A sinistra la questione non è morale ma politica [di Alessandro Calvi]

https://www.essenziale.it/Internazionale 16 dicembre 2022. Enrico Berlinguer davanti allo stabilimento della Fiat a Torino, 25 settembre 1980. (Edoardo Fornaciari, Getty Images). Davanti allo scandalo al parlamento europeo, che coinvolge persone legate alla sinistra italiana, bisogna usare bene le parole di Enrico Berlinguer: nella seconda repubblica i partiti sono diventati più strumento di potere che portatori di idee.

La questione morale posta nel 1981 da Enrico Berlinguer non aveva a che fare con un’idea astratta di onestà o di purezza morale, ma con il rapporto tra politica e potere. Nelle parole che il segretario del Partito comunista italiano (Pci) affidò a Eugenio Scalfari, e che confluirono in una famosa intervista pubblicata su Repubblica, non c’era nessun moralismo. C’era invece una asciutta ma durissima denuncia del sistema di potere che dal dopoguerra si era consolidato in particolare, ma non soltanto, intorno alla Democrazia cristiana.

“I partiti non fanno più politica”, affermava in quell’intervista Berlinguer, rivendicando la diversità del Pci e spiegando che le altre forze politiche si erano trasformate in macchine di potere e clientela, e gestivano gli interessi più disparati senza più “alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune”.

“La loro stessa struttura organizzativa”, diceva ancora il segretario del Pci, “si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un ‘boss’ e dei ‘sotto-boss’”.

Il cuore del ragionamento, come è evidente, era soprattutto politico: “La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati”. Purtroppo negli ultimi trent’anni – quelli della cosiddetta seconda repubblica – quel sistema denunciato da Berlinguer pare invece diventato patrimonio ideale condiviso da tutti i partiti.

Le parole di quarant’anni fa sono applicabili con inquietante precisione anche alle formazioni politiche che oggi si collocano nel centrosinistra, di fatto ormai quasi indistinguibili dai partiti governativi di allora sotto il profilo degli interessi e perfino dei valori rappresentati.

Come hanno sottolineato molti osservatori per spiegare le ragioni della sconfitta del Partito democratico (Pd) alle ultime elezioni politiche, ciò riguarda soprattutto proprio il Pd, organizzazione che è nata e si è sviluppata come strumento di potere più che come partito di idee. E che avendo ora perso il potere è entrato nella sua crisi più profonda. Ma naturalmente è un problema che non riguarda solo il Pd.

Rilette oggi, insomma, le parole di Berlinguer sono in grado di spiegare la crisi dei partiti dell’attuale centrosinistra. E si tratta di una crisi soprattutto politica. Per i leader di quei partiti ammetterlo significherebbe ammettere la propria sconfitta culturale. Ed è anche per questo che tra quei dirigenti si fatica spesso a rispondere sul tema delle distorsioni nel rapporto tra potere e politica, anche quando le domande non hanno nulla a che fare con il coinvolgimento nelle inchieste della magistratura. E tutto si fa più difficile quando quel coinvolgimento – direttamente o indirettamente – si realizza.

È ciò che sta succedendo in questi giorni, con la notizia relativa a un presunto sistema corruttivo annidato all’interno delle istituzioni europee, sul quale sta indagando la magistratura belga e che coinvolgerebbe esponenti politici italiani riconducibili al centrosinistra.

Così, in questi giorni, a sinistra si è rimasti per lo più in silenzio o quasi. E, quando si è deciso di parlare, invece di affrontare la questione politica – ossia la trasformazione anche a sinistra dei partiti in “federazioni di camarille” al servizio di leader carismatici – si è preferito affondare il colpo sugli aspetti giudiziari, si è preferito mostrarsi indignati e cedere a un moralismo che si accende rapidamente, come altrettanto rapidamente si spegne.

Ma non può stupire: in fin dei conti è un modo per provare a limitare le responsabilità all’attività di singoli, e dunque per tentare di salvare la baracca senza affrontare i nodi politici che sono alla base di ogni cosa. Anche se quei nodi minano la baracca alle fondamenta molto più di quanto non facciano singole vicende giudiziarie.

Ecco allora che nel Partito democratico si è definito lo scandalo come “inaccettabile”, e sono state annunciate massima inflessibilità e intransigenza nei confronti di chi dovesse essere coinvolto. Gettate sul piatto così, senza nessun tipo di analisi, restano parole inutili, e tanto consuete da essere ormai logore.

Né possono sorprendere quelle contenute in un’intervista di Roberto Speranza, leader di Articolo 1, formazione nella quale militava uno dei politici coinvolti, uscita sulla Stampa con un titolo inquietante: “Nessun garantismo su Panzeri, siamo noi a chiedere chiarezza”. In quelle parole c’è tutto lo smarrimento di una sinistra che, oramai trent’anni fa, concorse con altre forze nell’affidare alla magistratura una funzione moralizzatrice che non trova spazio nella costituzione ma ne trovò molto nel vuoto ideale e politico che anche aveva ingoiato la sinistra e ancora l’avvolge.

In questo deserto, l’unico a fare una vera analisi politica sembra essere Gianni Cuperlo, deputato del Pd, del quale in passato fu anche presidente. “La sinistra”, ha scritto intervenendo sulla Stampa, “è chiamata a fare i conti con una questione morale penetrata dentro di sé e che nessuna scorciatoia, individuale o giudiziaria, può assolvere”. La questione morale di oggi sta infatti “nell’aver corrotto non già e non solo gli individui, ma la nozione stessa di politica”. Ma la sua resta per ora una voce nel deserto.

Cuperlo peraltro afferma ciò che è evidente già da molti anni, e che i leader politici del centrosinistra hanno ignorato, forse distratti dalla convinzione che la forza del loro potere fosse giustificazione sufficiente per l’esercizio di quello stesso potere.

Convinti insomma della verità contenuta in una famosa battuta di Giulio Andreotti: “Il potere logora chi non ce l’ha”. E invece il potere ha logorato un’intera classe politica, quella che a sinistra lo ha incarnato in questi ultimi tre decenni, e che per insipienza, convenienza o conformismo appare tuttora sostanzialmente inconsapevole delle ragioni della propria crisi, e perfino delle proprie responsabilità in quella stessa crisi.

 

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