Il volto inedito della discriminazione di genere [di M.Tiziana Putzolu]

ocse

Mio padre diceva che è brutto essere poveri, perché non si può studiare e senza titolo di studio non si può fare strada. (Enrico Mattei, Discorso per il conferimento della laurea honoris causa all’Università di Camerino). Il fenomeno della dispersione scolastica in Sardegna (e non solo) è maschio. E povero. Il problema della dispersione scolastica in Sardegna non è nelle mura delle scuole. I 40 milioni di euro stanziati qualche giorno fa dal nuovo Presidente Pigliaru e dalla sua Giunta per l’edilizia scolastica sono, però, una buona notizia. Non per la scuola, si intende, ma per il settore dell’edilizia.

Da tempo, ormai, e da più parti, si implorava una iniezione di denaro rivolto ad opere pubbliche per rimettere in moto l’economia. Ed in Sardegna, con i dati sconfortanti provenienti dal settore edile, tra quelli che più hanno sofferto ed ancora soffrono la crisi, l’adeguamento delle strutture scolastiche può rappresentare un fruttuoso ed accorto metodo per iniziare a guarire la malata grave, l’isola. Sempre che i denari arrivino nelle tasche delle imprese e dei suoi lavoratori, prima o poi.   

Ma in realtà ed al di là di questa operazione economica dal sapore propagandistico – renziano, il problema della scuola in Sardegna, e di conseguenza della società sarda e meridionale in genere, del suo futuro, non sono i pur importanti edifici, ma il fenomeno inarrestabile della dispersione degli abitanti di quelle scuole, cioè gli ‘scolari’. Che in maniera sempre più massiccia lasciano prematuramente la scuola prima del conseguimento del diploma di secondo grado. In realtà, molto prima. Perché il fenomeno della cosiddetta dispersione avviene nei primi due anni di frequenza alle scuole ‘superiori’. E non è affatto detto che la posa delle belle lavagne LIM o gli edifici messi a nuovo siano capaci di arrestare il fenomeno. Sono importanti, ma non basta.

La situazione italiana ci parla di un dato, agli addetti ai lavori assai noto, che mostra un recentissimo 18,2% di abbandono scolastico prematuro, mentre nel resto del continente europeo la media è pari al 13,5%. Il dato più allarmante lo troviamo delle disarticolazioni territoriali. Nella declinazione del fenomeno per Regioni, Sardegna e Sicilia descrivono un fenomeno tra i più preoccupanti. Nella nostra regione il numerino tocca ormai il 28% circa. Non è chiaro se a qualcuno i numeri osservati dicano qualcosa. I fatti, però, nella vita reale, hanno già prodotto anno dopo anno una massa di popolazione in possesso della sola terza media. Quella matura, quella che dovrà gestire il futuro sempre più globale e globalizzato, sempre più interconnesso e tecnologico. Per precisare meglio il concetto, lo srotolamento negli ultimi anni del fenomeno lasciato senza ‘argini’ evidenzia un 45% della popolazione (compresa tra i 25 ed i 65 anni) nel pieno della capacità lavorativa ma con la terza media.

Poiché la popolazione in Sardegna, per fenomeni che si incrociano e si autoalimentano (scarsa natalità, emigrazione giovanile crescente, invecchiamento della popolazione) non è destinata ad aumentare, e fra qualche anno (non fra generazioni, ma solo fra qualche anno) i destini dei sardi saranno in mano e poggeranno le terga su un terzo della sua popolazione giovane che possiede il titolo di istruzione minimo, con scarse capacità di calcolo, lettura e comprensione dei testi scritti (dati 26° Rapporto Ocse). Le riflessioni più aggiornate mostrano una dimensione del fenomeno largamente sottovalutata, così come scarsi sono i mezzi (non economici, ma soprattutto intellettuali) finora approntati per affrontarla e combatterla. Insomma, piove sul bagnato.

Ma c’è di più. Siamo infatti in grado di osservare il fenomeno secondo una statistica ‘di genere’, che per una volta è rovesciata: perché il numero dei ragazzi che lasciano prematuramente la scuola (prevalentemente quella tecnica e professionale) è circa il doppio di quello relativo alle ragazze. Questo non è un bene, malgrado ciò che possa pensare qualcuno, vedendo in questo passaggio una rivincita del ‘sesso debole’ su quello forte. Se da un lato è positivo che le performance ed i risultati scolastici delle ragazze siano aumentati rispetto a quello dei maschi (con notevoli differenze a seconda dei campi disciplinari, sempre per Ocse 2012), non è positivo in assoluto. Perché profila lo skyline di una società, sarda, comunque diseguale. Diseguale nei saperi, diseguale nelle opportunità, diseguale nella capacità di visione di quegli orizzonti futuri che ognuno ha per sé e per la società intera.

Uno studio  abbastanza emblematico e poco divulgato, a mio parere, basato sui test PISA (che sta per Programme for International Student Assessment) dal titolo che in italiano suona ‘Le aspettative legate ai voti’ (Ocse 2013) denuncia in buona sostanza quanto il sistema di valutazione adottato dagli insegnanti non solo sia imparziale nell’attribuire le valutazioni ed i voti ai propri allievi (tema centrale del rapporto scuole – famiglie), ma quanto questo incida ed influisca sulle scelte future dei ragazzi, prima fra tutte sulla scelta se ne valga la pena di proseguire o meno gli studi, innescando profezie individuali che si autoalimentano.

Con l’Italia che sarebbe capofila di questa tendenza. In più lo studio pone marcatamente l’accento sulla diseguale attenzione degli insegnanti nei confronti degli allievi, maschi, provenienti da ambiti socio economici svantaggiati. Dice che ‘istituzioni educative ed insegnanti ricompensano costantemente caratteristiche degli studenti che non hanno relazione con l’apprendimento’ e che baserebbero le valutazioni su criteri più sommativi. Aggiungiamo che la scelta della scuola superiore deriva, per la gran parte dei ceti meno abbienti, dalla collocazione della scuola in termini di distanza e costi rispetto alla propria abitazione, per affinare il quadro della situazione.

Questi fenomeni sociali sono lenti da arginare. E l’isola che ha visto nell’istruzione parte del suo riscatto, parte della sua ‘rinascita’ nel dopoguerra, soprattutto per il contributo fortemente emancipatorio delle donne, non può pensare di liberarsi frettolosamente dalla sciagura di ragazzi che non sanno calcolare una percentuale neppure con l’aiuto della calcolatrice del proprio cellulare, l’area del quadrato, decodificare i significati di un testo letterario, ed in più poveri se non poverissimi; non può più ignorare la nostra ennesima sciagura abbellendo edifici che rimarranno vuoti, da qui a qualche anno. Affronta il problema rivedendo i concetti di ‘capaci e meritevoli’, se ci riesce; seleziona una migliore classe di insegnanti, come si fa nei paese del nord Europa. E qualcosa che si chiamava un tempo ‘diritto all’istruzione’. Ma forse erano veramente altri tempi.

*Consigliera di Parità della Provincia del medio Campidano

 

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