Chiara Samugheo: eros e magia [di Silvia Mazzucchelli]

https://www.doppiozero.com/Carla Cerati, Lisetta Carmi, Letizia Battaglia, Gabriella Mercadini, Inge Morath, Marilyn Silverstone, Ruth Orkin, Ida Wyman: questa lista di nomi, che potrebbe facilmente essere allungata, è fatta di donne fotoreporter nate a cavallo degli anni Venti e Trenta e che hanno operato nel secondo dopoguerra.

Non sono riconducibili ad un’idea collettiva e neanche ad un qualche movimento culturale, sono donne che, in piena autonomia e singolarmente, sono riuscite, tutte insieme e ciascuna con la propria voce, a documentare il passaggio che ben si può definire epocale dalla società della produzione a quella del consumo. Questa generazione di fotografe, già matura negli anni della contestazione e della consapevolezza femminista, si è arresa solo davanti alla inesorabile legge del tempo.

Due anni or sono ci ha lasciati Grace Robertson, a giugno dello scorso anno Giulia Niccolai, circa un mese fa Sabine Weiss e pochi giorni or sono Chiara Samugheo. Nomi di professioniste che non solo hanno firmato servizi per le testate più importanti della loro generazione, ma che spesso hanno preceduto analoghe esperienze dei loro colleghi maschi.

Giulia Niccolai, ad esempio, nel 1954 si reca a New York e vi realizza dei reportage sull’ambiente metropolitano e sugli artisti della pop art prima di Carlo Bavagnoli e di Ugo Mulas, che ci andranno rispettivamente nel 1959 e 1964. Anche Chiara Samugheo precorre i tempi: nel 1954 la troviamo alla cappella di San Paolo a Galatina a ritrarre i volti, i gesti, gli sguardi e i corpi delle tarantate, ben prima di quelle realizzate da Franco Pinna, nell’estate del 1959, a seguito dell’équipe diretta da Ernesto De Martino e incluse nel suo saggio La Terra del Rimorso. Le note che seguono sono dedicate proprio a lei, accomunata alle altre da un’indole indomita e determinata, ma che se ne distingue per un percorso esistenziale e artistico particolare.

Chiara Paparella nasce a Bari nel 1925, ma un suo vezzo era di dire dieci anni dopo, da genitori originari di Ruvo e Corato, paesi agricoli della fascia interna della provincia. Questo dettaglio, come si vedrà, non è da trascurare. Nel 1953 decide di trasferirsi a Milano e qui fa alcuni incontri importanti.

Il primo è con Pasquale Prunas, che diventerà anche il suo compagno e che le suggerisce di cambiare il cognome, uno di quei soprannomi che in una parola scolpiscono per sempre ed ereditariamente i tratti presunti di un individuo. Prunas è sardo e le propone il nome di un paese sardo: la “paparella” diventerà Samugheo.

Poi la incoraggia a fotografare e le offre la possibilità di lavorare per Le Ore, la rivista che aveva fondato insieme a Salvato Cappelli e Giuseppe Trevisani. Secondo Prunas “Ci sono immagini che, montate una dietro l’altra, fanno un racconto. Preciso. Efficace. Che colpisce. Che dà un giudizio con la freddezza di un occhio di vetro ed il lampo di una sensazione”.

Il primo servizio di Chiara Samugheo risponde efficacemente al manifesto programmatico, si tratta di fotografare a Predappio la famiglia contadina dei Mussolini, i parenti del Duce. Il lavoro, intitolato I Mussolinidi, sarà pubblicato nel 1953. L’anno successivo documenta, sempre su Le Ore, la missione di don Mario Borrelli, il prete che a Napoli raccoglieva dalla strada i bambini orfani e dava loro ospitalità nella Casa dello scugnizzo. Queste immagini lo mostrano mentre gioca con i ragazzi, salta, si dimena, come se fosse uno di loro, mentre, senza tonaca, telefona.

L’altro importante incontro è con Guido Aristarco. Fra il 1954 il 1956 Cinema Nuovo, la rivista da lui diretta, pubblica nell’inserto centrale del giornale una serie di “fotodocumentari” che, attraverso fotografie e brevi testi impaginati da Albe Steiner, propongono diverse storie, offerte come spunto per possibili soggetti cinematografici. Il 10 gennaio del 1955 viene pubblicato Le invasate, il servizio che Chiara Samugheo dedica al tarantismo, con un testo di Emilio Tadini, a cui fanno seguito, sempre nel 1955, i servizi sulle baraccopoli napoletane, I bambini di Napoli, e Le zingare in carcere con i testi di Domenico Rea e Michele Prisco.

“Era un tempo nel quale ci si poteva illudere. Ed io mi illusi di poter contribuire con le mie fotografie a rivelare mali e contraddizioni del paese, raccontarne usi e costumi. Qualcosa riuscii a fare ma ben presto dovetti constatare che lo spazio professionale che mi era concesso si andava restringendo non tanto perché diminuissero mali e contraddizioni del paese o fossero migliorati gli usi e i costumi della gente ma semplicemente perché via via scomparivano quei giornali (pochi) che si interessavano ai problemi della società italiana”.

Chiara Samugheo si è spostata a Milano, cerca un altro stile di vita, specialmente dopo che la carta stampata ha bruscamente cambiato la rotta. Ma essere nate in un certo ambiente famigliare e culturale non è un accidente, lascia tracce profonde, anche inconsapevoli, un imprinting.

 

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