Grandissima è la ricchezza della festa di San Costantino [di Umberto Cocco]

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Alcuni commissari dell’Unesco visitarono Sedilo nel 2004 e il 6 luglio videro (vissero) l’Ardia di San Costantino. Non ebbero dubbi che si trattava di una manifestazione particolare, originale, espressione potente di sentimenti e di cultura popolare. Il fotografo nuorese Franco Stefano Ruju invece dice che no sulla Nuova Sardegna, che non va bene l’Ardia tra i beni culturali patrimonio dell’umanità, è una festa di parrocchia.

Ricordo quella lontana circostanza perché facevo parte del gruppo di lavoro che affiancò il comitato di esperti chiamati dall’allora presidente della Provincia di Nuoro per formulare la candidatura della cultura pastorale della Sardegna interna a patrimonio riconosciuto dall’Unesco. Non è stato troppo ben trattato dalla politica negli anni successivi quel presidente, Francesco Licheri, ma è sua l’idea, e suo il merito della cosa più difficile di questo genere di esperienze, il percorso per accreditare un bene cosiddetto immateriale, giustificarlo con rigore scientifico, poche chiacchiere, nessuna retorica.

Partì lui, Licheri, e cominciò anche il lavoro della commissione con l’idea che non il canto a tenore era il candidato, ma la pastorizia nel Gennargentu, e anzi prima ancora il Gennargentu, che stava uscendo dalla micidiale stagione del parco nazionale, più povero e più debole dopo la centrifuga di un dibattito surreale.

Ci si arrivò pian piano al tenore, passando per le maschere, per esempio, e scegliendo infine non la tradizione più “unica“, più identitaria, più spettacolare, ma quella che esprimendo una cultura in un contesto naturale e paesaggistico sembrava potere anche simbolicamente difenderla, dandole nuova dignità, un riconoscimento internazionale còlto.

Ci sono canti assai più prossimi di quanto non si creda al canto a tenore nel mondo, come ci sono Ardie in molti paesi della Sardegna e corse di cavalli in molte parti del mondo, alcune vicine alle corse nostre, quasi inspiegabilmente se si pensa alla Fantasia dei deserti del Marocco, ad alcune corse in Mongolia, ad altre in Afghanistan

Quasi inspiegabilmente, perché l’antropologia e la storia ci hanno rivelato man mano quanto complesso sia il gioco della permanenza e delle diversità culturali, quanto arroganti siano stati grandi civiltà a pretendere di essere le migliori, e quanto magari per difendersene hanno orgogliosamente presunto di sé anche le piccole comunità, regno “autentico” degli “uomini veri“, al cospetto dell'”altro“.

L’Unesco non cerca e non riconosce l’unico, l’insolito, nemmeno l’esotico, sarebbe una pretesa coloniale, figurarsi.

Ha ragione il fotografo nuorese che Ardie si corrono e si sono corse da secoli in moltissimi luoghi della Sardegna, dedicate a santi e madonne diverse. La storia dell’Ardia di Sedilo che replicherebbe la battaglia fra Costantino e Massenzio è una sovrapposizione assai recente tentata dalla chiesa locale dopo avere perduto la battaglia per espungere San Costantino dal culto dei sardi; per pigrizia i giornali hanno ripetuto e ripetono questa versione, e adesso il web la replica con il meccanismo virale del copia-incolla nel quale è caduto anche il sito istituzionale della Regione.

Ci sono Ardie nei paesi più vicini a Sedilo, a Noragugume, a Dualchi, dedicati una alla Madonna d’Itria e l’altra a San Pietro, sono processioni con l’obriere in testa con una bandiera e gli altri a cavallo dietro, e così accade a Orgosolo, accade nei Campidani, in Ogliastra, nel Sarrabus, sino alla Gallura. Processioni lente dietro i simulacri, e poi improvvise carrelas, libere corse fra la gente che si è fatta da parte. Guardacaso carrelas, e sa carrela ‘e nanti di Santulussurgiu è quella sopravvissuta, la correvano a Cagliari in pieno centro con le stesse modalità, penso che anche molte Sartiglie con o senza stelle si corressero a carnevale, con le galline appese a una fune nel mio paese.

Ma chi può negare che oggi ciascuna di queste corse a cavallo rappresenti in qualche modo anche tutte le altre, e la Sardegna, e il Mediterraneo, e la cultura di un popolo e di più comunità insieme?

