Philippe Daverio e il turismo anti-crisi [di Lettera 43.it]

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15 luglio 2014. Basta Ilva e Melfi. L’Italia deve monetizzare il suo patrimonio culturale. Daverio suggerisce a Renzi un ministero ad hoc. Tutte le strade, da due anni, sembrano portare a Berlino, città europea più visitata di Roma. E conducono anche al Louvre che stacca 10 milioni di biglietti l’anno, quasi come tutti i musei italiani insieme. Arrivano certamente alle Canarie pronte a ospitare 75,4 milioni di pernottamenti in 12 mesi contro i sei della Sicilia. Per le statistiche non è insomma solo Pompei a crollare, ma l’intero sistema del turismo italiano a essere ripiegato su se stesso.

Cambiare la Costituzione? Emilio Casalini, giornalista di Report, ha raccolto i dati dello sfascio nel libro-inchiesta Fondata sulla bellezza (Sperling & Kupfer): un vero e proprio appello a riscoprire l’identità perduta dell’Italia come motore di una crescita economica altrettanto perduta. E qualcuno l’ha preso in parola: l’8 luglio la deputata di Sinistra ecologia e libertà Serena Pellegrino ha presentato alla Camera un disegno di legge costituzionale per modificare l’incipit della Carta inserendo appunto il riconoscimento della bellezza come «elemento costitutivo dell’identità nazionale».

«Serve un ministero ad hoc». Philippe Daverio che riempie le piazze per raccontarla, la bellezza, tiene i piedi piantati per terra. Dopo aver girato la penisola con Save Italy, progetto per salvaguardare dall’incuria il patrimonio culturale nazionale, il critico d’arte punta il dito contro una politica scellerata, pronta a privilegiare l’industria pesante e non i servizi e la cultura: un modello di sviluppo «sovietico» e fallimentare.
«Il declino è una scelta collettiva». Come Casalini, invoca un piano nazionale, un ministero che manca dal 1993 e le cui deleghe sono state accorpate sotto altri dicasteri. Ma chiede soprattutto una presa di coscienza: «Dovremmo domandare agli italiani se frega loro qualcosa», gorgoglia pragmatico con Lettera43.it. «Non è che tutti i Paesi devono rimanere floridi: il declino di una nazione è una scelta collettiva».

DOMANDA. Lei dice che stiamo andando verso il declino?

RISPOSTA. Cento anni fa, prima della Prima Guerra mondiale, eravamo il primo Paese al mondo per turismo, oggi siamo il settimo: anche negli anni di Cleopatra il centro turistico del mondo era l’Egitto, poi però è decaduto.

D. Dice che siamo destinati alla stessa sorte?
R. Abbiamo fatto un referendum nel 1993 per abolire il ministero del Turismo. Vuol dire che il sentimento popolare nella realtà oggettiva non è favorevole…

D. E la politica non ha responsabilità?
R. Sì, ma non mi sembra che abbia espresso negli ultimi 20 anni una sensibilità particolarmente elevata sull’argomento.

D. Cosa glielo fa pensare?
R. Abbiamo dei musei in punta all’Italia dove non entra nemmeno un visitatore in cui però campeggia un cartello grosso così: «Vietato fotografare». Del resto quando il museo è di proprietà del monarca, lo Stato, la preoccupazione è che nessuno deve portargli via qualcosa. Al Louvre invece le vendono proprio le macchinette per fotografare. Due culture molto diverse.

D. A cosa si deve questo spread?
R. Non abbiamo capito che la partecipazione alla gestione dei beni culturali del Paese è una cosa necessaria. Ci limitiamo a ripetere che ne abbiamo più degli altri. Però poi quando si va sul concreto…

D. Cosa si trova?
R. Quando viaggio in alcune parti di Italia trovo un sistema alberghiero che fa piangere. In molti alberghi della Sicilia, uno nella doccia non trova neanche il portasapone…

D. Non è che abbiamo una visione sbagliata del turismo?
R. Il piccolo operatore lo concepisce come un’opportunità di fare cassa ma non ha linee di direzione: manca un progetto nazionale. L’unica cosa di cui ci accorgiamo ogni tanto è che l’associazione alberghiera piange perché c’è stato un calo di presenze. E appena i numeri riprendono sono contentissimi.

D. E non dovrebbero?
R. Non abbiamo un turismo sul tempo lungo, ma solo vacanziero. E sul turismo culturale, quello che dovrebbe puntare alla tutela del paesaggio, alla qualità delle coste e dei sistemi geografici, abbiamo fatto molto poco.

