Il mondo ricco è a corto di manodopera [di Rafia Zakaria]

https://www.internazionale.it 14 luglio 2022. Dawn, Pakistan. Le persone si riversano a Disneyland di Orlando, in Florida, come ogni estate. L’allentamento delle norme sulla pandemia spinge i turisti a sentirsi molto più a loro agio nell’interagire con gli altri nei luoghi affollati. Ma alcune sorprese attendono coloro che si avventurano fin lì. La carenza di manodopera negli Stati Uniti fa sì che il paese abbia qualche milione di posti di lavoro in più rispetto ai lavoratori disposti a svolgerli.

A Disneyland questo ha significato la chiusura delle attrazioni e la disponibilità limitata dei ristoranti, semplicemente perché non ci sono abbastanza persone per lavorarci. Secondo Disneyland le carenze peggiori si avvertono nell’intrattenimento dal vivo e nell’ospitalità, settori che sono stati lasciati a bocca asciutta dal mercato delle assunzioni postpandemia.

Non è solo un problema di Disneyland. In tutti gli Stati Uniti i cittadini sono testimoni di un fenomeno mai sperimentato prima. I fast-food stanno chiudendo le corsie dei drive-through perché non c’è più gente per lavorarci. Nelle maggiori catene di supermercati, come Walmart e Target, le casse in uscita sono state ridotte a una o due, mentre centinaia di clienti aspettano in fila il loro turno. E il problema è ancora più grave per i piccoli imprenditori, alcuni dei quali hanno chiuso completamente la loro attività perché non sono riusciti a mantenere il personale.

Occupazione di corto respiro. La camera di commercio degli Stati Uniti, descritta come “la più grande organizzazione imprenditoriale del mondo”, ha affermato che “durante la rimodulazione conseguente alla pandemia, i lavori che richiedono una presenza di persona e che tradizionalmente hanno salari più bassi hanno avuto maggiori difficoltà a trattenere i lavoratori. I settori del tempo libero, dell’ospitalità e della vendita al dettaglio, per esempio, hanno registrato i tassi d’abbandono più elevati dal novembre 2020, costantemente superiori al 4,5 per cento”.

Le cose non vanno molto meglio nel Regno Unito. Nelle ultime settimane sono circolate su internet foto inquietanti di Heathrow piena di enormi pile di bagagli abbandonati. Alcuni dei passeggeri che hanno dovuto attraversare l’aeroporto hanno riferito di non essere riusciti a recuperare i bagagli per cinque o sei giorni. Ma stiamo parlando, in realtà, dei fortunati che sono almeno riusciti a prendere il loro volo. All’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi le persone devono mettersi in fila per più di tre ore prima del volo per riuscire a superare i controlli di sicurezza. Semplicemente non ci sono abbastanza guardie di sicurezza per far avanzare le file a un ritmo ragionevole.

Non esiste una sola ragione o soluzione per questa crisi. Sia gli Stati Uniti sia il Regno Unito hanno bassi tassi di crescita della popolazione. Se a questo si aggiungono il rimescolamento causato dal covid-19 e il fenomeno cosiddetto delle grandi dimissioni (che ha visto milioni di statunitensi rinunciare al loro posto di lavoro in azienda), si ottiene il disastro che è l’attuale mercato del lavoro.

È anche vero che i lavori che la gente sta lasciando sono quelli che non hanno una buona prognosi a lungo termine. L’industria alberghiera ha vissuto tagli enormi durante e dopo il covid-19, poiché i viaggi d’affari, il loro principale motore di entrate, sono rimasti indietro rispetto ai volumi prepandemia. Per quanto riguarda il lavoro alle casse e nel rifornimento degli scaffali, tutti coloro che lavorano nel settore della vendita al dettaglio sanno che questi impieghi saranno presto sostituiti da robot e altre forme di automazione.

Aprire le porte all’immigrazione. Ma anche escludendo queste mansioni, resterebbero comunque milioni di posti di lavoro scoperti. Il Baker institute della Rice University ha pubblicato un rapporto nel quale sostiene che i lavoratori nati all’estero devono essere parte della soluzione. Il rapporto sottolinea che, sebbene solo l’1,8 per cento degli immigrati negli Stati Uniti lavori nel settore dell’agricoltura, della pesca o della silvicoltura, essi rappresentano più del 35,3 per cento di tutti i lavoratori in questi settori. Allo stesso modo alte percentuali di immigrati si ritrovano tra i lavoratori dell’edilizia, dell’ospitalità, delle pulizie e della manutenzione degli edifici.

Il rapporto del Baker institute non vede alcuna via d’uscita da questo rompicapo, se non la creazione da parte degli Stati Uniti di programmi di immigrazione basati sul lavoro e che consentano alla manodopera d’origine straniera di colmare le lacune dell’economia statunitense. “Il governo dovrebbe anche espandere alcuni degli attuali programmi di visti temporanei e pianificare nuovi programmi per ulteriori lavoratori temporanei”, si legge nel rapporto.

Sebbene il rapporto prenda in considerazione soprattutto i lavoratori poco qualificati, le aziende sono in difficoltà anche nel tentativo di assumere lavoratori altamente qualificati. Le aziende tecnologiche dichiarano di essere alla disperata ricerca di lavoratori nel campo della sicurezza informatica; secondo la Cybersecurity ventures, oltre settecentomila posti di lavoro nel campo della sicurezza informatica sono disponibili ma non coperti negli Stati Uniti.

L’attuale sentimento xenofobo negli Stati Uniti e il sistema di immigrazione statunitense, generalmente poco efficiente, fanno sì che tutti i lavori che possono essere automatizzati o trasformati in lavoro a distanza seguiranno questa strada. Se gli impieghi che richiedono un lavoro fisico saranno occupati da lavoratori immigrati provenienti dal Messico e dal confine meridionale, la maggior parte degli altri sarà automatizzata e delocalizzata all’estero. L’automazione potrebbe significare che occupazioni come la gestione della cassa di un supermercato – che tradizionalmente richiede la presenza fisica di un lavoratore – potranno ormai essere svolti da chi vive in un altro paese a migliaia di chilometri di distanza.

Secondo un servizio andato in onda di recente all’interno della trasmissione d’informazione statunitense 60 Minutes, prima della pandemia un posto di lavoro statunitense su 67 era effettuato a distanza e poteva essere svolto da qualsiasi parte del mondo. Negli Stati Uniti postpandemia pare che un lavoro su sette sia svolto a distanza. Attualmente la maggior parte di queste posizioni lavorative è occupata da lavoratori statunitensi, poiché la maggior parte di loro ama la flessibilità dell’impiego a distanza. Tuttavia il lavoro da remoto potrebbe rivelarsi l’opportunità di lavoro del secolo anche per i lavoratori qualificati di altre parti del mondo.

È probabile che i legislatori statunitensi approvino leggi che impediscano l’“esportazione” di posti di lavoro a distanza, ma al momento queste non esistono. I lavoratori altamente qualificati in Pakistan dovrebbero migliorare il proprio curriculum su LinkedIn e darsi da fare nel candidarsi per impieghi che in precedenza erano loro preclusi per problemi di visto. Se è vero che negli Stati Uniti ci sono meno lavoratori che in passato, ce ne sono invece milioni desiderosi e disponibili a lavorare dal Pakistan.

*Traduzione di Federico Ferrone. Questo articolo è uscito sul quotidiano pachistano Dawn.

 

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