Legge urbanistica regionale: che tuteli davvero il territorio [di Antonietta Mazzette]

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La Nuova Sardegna 10 giugno 2014. Il Ministro del Governo Renzi, Maurizio Lupi, ha fatto predisporre al suo Gruppo di Lavoro “Rinnovo Urbano” un secondo disegno di legge urbanistica. Il primo lo aveva presentato come ministro di Berlusconi, ritirato grazie alla denuncia di autorevoli studiosi in materia di territorio per la clamorosa sottomissione degli interessi pubblici a quelli privati. Anche il secondo disegno di legge esprime questa sottomissione che è esplicita fin dal titolo: Principi fondamentali in materia di governo del territorio, proprietà immobiliare e accordi pubblico-privato. Come a dire, il “Lupi perde il pelo ma non il vizio”.

Se escludiamo i generici preamboli e i riferimenti alla Costituzione, in nome della sussidiarietà, partecipazione e via discorrendo, l’idea niente affatto sottesa è che la rendita immobiliare e fondiaria sia il vero cardine del disegno di legge urbanistica. Idea che ritroviamo in modo diffuso in tutti i commi dei 21 articoli.

A partire dall’art. 1, comma 4, dove si dichiara che: “Ai proprietari degli immobili è riconosciuto, nei procedimenti di pianificazione, il diritto di iniziativa e di partecipazione, anche al fine di garantire il valore della proprietà conformemente ai contenuti della programmazione territoriale. Le procedure di pianificazione assicurano la partecipazione dei privati anche nell’esecuzione dei programmi territoriali senza dar luogo a sperequazioni tra le posizioni proprietarie”.

Per proseguire  con espressioni quali “leale collaborazione con il privato” (art. 5, comma 6); oppure con la esplicitazione che gli interessi privati “si intendono come preliminari di piani urbanistici attuativi” (comma 7). Ma il clou di questa sottomissione lo troviamo negli articoli 10 (Perequazione), 11 (Compensazioni) e 12 (Trasferibilità e commercializzazione dei diritti edificatori), nei quali è ben chiaro che il disegno di legge parte dal presupposto che un proprietario di suolo ha automaticamente un diritto di edificazione e che, se non glielo si concede, magari perché l’area è sottoposta a tutela, allora il pubblico (ossia la collettività) lo deve compensare in modo congruo.

Orbene, da molti anni studiosi del territorio chiedono che l’Italia si doti di un nuova legge urbanistica nazionale, giacché quella del 1942 con oltre 70 anni di deroghe, ha perso significato e nei fatti ha consentito a troppi speculatori di trasformare gli interessi della rendita fondiaria in quel mostro che divora tutto e che ha potuto agire sulla società in modo corruttivo. Ma una nuova legge urbanistica dovrebbe essere impostata, anzitutto, alla luce di quel che è successo nei territori italiani in questi decenni, soprattutto a partire dagli anni ’80.

Anni di scempio e saccheggio di cui ci scandalizziamo e allarmiamo solo quando si scoprono tangenti e disastri; in secondo luogo, dovrebbe andare di pari passo con un’idea di sviluppo economico e sociale. In ragione di ciò, la legge urbanistica dovrebbe essere un insieme di regole (cornice), a mio avviso essenziali ma chiare e inderogabili, entro cui collocare i piani regionali, di area vasta, comunali.

Regole dettate all’insegna di alcuni principi quali:

1. non consumare altro territorio, non perché si è nemici della proprietà privata, ma perché la cementificazione selvaggia ha impoverito le persone e i territori, in cambio di poco lavoro instabile e, peraltro, non rispondendo alla crescente domanda di case delle popolazioni più svantaggiate;

2. il territorio è una risorsa scarsa e irriproducibile e perciò bisogna averne cura;

3. i processi di risanamento e riqualificazione del patrimonio esistente vanno regolamentati, dove è possibile all’insegna della bioedilizia.

L’on. Pigliaru ha dichiarato che entro il 6 luglio presenterà una bozza di legge urbanistica regionale. Spero che la sua direzione sia opposta a quella del ministro Lupi che continua a pensare che il “sostegno all’economia” sia da concentrarsi sull’edilizia espansiva e non su quella finalizzata alla riconversione e contenimento.

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