D. Insomma ci sono ampi margini di crescita…
R. Se il settore crescesse anche solo del 20%, farebbe il 2% in più del Pil. In un momento in cui abbiamo tassi di crescita a meno uno, forse una riflessione andrebbe fatta.

D. E invece?
R. Esportiamo più turismo che automobili. Nel senso che la valuta straniera che frutta il turismo è superiore a quella dell’auto. Eppure di automobili parliamo, di turismo no.

D. Colpa della politica, quindi?
R. Dovrebbe avere una visione. Ma fino a oggi non l’ha espressa né destra, né la sinistra, né il centro. E anche i ministeri non hanno mai pensato di portare avanti delle inziative di comunicazione e promozione. Almeno una volta c’era l’Intervallo alla televisione e allora ti capitava di vedere le immagini di Ascoli.

D. Dice che ora è peggio?
R. Mi sembra che siamo all’anno zero. Manca una presa di coscienza all’interno della macchina statale.
D. Il problema è la rigidità e la mancanza di innovazione dello Stato?
R. La cultura ministeriale è una macchina autonoma che si autolegittima, si difende e non vuole nessuno tra i piedi. D’altro canto sono pagati così poco. E perché uno prenda coscienza delle cose deve prima prendere i maccheroni.

D. Cosa intende?
R. Non hanno più fatto concorsi. Non è entrato più nessuno nel sistema museale. Il personale si sta esaurendo e la motivazione non c’è più: lo sfascio è sfascio.

D. Dicono che mancano i soldi.
R. Mancano i soldi? Io di tasse, però, ne pago un sacco. E allora forse se i soldi sperperati dai consiglieri regionali per mutandine fossero stati tenuti nelle casse statali potevano essere spesi in altro modo.

D. E per cosa per esempio?
R. Iniziare a creare un movimento di opinione. Esaltare le best practice, anche in tivù. Le trasmissioni televisive o sono Turisti per caso, molto divertente, o sono trasmissioni per caso, con massaie che impastano i tortellini. Ma non è sufficiente per generare un’operazione turistica.

D. E cosa serve allora?
R. Serve l’organizzazione. E la volontà politica. I tedeschi vincono nel turismo come nel calcio, perché il loro sistema turistico è come il loro calcio. Quando Angela Merkel diceva 10 anni fa tagliamo tutto tranne la formazione, ha raccolto i frutti di quella politica.

D. E può bastare?
R. Bisogna lavorare sul tessuto nazionale. Altrimenti i siciliani pensano che un albergo vada bene quando è aperto 51 giorni all’anno che è la media siciliana. E invece uno del Trentino lo apre 250 giorni l’anno. Lo Stato serve a mediare tra i 50 e i 250 e a fissare dei parametri di qualità.

D. Ora la riforma dell’articolo V riporta questa competenza allo Stato: finalmente il passo giusto?
R. Ho paura che sia come i tre pateravegloria dopo la confessione: una formalità. Però abbiamo visto che la competenza delle Regioni non è la strada giusta.

D. E le misure di Franceschini sui musei lo sono?
R. Sono provvedimenti simpatia. È una bella idea portare la gente nei musei: vediamo se riesce a realizzarla. Però questo c’entra di più con l’acculturamento che con il turismo.

D. Però ha in mano anche la delega al Turismo…
R. La cultura serve a formare gli italiani di oggi e di domani, il turismo per usare il nostro patrimonio e fare cassa. Sono due cose molto diverse che viaggiano su binari paralleli.

D. Quindi pensa che Renzi dovrebbe creare un ministero ad hoc?
R. Sarebbe una cosa molta buona. Un’authority nazionale potrebbe rilanciare la centralità del settore, istituzionalizzare la certificazione di qualità dei luoghi e lasciarla poi al mondo della comunicazione. Abbandonando scelte industriali totalmente irresponsabili.

D. Quali?
R. Cosa serviva l’Ilva a Taranto? E cosa serviva l’industrializzazione di Napoli. E la Fiat a Melfi? Forse per la Sicilia era meglio un percorso un po’ più organico e più anarchico sul sistema alberghiero.

D. Organico e insieme anarchico?
R. Sì, lo sviluppo funziona attraverso la libertà organizzata. Invece visto che la grande industria può essere controllata dalla politica, ci siamo approcciati allo sviluppo del Meridione con dei parametri sovietici. Proprio mentre il mondo sovietico li stava abbandonando.

D. Un modello più adatto a Marchionne che ai russi?
R. Marchionne è un altro personaggio negativo: ha portato tutto in Inghilterra.

D. Il turismo almeno dovrebbe essere un settore che non può essere delocalizzato.
R. Non può eppure lo è: stiamo «delocalizzando» anche quello.

 

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