E’ accaduto per una selezione culturale, una serie di fattori, che queste siano sopravvissute ad altre o abbiano caratteri e visibilità e riconoscibilità maggiori. Anche il fattore apparentemente più corrosivo, il turismo. L’Ardia è dagli anni ’50 fra le 6 feste della Sardegna inserite in una legge regionale appunto sul turismo, all’alba dell’Autonomia. E poco prima, nel 1954, l’aveva ripresa Fiorenzo Serra, con lo sguardo e la sensibilità del grande intellettuale ma anche sotto la suggestione della Sardegna autentica che bisognava rappresentare agli occhi dell’Italia e del mondo nel quale l’isola stava ri-entrando. Non so nemmeno del canto a tenore se non ci fossero stati Ornette Coleman, Frank Zappa, Peter Gabriel, la world music.

Ruiu sembra sapere poco delle liste alle quali l’Unesco iscrive i beni che riconosce come meritevoli della sua attenzione. Ci sono le manifestazioni seriali, come le processioni con le macchine a spalla fra le quali è entrata la discesa dei candelieri di Sassari, ma insieme ad altre. Per l’Ardia non cerchiamo la casella dell’unico, ci interessa la cultura delle grandi feste a cavallo, quella della religiosità popolare degli ex voto, le prove di valore dei pastori.

E’ il percorso che è più interessante dell’obiettivo, non sembri un paradosso. E’ questa fase preliminare della quale non so se vedrò l’esito che mi interessa, e interessa ai sedilesi. Il tifo UnescoUnesco no è una banalizzazione che andava messa nel conto. Interessante è invece la complessità di questi fenomeni, perché grandissima è la ricchezza della lettura e della partecipazione alla festa di San Costantino da parte dei sedilesi, e altrettanto quella dei devoti della provincia di Sassari che l’hanno venerato prima e più di noi. E che sguardo gettano invece i barbaricini, al suk che dovette essere conteso da loro in un qualche passato?

C’è più di un’eco di questa incredibile multiformità di interpretazione della festa e dell’Ardia nelle interviste che il Comune sta per pubblicare insieme agli atti delle conferenze tenute in piazza nelle scorse estati sotto il titolo di In hoc signo vinces.

C’è bisogno dell’Unesco per avere consapevolezza della complessità? Capirei questa domanda. E quest’altra ancora di più: non è che il riconoscimento dell’Unesco fossilizzerà, museificherà l’Ardia, non la renderebbe statica contraddicendo il dinamismo dei fenomeni culturali vivi, che si evolvono, per definizione?

Guarderei alle esperienze Unesco, a quelle reali, dei luoghi e dei beni riconosciuti, per cercare una risposta. Non l’effetto del brand, che pure le università studiano, per svelarne gli effetti. Ci interessa difendere la nostra cultura intera, l’Ardia come simbolo, e insieme all’Ardia i pastori che la corrono e che vivono in campagna e in paese vite reali in economie ogni tanto in pericolo, e i cavalli che sono presenti a centinaia nelle campagne sarde, economia e cultura a rischio di disfacimento. E il paesaggio, di questi uomini e dei loro cavalli.

I percorsi dei pellegrini, ancora, per esempio. I riti, i gosos cantati in chiesa e le giaculatorie quando i cavalli prendono a correre. Anche il maschile e il femminile di questa festa e di chissà quante altre rivela culture e sottoculture, anche l’Ardia a piedi…. E’ in pericolo l’Ardia, paradossalmente, e infine, per l’assalto del luogo comune, la folclorizzazione che noi stessi tendiamo a farne, ripetendo formule che gli altri suggeriscono, mostrandoci come crediamo che gli altri ci vogliono vedere. E invece dovremmo condurla noi, questa danza.

*Sindaco di Sedilo

 

6 Comments

  1. Natalina

    Mah! Ai posteri ” l’Ardia ” sentenza!

  2. FRANCO STEFANO RUIU

    Ma che tipo di articolo ha letto il sindaco di Sedilo? Nella sintesi estrema concessami dall Nuova ho cercato di esprimere una opinione e non credo di aver offeso nessuno. Perchè non risponde nella Nuova con gli stessi spazi consentiti ai comuni mortali e cerca di spiegare ai sardi se è giusto chiedere lo zuccherino a una festa ed escludere le altre che parlano la stessa lingua?

