vaccinarsi.

A ben guardare la peste in qualsiasi epoca; di qualsivoglia origine e durata, ha da sempre concentrato ogni narrabile possibile perché riassume il limite posto all’umano e il suo oltrepassamento. L’altalenare tra i due corni del vivere è già in quell’Iliade che è madre di ogni narrazione. In fondo sono solo passati 2800 anni dalla sua redazione.

Era il tempo in cui, in Sardegna, smesso di costruire nuraghi li si stava ritualizzando, riproducendoli in modellini da allogare in spazi dedicati nei manufatti ormai dismessi o in speciali capanne in villaggi di nuova fondazione.

Si elaboravano rifiniti bronzi d’uso e raffinati bronzetti figurati, strepitosi quelli del Museo archeologico di Cagliari, che raccontano, unitamente all’inaspettata statuaria di Cabras, una società complessa e già urbana. Contemporaneamente i Fenici di Tiro e i loro fratelli di altre città libanesi, nordafricane, iberiche, facevano scalo nelle coste della Sardegna, insediate da millenni, usando le rotte che, per secoli, furono dei Sardi e dei Micenei.

A questo leggendario etnico appartenevano gli eroi, greci e troiani, che affollano l’epica inventata da Omero e, più tardi, la tragedia greca. Intensa la relazione con la Sardegna nella seconda metà del II millennio a.C. e di cui sono loquaci testimoni i reperti esposti nei musei isolani.

Brevi cenni per dire che non c’è niente di quanto accade che non fosse già in quel palinsesto elaborato da Omero che la tradizione volle cieco perché la potenza della parola non avesse distrazioni.

Esibisce la peste dai primi versi come madre dell’ira funesta di Achille che “addusse infiniti lutti”. L’origine non poteva che essere misteriosa. Altra dall’umano. Fu causata infatti da Apollo per punire gli uomini per la loro arroganza che i Greci chiamano ybris. Per riscattarsi e tornare alla normalità morirono in troppi. Soprattutto gli eroi del nostro più profondo immaginario: Achille ed Ettore che un tempo scatenavano accese tifoserie.

 A leggere L’anno della peste (NR edizioni 2021) di L. Wright, viene il dubbio che oggi la ybris persista irriducibile e quanto avviene sia il sequel di quella prima epidemia. Fortunati gli studenti il cui insegnante la conosca, unitamente a quelle descritte da Tucidide, Eschilo, Manzoni, Camus.

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