Vincenti sul riconoscimento dell’insularità e maestri mancati di continuità territoriale [di Francesco Sechi]

È un fatto oramai assodato, e “sigillato” dal voto unanime del Senato, che la condizione di insularità sia un handicap allo sviluppo e che la necessità di implementare politiche ed azioni, anche “onerose”, da parte dell’Europa e dello Stato, sia la via obbligata per una vera politica di coesione europea al fine di promuovere pari condizioni di partenza per tutti.

Questo primo passo, fondamentale – anche se troppo a lungo atteso – non deve tuttavia far passare in secondo piano le nostre responsabilità di essere i principali artefici della rottura dell’isolamento che significa costruzione di una vera continuità territoriale attraverso servizi navali ed aerei in grado di riprodurre livelli di accessibilità, per le persone e per le merci, congruenti con le regioni della terra ferma.

E se da un lato il principio della condizione di insularità va avanti grazie alla spinta unanime di tutto il territorio, dall’altro lato, sul tema della continuità territoriale, sembra di essere ancora all’anno zero. Non sono serviti vent’anni di continuità territoriale per farci diventare i maggiori esperti al mondo sul tema, per essere presi ad esempio da altre regioni poste in analoghe condizioni.

No, siamo ancora al punto di partenza. È importante metterci a studiare sul serio il problema perché quando l’Europa chiede spiegazioni ad una nostra richiesta, non dobbiamo sentirci offesi da chissà quale ingerenza, dobbiamo rispondere con le analisi più avanzate, forti di vent’anni di continuità territoriale applicata ma anche studiata.

Perché continuità non significa chiedere soldi ed imporre oneri, significa innanzitutto conoscere e misurare le reali esigenze di spostamento per le persone e per le merci, dimostrare con i numeri quali siano i maggiori costi di spostamenti più lunghi, o impediti, anche in termini di mancati sviluppi, dimostrare cosa significhi lasciare il sistema dei trasporti al libero mercato.

Gli studi non mancano, ma sono disomogenei e mal coordinati e probabilmente mai fatti propri dall’assessorato competente tanto che ad ogni legislatura sembra che si ricominci da zero. È un tema complesso, che coinvolge una quantità enorme di variabili, ma che vent’anni di continuità non ci hanno fatto diventare “maestri” ma anonimi principianti costretti a rincorrere scadenze e ricorsi dell’ultimo minuto.

Arrivati a questo punto, forse sarebbe stato meglio compiere un passo coraggioso: passare i prossimi 7 mesi, quelli che ci separano dal nuovo regime di continuità definito da un bando che appare essere “troppo debole”, in un periodo di totale e libero mercato, proprio nella stagione di bassa domanda a dimostrazione reale di ciò che non siamo riusciti a dimostrare fino ad oggi.

*Comitato scientifico per l’insularità in Costituzione

**Ingegnere trasportista

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