È tempo di riconsiderare i musei sardi [di Maria Antonietta Mongiu]

L’Unione Sarda 11 novembre 2021. La città in pillole.  Impressiona la differenza tra le attuali modalità e quelle con cui fu allestito il museo come luogo pubblico e sociale, quando Napoleone aprì il Louvre al popolo, dopo averlo riempito di manufatti che razziava in Europa e nel Mediterraneo.

La diversità non consiste nella nomea degli attuali architetti; si sa quanto vertiginosi fossero i nomi dei progettisti che, durante l’Otto-Novecento, misero mano ai musei delle capitali del mondo. Il vero distinguo è nel colore e nel suo uso. Certamente, negli arredi ma, soprattutto, nella percezione acromatica dei reperti e del mondo antico, di cui erano relitti e che venivano restituiti alla fruizione nel modo innaturale in cui tuttora, spesso, sono mostrati.

Le esposizioni replicavano – spesso continuano a farlo – le vetrine in cui nelle case borghesi si esponevano i servizi pregiati. Nei musei che possedevano complessi statuari e musivi, le pareti diventano le quinte di appoggio; mentre le spine centrali consentivano di ammirarli in una dimensione a tutto tondo. Esemplare il Museo archeologico di Napoli, tra i primi con la specifica destinazione d’uso. P

er mostrare al mondo la Collezione Farnese o i mosaici di Pompei che, progressivamente, venivano staccati, si prese a modello l’allestimento di J.J. Winckelmann che, durante il soggiorno romano, a metà del Settecento, inventò la classificazione, base del metodo archeologico di studio. Campo di applicazione? Il patrimonio marmoreo del Vaticano che allestì, secondo una maniera, divenuta, velocemente, canonica.

Tutti, compreso, Winckelmann, credevano che la statuaria marmorea antica fosse connotata dal bianco naturale. Di conseguenza, costruisce il paradigma del classico che, a sua volta, è fondativo del Neoclassicismo di cui Canova fu sublime interprete. Va detto tuttavia che la statuaria, fin dal Rinascimento, è monocroma per un’errata valutazione, anche allora, di quella greca e romana che, veniva in luce a Roma, durante i lavori.

Oggi è acquisizione diffusa che le statue venissero colorate; ma, soprattutto, che fosse policromo il mondo antico fin dalle origini. La percezione e il ruolo del colore sono diversi a seconda delle fasi storiche, delle culture, e delle geografie. Per stare a noi, molte delle tombe a pozzo di Tuvixeddu sono decorate con colori vivaci e secondo raffinate modalità ellenistiche che le pongono al vertice della pittura punica.

È forse giunto il tempo di riconsiderare i musei sardi; al di sotto del valore dei reperti e della loro comprensione.

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