Caso e necessità [di Giuseppe Pulina]

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Leggendo i racconti di Guido Pegna, mi è tornato in mente che quando insegnavo Statistica agli studenti del primo anno della facoltà di Agraria, avevo molta difficoltà a fare capire loro la differenza essenziale fra determinismo e casualità. Allora avevo inventato questa storiella che riproponevo loro anno dopo anno, con qualche variazione, all’inizio delle lezioni e, sinceramente, con risultati soddisfacenti nella comprensione di ciò che anche per molti è un mistero di cui avere timore reverenziale. Eccola.

“Una fredda mattina di marzo il signor Caso incontrò la signorina Necessità. Appena riconosciutola, egli si esibì in un perfetto inchino, Buongiorno Signorina, che piacere incontrarla, squillò con un largo sorriso. Buongiorno a lei, ribatté ella niente affatto sorpresa, A dirle la verità mi aspettavo questo incontro. Eh, fece con fare ammiccante lui, da quando la conosco lei ha sempre previsto i nostri incontri che per me restano, mi lasci dire, così sorprendentemente incerti. Scusi, aggiunse facendosi serio, dove starebbe il piacere della sorpresa nel vedere un conoscente se tutto fosse sempre rigidamente programmato?

La signorina tacque quasi rapita dall’abbigliamento disarmante del suo interlocutore. Per quanto si sforzasse di ricordare, non l’aveva mai visto conciato con un minimo di criterio. Le scarpe spaiate facevano letteralmente a botte con la cravatta indossata in barba ai più elementari principi di accostamento dei colori e delle forme. Non solo quest’uomo non ha uno stile ben definito, pensò turbata, ma semplicemente non ha uno stile. Sinceramente, mi riuscirebbe difficile formulare gli accostamenti strampalati che ogni volta gli ho visto indossare.

Da parte sua lei sembrava l’immagine della perfezione. Non un ciuffo fuori posto, non un filo negli abiti, non un colore che non fosse perfettamente intonato con gli altri. Del modo di essere dell’uomo ciò che lei sopportava meno era quel suo vizio di giocare perennemente con una monetina,  lanciandola per aria e costernandosi ogni volta per la faccia che questa mostrava nel ricadergli sul palmo della mano. E la smetta un attimo! sbottò la signorina Necessità. Le ho detto tante volte che mi innervosisce… Scusi, davvero… rispose il signor Caso, riponendo velocemente la moneta nelle ampie tasche del soprabito.

Ma anche la sua manìa di giocare a scacchi non appena si trova sotto mano una scacchiera non è meno fastidiosa. Tanto, sa, anche in un gioco così rigorosamente determinato c’è un minimo di casualità. E quale sarebbe? ribatté lei piccata. Ma la scelta del colore con cui giuocare, naturalmente, esattamente come per la faccia della mia moneta. La differenza è che io poi non perdo altro tempo per sapere come va a finire! concluse ridacchiando. La signorina ammutolì. Era inutile continuare a discutere con costui  o sarebbe andata come le altre volte, cioè male.

Due corvi schioccarono l’aria rincorrendosi fra i tetti. Necessità si scosse da questi pensieri e decise di cambiare discorso, Cosa diceva a proposito del nostro incontro? Che non ci sarebbe gusto se le si fosse ricordato per una volta dell’appuntamento? Lei, nel suo sommo disordine mentale e materiale che io paragono soltanto a quello a cui si avvicina soltanto il suo cugino primo, il signor Caos che conosco bene, non capisce che questo mondo funziona soltanto perché siamo capaci di formulare previsioni certe circa il futuro.

Cosa succederebbe se, dato un appuntamento, ci si scordasse sistematicamente ora e luogo da parte dei convenienti? Sarebbe il caos, appunto, concluse mentre scorgeva un’ombra sinceramente interrogativa sul volto di lui. Ah, mi scusi, aggiunse, Ma, appunto, lei non rispetta mai un rendez-vous, tanto si sa che lei è un gran smemorato…Lei tacque e il silenzio si impadronì della strada, mentre un grappolo di nuvole nere frastagliava il cielo in sprazzi di  sole e di piovaschi. I due camminarono per un lungo tratto in silenzio riparandosi sotto i balconi per sfuggire agli improvvisi scrosci di pioggia.

La signorina Necessità prese l’uomo sottobraccio, quasi per proteggersi dalle improvvise intemperie, e lui la vide per la prima volta, bellissima nella sua perfezione e, quasi, gli prese un moto di vergogna per il suo aspetto vagamente trasandato. Gli vennero in mente le parole della madre Alea, Figlio mio, tu hai bisogno di una donna ordinata. Cercala subito, altrimenti finirai come tuo cugino che è tanto disordinato che  non gli si avvicina più nessuna ragazza per bene. Avrei bisogno di una donna, sussurrò quasi fra se, e lei, che lo aveva già scelto, gli strinse l’avambraccio.

Finirono in un caffè, a raccontarsi due vite diversissime e a capire come potesse vivere uno senza aspettarsi nulla dal futuro e l’altra  sapendo esattamente quello che sarebbe successo comunque, ma l’amore unisce gli impossibili e finirono per sposarsi, non senza che lei producesse uno sforzo straordinario anche per averlo all’altare il giorno convenuto. Ebbero una figlia bellissima, alla quale misero il nome di Statistica.”.

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