La Sardegna capitale dell’antipolitica [di Pietro Ciarlo]

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Le elezioni europee segnalano con straordinaria forza non solo la necessità che in Europa si cambi indirizzo politico, contenuti, passando da politiche restrittive a politiche espansive, ma anche la crisi, forse definitiva, di un formato della rappresentanza politica.  Ci sono dei luoghi emblematici di questa crisi, tra essi credo possa annoverarsi la Sardegna.

Innanzitutto da noi un astensionismo record condanna  tutta la politica, in blocco, ad una scarsa capacità di rappresentare, ma di più. Il Movimento Cinque Stelle, campione dell’antipolitica, a livello nazionale ha ottenuto il 21 % dei voti, ma in Sardegna il 30,5. Le altre regioni seguono tutte a grande distanza. Infatti, i 5 Stelle ottengono il loro  secondo miglior risultato in Sicilia con il 26 %. Gli altri risultati regionali sono tutti intorno alla media nazionale, cioè una decina di punti percentuali sotto il dato della Sardegna.

Colpisce il risultato della Lombardia: nella regione dove risiede circa un sesto degli Italiani il M5S è al 15 %, con ovvie e pesanti ripercussioni sul risultato complessivo. Solo in Sardegna i 5S confermano il dato delle politiche del 24 e 25 febbraio 2013 ribadendo il 30%. Per avere una visione più precisa bisognerà analizzare i flussi elettorali, soprattutto considerando i voti in entrata ed uscita dall’ astensionismo, ma alcuni fenomeni sono comunque evidenti.

Alle regionali del 16 febbraio 2014, il Movimento Cinque Stelle non fu presente, viceversa ottennero circa il 40%, tanto, tantissimo, dei voti una ventina di liste locali che si erano presentate  autonomamente o distribuite tra le coalizioni di centrodestra e centrosinistra.

In definitiva, alle politiche del 2013 la presenza di liste locali fu irrisoria e Grillo prese il 30 %. Alle regionali Grillo non c’era e le liste locali hanno preso il 40 %. Alle europee del 25 maggio le liste locali sono state presenti in forma irrisoria e Grillo ha confermato il 30 %. E’, dunque, ravvisabile una chiara interscambiabilità tra il voto alle liste locali e il voto al M5S, anche se solo lo studio dei flussi potrà tentarne una più precisa quantificazione (mi sembra un buon lavoro per il collega Fulvio Venturino).

Cosa può rendere possibile questa mobilità di voti tra ambiti politici tanto diversi? Da una parte le frantumatissime liste locali a base identitaria e dall’altra l’ ipercentralizzato e deterritorializzato Movimento di Grillo. L’ unico terreno comune è il fortissimo sentimento antipolitico. Sull’ antipolitica e sul populismo torneremo. Per adesso mi basta invitare a riflettere sul fatto che, per certi aspetti, il sistema politico sardo appare il più europeo di tutti  i sistemi politici regionali italiani.

Purtroppo a mio modo di vedere si tratta di una prospettiva inquietante. La politica tradizionale è ormai insostenibile, ma se non si elaborano proposte politicamente veritiere nel senso di effettivamente praticabili e produttive di felicità, anche da noi torneranno i mostri che si stanno risvegliando in Europa. Dobbiamo proporre. Modificare il nostro futuro.

2 Comments

  1. giovanni mannoni

    Quanto di quel che e’ successo dipende dall’assoluta insufficienza del PD a livello regionale?Occorre anche da noi un radicale ricambio del gruppo dirigente regionale,se di gruppo dirigente in Sardegna si puo’parlare.

  2. Alessandro Mongili

    Mi sembra molto arduo porre sullo stesso piano, quello dell’antipolitica, “le frantumatissime liste locali a base identitaria” e il franchising grillino. Mi sembra, soprattutto, ideologico e privo di spessore complessivo. Non si può capire una parte senza riflettere sul tutto. Non si può capire la frammentazione dell’opposizione, o il fatto che essa si manifesti nel voto grillino, senza riflettere sulle politiche e sulla gestione della cosa pubblica da parte dell’establishment locale, e della sua subalternità totale alle scelte politiche italiane.
    In Sardegna non c’è antipolitica, ma disagio e opposizione alla gestione della cosa pubblica e alle politiche che dominano la scena, subalterne queste ultime alle politiche italiane e che non sembrano affatto allineate, a loro volta, con ciò che i Sardi considerano il loro interesse.
    Se poi lei, Ciarlo, considera la cultura politica di derivazione sardista come assurda, significa che lei ha un problema di comprensione di processi storici almeno secolari, che si sono depositati nella coscienza politica e nelle identità politiche di tanti cittadini, non certo che si tratti, quella di questi cittadini, di una cultura “antipolitica”. Che poi, alla fine, questa categoria, “antipolitica”, è così volgare che mi meraviglio del fatto che lei la usi come sinonimo, abbastanza insultante, di “anti-istituzionale”.

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