I falsi bronzetti amati dai forestieri [di Maria Antonietta Mongiu]

brozettis

L’Unione Sarda 17/12/2014. Una riflessione sul perché spesso si preferisce il falso all’autentico. Per Freud l’uomo costruisce il falso per cercare consolazione. Dopo di lui Francesco Carnelutti sancì la differenza giuridica tra copia e falso che da categoria estetica approdò al penale.

Contemporaneamente Walter Benjamin fece rientrare la serialità nella categoria dell’arte e più tardi Jacques Lacan tracciò una sorta di transizione “dal più falso al meno falso” cambiando la prospettiva anche del falsario.Doloso ma in una linea d’ombra di connivenze e debolezze specie se si tratta di falso d’arte, legittimato da una complice reciprocità.

Quanto resiste il falso come autentico? Quale il chi è degli attori? Le risposte misurano l’orizzonte di una società perché falsi e falsari si trovano in ogni tempo e luogo dall’antica Grecia al Metropolitan Museum. E la Sardegna? Giovanni Lilliu in “L’archeologo e i falsi bronzetti” affronta la vicenda dei falsi che nell’Ottocento occultarono i bronzetti autentici.

Vi fu coinvolto un melting pot che dalla Marina invase via Università e palazzo viceregio e da Cagliari l’Europa finché Ettore Pais vi pose fine nel 1883 quando compilò l’inventario del Regio Museo, prima del suo trasloco nel 1885 al Palazzo Vivanet. Molti dei sostenitori della loro autenticità erano morti con le loro compromissioni, compreso Giovanni Spano.

Erano passati 70 anni dal 1813 quando Iacopo Keyser, naturalista danese, ne aveva disegnato alcuni del Gabinetto di Archeologia e Storia naturale grazie a Lodovico Baylle e Leonardo de Prunner. Questi nel 1819 era con Keyser nel primo viaggio verso l’isola di Alberto La Marmora che amò quei falsi bronzetti.

Quelli conservati a Cagliari meritano una nuova narrazione: dobbiamo riflettere sul perché spesso preferiamo all’autentico il falso che piace a chi viene di là dal mare e lo replichiamo.

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