Il referendum che ha terrorizzato i poteri forti [di Nicolò Migheli]

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Tutti quanti i parlamentari che vii sono in Europa si occupano delle cose nostre e dibattono fortemente, se o no dobbiamo essere. Noi di questi giorni abbiamo detto francamente: siamo. L’abbiamo detto per l’organo del Parlamento; l’abbiamo detto per virtù dei nostri soldati che riducevano in nostra mano gli ultimi baluardi in cui si ricettavano gli ostacoli alla nostra unità.” Così scriveva il giornale torinese l’Opinione.

Il 17 marzo 1861 all’atto della proclamazione del Regno d’Italia. Le reazioni europee alla fondazione del nuovo stato non furono di felicità. In molti temevano la nascita di una entità che avrebbe rivoluzionato gli assetti dell’epoca con il suo esempio. Ancor di più oggi. Fino ad ora in Europa si erano divise la Jugoslavia, l’Urss e la Cecoslovacchia. Paesi che venivano dall’esperienza comunista accusata, a torto o a ragione, di opprimere le istanze nazionali. Che un paese dell’Europa occidentale potesse essere a rischio di separazione non era concepibile. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili?

Ancor di più la Gran Bretagna, la madre della democrazia moderna. Quando i sondaggi hanno rivelato la possibilità di vittoria degli indipendentisti scozzesi in tutta l’Europa è stato un susseguirsi di allarmi. Le banche hanno minacciato di trasferire le loro sedi da Edimburgo a Londra. La Ue dichiarava che l’adesione della Scozia indipendente non sarà facile. Impossibile per alcuni, a causa dell’opposizione della Spagna, che vedrebbe un pericoloso precedente per la Catalogna, e di tutti gli altri paesi che hanno nazioni senza stato dentro i propri confini. Per la vittoria del NO si è pronunciato l’FMI timoroso di uno sconquasso finanziario. Enrico Letta sul Corriere della Sera paragona un grande processo democratico al colpo di pistola di Serajevo del 1914. Anche lui colto da terrore si unisce ai catastrofisti.

L’Huffington post pubblica la cartina delle nazioni senza stato e la confronta con quella dell’Europa del 1360 chiedendosi se vi è un ritorno al Medioevo:“quando diversi gruppi culturali avevano un loro stato prima delle grandi unificazioni nazionali.” L’uso delle parole ha la sua importanza. Secondo quel giornale online, la Scozia, la Catalogna, la Corsica e la Sardegna, sarebbero “gruppi culturali” e non nazioni. Evidentemente quel termine, per l’autore dell’articolo, può essere solo di entità politiche vaste, quanto grandi non si sa. Ragione per cui si insiste sulla confusione voluta tra stato e nazione. I poteri forti e le altre entità statuali amano lo statu quo e il referendum scozzese ha annunciato cambiamenti che finiranno con ridefinire l’Europa.

La Gran Bretagna però è un caso a se stante; più assimilabile ad un impero che agli stati nazionali ottocenteschi. Le stesse rivendicazioni scozzesi non si basano solo sulle differenze etniche e di lingua, quanto su una diversa concezione delle società. Edimburgo auspica una socialdemocrazia contro il liberismo di Londra. La Caledonia è aperta e inclusiva, mentre la Britannia è chiusa e diffidente. La Scozia europeista e l’Inghilterra talmente scettica che potrebbe abbandonare la Ue. Per paradosso la vera madrina dell’indipendenza scozzese è stata Margaret Thatcher e la classe politica britannica che ne ha seguito gli insegnamenti.

Da qui la sorpresa. I nazionalismi sono sempre stati identificati come movimenti politici di destra tendenti all’omogeneità della Kultur, ostili ad ogni contatto con la diversità. Invece gran parte degli indipendentisti scozzesi e catalani, anche quelli sardi, si collocano a sinistra; non si limitano a rivendicare la differenza di lingua tradizioni e storia, ma progettano società aperte e solidali. Il loro modello sono le socialdemocrazie scandinave. Gran parte dei voti del SNP scozzese vengono dai laburisti.

Marco Biagi, un deputato di quel partito di origine italiana, afferma che i Laburisti sono diventati dei Red Tory, dei conservatori verniciati di rosso, “loro hanno abbandonato noi e noi abbandoniamo loro.” La sinistra, sempre diffidente verso le istanze nazionali, trova la sua rinascita raccogliendo le speranze di quei popoli che la storia ha messo ai margini condannandoli all’omologazione con i vincitori. Non solo la sinistra, anche una borghesia che ha ben presente la differenza di interesse nazionale tra Scozia e Regno Unito. Un bella lezione per i partiti come il PD.

Pedro Sánchez, il neo segretario socialista spagnolo, ha già colto l’aria che tira e propone uno stato federale. In Italia con una antistoricità miope che caratterizza il nostro ceto politico, si è deciso il ritorno al centralismo esautorando le comunità locali dalle scelte sul proprio futuro. In fin dei conti l’indipendenza altro non è che più democrazia, il diritto di auto determinarsi. Quella democrazia che gli stati nazionali ottocenteschi hanno sequestrato.

Paradossalmente è anche l’unica possibilità per una Ue che sia realmente unita e federale, che non potrà mai nascere finché gli interessi dei grandi paesi saranno l’unico punto di riferimento per Bruxelles. Un ritorno allo spirito dei padri fondatori che la gestione burocratica e neoliberista della Commissione e dei paesi membri ha volutamente espulso. Alex Salmond, benché abbia perso il referendum, ha vinto. La Scozia otterrà nuovi poteri da Westminster.

Gli scozzesi avranno tutto il tempo per rafforzare la loro coesione e coscienza nazionale, potranno influire di più anche nella politica estera del Regno Unito facendolo diventare più europeista. Meglio così, è difficile costruire un paese con solo il 50,1 % dei voti avendo l’altra metà della popolazione contro. Il prossimo referendum la Scozia lo vincerà. L’Europa degli stati nazionali ottocenteschi e dei poteri forti tira un respiro di sollievo; ora potrà dedicarsi alla guerra in Ucraina e all’Isis senza tralasciare di spremere i propri cittadini per risanare i bilanci. Così va il quotidiano che diventa storia.

2 Comments

  1. antonio Cossu

    Nicò, rassegnati! Il si ha perso. La scozia, con il 60% del petrolio europeo, ha detto no al separatismo e dovremmo separarci noi con la nostra miseria?

  2. Michele

    UN REFERENDUM SENZA EUROPA
    Sulla scena politica europea il referendum scozzese è arrivato come un ospite inaspettato. Ecco, io sono europeista, auspico che l’Europa, cosi spesso accusata di interferire pesantemente nelle decisioni nazionali di politica economica, finalmente lo faccia attraverso organismi supernazionali di tipo federale. Lo faccia legittimamente come Europa, non come Germania assieme ad altri paesi, nordici e più virtuosi di noi. Questo è il grande problema la cui s0luzione potrà, dovrà mutare la Storia del continente e che subordina quindi tutti gli altri.
    Prendere di petto, adesso, i nazionalismi europei, non solo quello britannico ma anche quelli italiano e spagnolo, sarebbe diverso dall’affrontarli in un contesto federale europeo, assai più propenso ad ascoltare la voce delle nazioni senza stato.

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