Martone, Leopardi e la poesia [di Franco Masala]

Tommaso Minardi 1813

Basterebbe l’abbigliamento ancora settecentesco di Monaldo Leopardi a confronto con i pantaloni di Pietro Giordani per capire il contrasto tra il giovane Giacomo Leopardi e il mondo chiuso di Recanati. Luogo peraltro esaltato dalle riprese del film di Mario Martone Il giovane favoloso grazie all’ambiente urbano dominato dal cotto caldo degli edifici dove è stato girato, in strade percorse da rari e compìti passanti, in netto contrasto con le vie animatissime e caotiche di Napoli dove la pellicola si conclude.

Martone è riuscito quasi del tutto a trasporre cinematograficamente l’impossibile. La poesia altissima di Leopardi è detta quasi con nonchalance (vedi la sequenza de L’infinito o i versi de La ginestra) inserendosi perfettamente nelle vicende personali del grande poeta, e giunge al cuore dello spettatore destando reminiscenze antiche.

Certo, può far sorridere la sfilata di mostri sacri – da Viesseux a Niccolini a Tommaseo – che compaiono insieme nel film ma sono debitamente alternati a scene più quotidiane che, per esempio, sottolineano la nota golosità di Leopardi, equamente divisa tra dolci e gelati. E, quindi, stonano ancor di più le pochissime scene discutibili dell’intero film: il nudo, peraltro fugace, di Antonio Ranieri (Michele Riondino) o il bordello napoletano, tutto sommato gratuiti.

Anche l’amore è appena accennato attraverso le figure di Teresa Fattorini, alias Silvia, dolce e ingenua, e di Fanny Targioni Tozzetti, ben più crudele, entrambe affidate ad efficacissime attrici (Gloria Ghergo e Anna Mouglalis).

Ci sono poi le straordinarie riprese nel Palazzo Leopardi di Recanati, dalla meravigliosa biblioteca allo scalone d’onore, e le vedute di Firenze nel verde, degli acquedotti romani, di Pompei in notturna a completare un film che ha il vero punto di forza nello strepitoso Elio Germano. L’attore passa dalla serenità (apparente) dell’adolescenza alle difficoltà anche fisiche dell’età adulta, riuscendo a trasmettere l’animo tormentato del poeta, perfettamento incluso nello spirito del suo tempo. Con un ultimo accenno alla differenza tra la stanza di Giacomo nella casa paterna e il materasso bohémien del suo girovagare, evidente ricordo del bellissimo autoritratto del pittore Tommaso Minardi.

*Tommaso Minardi, Autoritratto nella soffitta, 1813 (Firenze, Galleria degli Uffizi)

Lascia un commento