Spogliarsi di tutto, solo così si è veri politici! [di Carlo Mario Sotgiu]

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Una nuvola nera staziona fissa fino all’uragano sulla politica sarda. Pari a zero sostenere che un Rolex è più immorale di un convegno sulla pecora nel “proprio territorio”. Sarebbe più dignitoso chiedere scusa, andare a casa, e spogliare la politica dai comportamenti al di sopra di ogni pubblica opinione. Una rapida scorsa ai commenti dei politici. Che distanza da quelli nelle botteghe! La fuga dalle urne è la conseguenza! Altro che chiacchiere sul rinnovamento, altro che circoli alternativi e partecipati, altro che cinici camuffati da intransigenti, altro che annunci di non ricandidature con ammiccamenti a ulteriori ruoli istituzionali. Nessuno che voglia ritornare al “lavoro usato”. Forse perché non l’hanno mai avuto o ritengono che il vero mestiere è la politica.

Mettiamola così, facendola semplice come deve essere. Essere cooptati/e in Consiglio regionale o in Parlamento è come vincere alla Lotteria. In un luogo dove uno stipendio è un miraggio, avere ogni mese.…a proposito… quanto? Qualcuno lo sa esattamente? Un ex consigliere andato a giudizio preciso preciso non lo sapeva. Ventimila? Dodicimila? Novemila? Seimila? Fino a dieci volte quello di un funzionario? E poi benefit e pensioni cumulabili. Persino l’argent de poche dai soldi del gruppo? Significa fare di uno/a qualsiasi un vero benestante che il tempo rende più avido/a.

Chiariamo un punto. I politici abbiano uno stipendio decente. Oggi è troppo persino se paragonato alle altre regioni italiane od europee. Ecco perché nel palazzo il distacco dalla realtà è palpabile. Tanti soldi fanno perdere il senso delle cose e persino la testa. Non c’è occupazione in Sardegna che garantisca tali guadagni. C’è una diversa spiegazione per la trasformazione antropologica dei fortunati? Ed allora i due mandati diventano tre, il cursus honorum dopo il Consiglio prevede il Parlamento e magari l’Europa o un assessorato. Nessuno che renda conto del lavoro, delle presenze in Consiglio o nelle Commissioni. Nessuna valutazione. Nulla che faccia capire agli elettori l’impegno degli eletti. Solo chiacchiericcio legato alle abilità personali di comunicazione, alle relazioni giuste, al clan o alla tribù, al trasformismo o al mimetismo ad orologeria.

L’inchiesta della magistratura è la cartina di tornasole della perdita di senso dei politici. Riguarda destra e sinistra. Non si dica che il punto del contendere sia sostanzialmente la rendicontazione. Ha ragione chiunque ribadisca che per principio costituzionale, ogni finanziamento pubblico vada rendicontato. Si deve giustificare la congruità. Se così non fosse si chiama peculato.

Sia detto subito, nessuno condanna nessuno a priori. Nondimeno tutti dimostrino la coerenza dei soldi spesi con le attività e la rendicontazione. Senza è un invito alla distrazione dei fondi, alla paghetta aggiuntiva. È anche qualcosa di più. È segno di protervia, del potere per il potere. Di insopportabile impunità. La questione morale, ancora una volta, è il punto centrale dell’agire politico. Ovvero perché uno fa politica? L’impegno per gli altri e per il bene comune solo una favola da raccontare agli ingenui? Non può essere strumento del dominio personale o di un gruppo.

Se ne ricava una storia della Sardegna non solo triste, disperante piuttosto. La XIII Legislatura è stata quella che doveva cambiare la Sardegna. E per tantissime cose così è stato. Perché da quella si riparta si attende ancora una valutazione politica su esecutivo e su assemblea legislativa. Senza la sinistra perderà ma solo per colpa sua.

*Sociologo. Esperto delle politiche dello sviluppo

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