Romeo e Giulietta a New York [di Franco Masala]

L’abbiamo molto amato fin dal travolgente inizio con la serie di linee verticali scomposte che diventano la selva di grattacieli di Manhattan prima di dar luogo alla più sensazionale coreografia all’aperto dell’intera cinematografia.

È il musical di Robert Wise e Jerome Robbins West Side Story, premiato con dieci Oscar (1961). Sessant’anni dopo ecco il remake di Steven Spielberg che aggiunge alla sua prestigiosa filmografia un genere finora mai praticato, uscendone con una vittoria – se non completa – decisamente interessante.

Già la scelta scenografica di una porzione di città diroccata con resti di palazzi che sembrano denti cariati, spesso fotografati dall’alto o in notturna, quasi una Gotham City, dà la misura di una regia giocata sul minimo dettaglio e su riprese efficacissime che trovano la massima riuscita nel gioco di ombre dominante la scena della rissa nel magazzino del sale.

Poi la caratterizzazione volutamente “sporca” dei personaggi, atta a sottolinearne l’emarginazione con un riscontro anche sociale e razziale, per esempio in tutte le portoricane che fanno le pulizie nella boutique di lusso. Ancora la lunga scena nel distretto di polizia con un campionario di violenze e ironia ben riuscito anche dal punto di vista drammaturgico.

In negativo invece la scelta del protagonista, Ansel Ergort, inespressivo e bamboccione (ma già nel ’61 il precedente, Richard Beymer, appariva inidoneo) mentre la giovanissima esordiente Rachel Zegler surclassa con la sua freschezza l’ultratrentenne Natalie Wood di un tempo, fuori ruolo. Sono tutti bravissimi gli interpreti delle due bande rivali con una lode speciale per il Riff di Mike Faist, il Bernardo di David Alvarez e, soprattutto, l’Anita di Ariana DeBose che si fanno valere sia nella recitazione che nella danza.

La sorpresa maggiore è però Rita Moreno, ormai novantenne, che Spielberg ha recuperato dalla prima versione del film che le era valso l’Oscar per la migliore attrice non protagonista proprio per il ruolo di Anita. Le è stato cucito addosso su misura il nuovo personaggio di Valentina, vedova di Doc, proprietario della drogheria base della banda dei Jets, che la Moreno recita (e canta: la sublime Somewhere) con partecipazione sentita e affettuosa.

Altro punto a favore la contrapposizione tra i colori sgargianti degli Sharks portoricani e quelli meno vistosi e più spenti dei Jets rivali mentre l’attenzione verso la questione sociale, compresa la speculazione edilizia che darà luogo al Lincoln Center, è un segno distintivo della regia di Spielberg.

Su tutto le straordinarie musiche di Leonard Bernstein, debuttanti a Broadway nel 1957, qui dirette da Gustavo Dudamel con la Los Angeles Philarmonic: da Maria a Tonight a America è tutto un fiorire di melodie notissime che obbligano a ricantarle appena usciti dal cinema.

L’adattamento cinematografico dello spettacolo di Broadway si basa sul libretto di Arthur Laurents e i testi per le canzoni di Stephen Sondheim sulla falsa riga del Romeo e Giulietta shakespeariano, così da diventare il primo musical senza un lieto fine. E tutto sembra un buon viatico per le dieci rappresentazioni di West Side Story previste finalmente al Lirico di Cagliari per il prossimo dicembre nell’allestimento di un team americano capeggiato dalla Lyric Opera di Chicago.

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