La stentata vittoria di Lula rivela la forza dei populismi [di Pierre Haski]

https://www.internazionale.it 31 ottobre 2022 France Inter, Francia. Il ritorno di Luiz Inácio Lula Da Silva alla presidenza del Brasile è un nuovo capitolo della sua leggenda personale: ex operaio diventato presidente del più grande paese dell’America Latina, Lula è dovuto passare dal carcere prima di riuscire a vincere queste elezioni estremamente sofferte.

Eppure l’aspetto più sorprendente del voto brasiliano non è l’exploit di Lula, ma lo scarto minimo con il suo avversario, Jair Bolsonaro: 50,9 per cento dei voti per Lula, 49,1 per Bolsonaro. L’enorme numero di preferenze ottenute dal presidente uscente, e questo nonostante un mandato disastroso, alimenta diversi interrogativi.

Bolsonaro ha negato il covid, ha consentito la deforestazione dell’Amazzonia, non ha fatto nulla per impedire l’aumento della povertà e ha dato prova di un’etica personale sempre più degradata. Fino a qualche mese fa si pensava che con un simile bilancio non potesse nemmeno candidarsi. Oggi invece scopriamo che ha sfiorato la vittoria.

Ad alimentare i timori è questo carattere inossidabile del potere di Bolsonaro, rafforzato dalle fake news onnipresenti durante la campagna elettorale, dal sostegno prezioso degli evangelici e dalla fedeltà cieca dello zoccolo duro dei suoi seguaci. Bolsonaro condivide queste caratteristiche con altri due politici che dovranno misurarsi a breve con le urne: Benjamin Netanyahu e Donald Trump.

Negli Stati Uniti si ritrovano gli stessi ingredienti: polarizzazione, disinformazione massiccia, peso degli evangelici e personalità del leader

Tutti e tre i leader populisti hanno forgiato un rapporto quasi mistico con i loro elettori, e gli scandali che farebbero cadere chiunque altro non li sfiorano nemmeno.

Il 1 novembre gli elettori israeliani parteciperanno alle quinte elezioni legislative negli ultimi tre anni e mezzo. Ancora una volta al centro della contesa c’è un solo elemento: pro o contro “Bibi”, soprannome di Netanyahu. L’ex primo ministro è sotto processo per corruzione, frode e abuso di potere.

Ma ai suoi elettori, animati da una fede incrollabile, questo non interessa, anche se Bibi è pronto a tutto pur di sfuggire alla giustizia, compresa un alleanza con l’estrema destra la cui violenza fa impallidire quella dei “colleghi” europei. I detrattori di Netanyahu temono una deriva “illiberale” in caso di una sua vittoria. La società israeliana è spaccata in due.

Lo stesso scenario si presenta in Brasile (lo dimostra il risultato di stamattina) e negli Stati Uniti, dove tra otto giorni si terranno le elezioni di metà mandato tanto temute dal presidente Joe Biden.

Donald Trump, che non è candidato ma resta il padrone del Partito repubblicano, è un altro leader carismatico il cui potere sembra immutabile. Trump è alle prese con una serie infinita di problemi legali, eppure il 31 ottobre si è sentitoi in diritto di definire Joe Biden un “criminale” senza che nessuno avesse nulla da ridire.

Negli Stati Uniti si ritrovano gli stessi ingredienti presenti in Brasile: polarizzazione, disinformazione massiccia, peso degli evangelici e personalità del leader.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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