Il Futurismo: un trionfo italiano a New York [di Carla Deplano]

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Il Guggenheim Museum  celebra l’Italia con la mostra Italian Futurism 1909-1944 che, inaugurata a febbraio nella metropoli americana, resterà aperta al pubblico fino a settembre, accogliendo ben 360 opere provenienti da musei europei e collezioni private, relative ad artisti come Boccioni, Balla, Severini, Carrà, Depero e Prampolini e ad altri meno conosciuti, cui fanno da cornice la poesia di Cangiullo e Rosà, l’architettura di San’Elia, la musica di Russolo, le ceramiche di d’Albissola e le suppellettili di Dottori.

Il Futurismo: non solo movimento artistico, ma vero e proprio modo di vita che influenza le sperimentazioni successive in Russia, Gran Bretagna e Francia (Raggismo, Vorticismo, Sincronismo) e, dagli anni ’30, anche in altri paesi lontani come Brasile e Giappone. Si pensi, anche soltanto, alla portata rivoluzionaria dell’arte performativa, in cui le “serate” univano cultura “alta” e “bassa” in modi totalmente inediti infrangendo la barriera tra artista-performer e spettatore.

Esposizioni newyorkesi precedenti hanno interessato la prima fase del Futurismo, trascurando la produzione artistica degli anni ’20 e ’30, offuscata dall’ombra imbarazzante del rapporto ambiguo con il Fascismo. L’attuale mostra del Guggenheim integra diversi media con le opere esposte e segue un ordine cronologico, dalla nascita del Futurismo con la pubblicazione del Manifesto di Marinetti su Le Figaro, alla Sintesi delle Comunicazioni, alla fine della Prima Guerra Mondiale che coincide con quella del Movimento.

Il percorso inizia col Primo Futurismo, parallelamente all’elaborazione teorica dei manifesti: emblematica La città che sale di Boccioni con la sua complessità spaziale, debitrice del Cubismo analitico. Poi il coinvolgimento dentro l’azione concitata dell’opera di Carrà (I funerali dell’anarchico Angelo Galli), o la ricerca sul movimento attraverso la moltiplicazione di immagini consecutive nello spazio de La mano del violinista di Balla. Successivamente l’impatto con l’arte meccanica aniconica di Prampolini che contempla il sogno dell’ “opera d’arte totale” in uno spazio polidimensionale e multi espressivo, dando forma ad una pluralità di esperienze sensoriali totalmente avulse dalla vita reale.

E’ questo il secondo periodo, più astratto, che si prefigge di ricostruire l’universo ricreandolo integralmente e rendendolo colorato e luminosissimo, secondo esigenze espressive diversificate e molteplici campi di produzione: architettura, teatro, poesia, arte tipografica, editoria, fotografia, cartellonistica pubblicitaria, arredamento, moda, costume di scena, perfino cucina. Nel percorso ascensionale della mostra ci si immerge, quindi, in un nuovo tipo di percezione con esempi di aeropittura di Dottori e Crali, che ripensano le categorie di spazio-tempo e le forme legate alla visione tradizionale da terra. Mentre la sintesi immaginativa ispirata al paesaggio urbano di New York e al macchinismo industriale si coglie nelle opere di Depero, si tratti delle campagne pubblicitarie della Campari e dei magazzini Macy’s o delle copertine di Vanity Fair, Vogue e del The New Yorker.

Le contraddizioni del movimento –  sessista e misogino – sono smentite dalla presenza di donne come Benedetta Cappa, moglie di Marinetti e allieva di Balla, che conclude emblematicamente la mostra con enormi tempere ad encausto (Sintesi delle Comunicazioni) in cima alla rampa del Guggenheim, per la prima volta fuori dalla collocazione originale all’interno del Palazzo delle Poste di Palermo. Non manca una chicca del cinema futurista come Thaïs, con tecniche sovversive e scenografie stravaganti – a spirali losanghe e scacchiere – che tanto hanno influenzato le successive Avanguardie, dal Il gabinetto del Dottor Caligari a Metropolis al primo René Clair, per arrivare alle visioni oniriche di certo cinema narrativo americano (Vertigo di Hitchcock).

Insomma, la mole senza precedenti delle opere raccolte e l’esperienza dell’ascesa lungo la rampa elicoidale del gioiello architettonico di Frank Lloyd Wight letteralmente avvolti da immagini potenti, dalle registrazioni audio di performance e discorsi futuristi e dai suoni dell’Intonarumori, traduce perfettamente l’idea dell’ “opera d’arte totale” (Prampolini) e quella della “ricostruzione futurista dell’universo (Marinetti) che investe tutte le arti, la vita e la società dei primi del ‘900, immergendo lo spettatore in una sinestesia vertiginosa e caleidoscopica.

E ancora una volta, il Futurismo tiene ancora alta la bandiera dell’Italia oltreoceano, andando oltre l’adorazione per l’opera lirica e l’eccellenza della cucina e della moda. E, nonostante tutto, l’orgoglio nazionale si fa sentire ancora.

*Italian Futurism 1909-1944, a cura di Vivien Greene- New York, Guggenheim Museum, febbraio-settembre 2014

** Tato (Guglielmo Sansoni), Sorvolando il Colosseo in spirale, 1930

2 Comments

  1. Mi piacerebbe andarci, confesso che la cosa mi interessa. Buona sintesi illustrativa della mostra, grazie Carla.

  2. Michele

    Interessante la mostra al Guggenheim Museum, interessanti anche le opere futuriste di artisti italiani aggiunte a quelle già esistenti al quarto piano del centro Pompidou a Parigi. Il manifesto futurista fu pubblicato non in Italia ma sul Figaro a Parigi, e questo la dice lunga sulle dimensioni culturali del fenomeno, che fu soprattutto europeo, inquadrabile nel vasto fiorire novecentesco di -ismi, spesso di segno opposto, che tengono alta nel mondo la bandiera stellata dell’Europa , nostra patria comune.

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