  3. FRANCO STEFANO RUIU

    Torno sui miei passi per cercare di rispondere con argomentazioni che reputo valide al sindaco di Sedilo. Cercherò di imitarlo tirando acqua al mio mulino e cercherò di farlo senza malanimo. Mi spiace che, di tutte le cose che ho scritto su Ardia ed Unesco, siano state estrapolate con arte solo le parti che rientrano utili per cercare di rimettere in sesto un discorso che a me pare assai più ampolloso e “parrocchiale” del mio. Ho riletto il mio articolo/opinione che è stato pubblicato nella Nuova e credo che chiunque, che non sia di parte, sia riuscito a interpretare il senso compiuto del mio pensiero e a riconoscere la mia onestà intellettuale. Ne ripeto una sintesi estrema: Da sardo (si badi bene) gradirei che vada avanti il discorso dell’Ardia ma che non vada avanti solo l’Ardia di Sedilo…. Che per onestà storica venga evidenziata l’appartenenza dell’Ardia di Sedilo a un rito assai comune nell’isola, assai antico, con i vari distinguo…. Che quindi, per evitare brutte figure in sede europea, venga sfatato quel mito alimentato e acquisito secondo cui la “corsa” di Sedilo vuol dire battaglia di Ponte Milvio…. Fine della sintesi… Suona strano, comunque, viste le ammissioni dello stesso sindaco, che sia stato un “fotografo”, con una semplice reflex, e non qualche solone, a sputtanare un concetto diventato patrimonio comune. A proposito, dov’era il sindaco di Sedilo (che la storia dell’Ardia non può non conoscerla) quando la stessa veniva coperta di ridicolo con interpretazioni storiche oserei dire bislacche? Perché non le ha messe a tacere evitando così che anche il sito istituzionale della Regione cadesse in errore? Io l’ho fatto in varie sedi e a più riprese ma nessuno mi ha dato mai ascolto. Meglio tardi che mai!..
    Canto a tenore. Su questo argomento, giusto per fare distinguo, Umberto Cocco fa un giro infinito di parole per dire che l’argomento lo conosce bene perché c’era anche lui nei luoghi dove si faceva il progetto. Bene, c’ero anch’io, e Francesco Licheri lo mette pure per iscritto: “… un modo di cantare, pensare, parlare.. che abbiamo voluto chiamare Pastoralismo e che abbiamo presentato all’Unesco perché possa essere chiamato Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Il lavoro di Franco Stefano Ruiu (Su contu ‘e su casu – Imago editore) arriva con una sincronia quasi magica. Un lavoro importante… ecc. ecc.”. Ne consegue che il problema lo conosco bene anch’io e che un mio lavoro è stato acquisito dall’Unesco per dare forza al progetto più ampio del Pastoralismo. Umberto Cocco su quel benedetto progetto spende tante parole, tutte a proposito, fa presente che il canto a tenore ne rappresenta una parte (e chi lo nega), ma sul fatto importante che nessuna variante di canto come pure nessun gruppo che del canto a tenore è maestro siano stati messi in disparte sorvola. Per fortuna a diventare bene immateriale dell’umanità è stato il canto a tenore e non su tenore di Bitti soltanto (giusto per fare il nome più celebre). Avrà una morale la favola che da sardo intendo diffondere e difendere? Spero di si. Ho fatto anche l’esempio opposto, quello dei Candelieri. Riconoscimento Unesco solo per quelli di Sassari e non anche per quelli di Nulvi, Ploaghe ed Iglesias. Complimenti! Vogliamo che anche per l’Ardia si faccia lo stesso affronto, affronto che riguarderebbe non solo tutti gli altri luoghi dove l’Ardia si corre ma anche tutta l’isola? La vogliamo si o non questa benedetta identità di cui tanto si parla? Per concludere, se di tutto il discorso “allargato alle varie feste isolane e sintetico per ciascuna di essere” che è stato pubblicato nell’articolo del quotidiano sassarese a recare danno ed offesa il titolo è stato il titolo che è stato dato, rammento che quello viene deciso in redazione e non da chi scrive l’articolo. Comunque sia apprezzo il fatto che qualche ragione mi sia stata riconosciuta, è già tanto. A un “fotografo” non può che fare piacere.

  4. umberto cocco

    Ho scritto l’altro giorno una lettera al direttore della Nuova Sardegna in risposta all’articolo di Franco Stefano Ruiu. E’ stata cortesemente pubblicata ieri, domenica, integralmente. Eccola:

    “Gentile Direttore,

    Le chiedo cortesemente ospitalià per spiegare ai lettori della Nuova lo spirito che ha ispirato la mia amministrazione nel proporre la candidatura dell’Ardia di San Costantino a bene culturale riconosciuto dall’Unesco. L’argomento ha meritato alcuni articoli di cronaca e un intervento del fotografo Franco Stefano Ruiu sul Suo giornale, dai quali si potrebbe dedurre una certa dose di improvvisazione, di banalizzazione, di campanilismo, da parte dei proponenti. Vorrei rassicurare tutti che non è così: alcuni commissari dell’Unesco sono stati a Sedilo a più riprese nel 2003 e nel 2004, mentre era in corso la procedura per il riconoscimento del canto a tenore per impulso dell’allora presidente della Provincia di Nuoro Francesco Licheri. Facevo parte del gruppo di lavoro istituito dalla Provincia credo nella mia qualità di giornalista (della Nuova Sardegna) che si occupava di pastorizia e ho vissuto quell’esperienza apprezzando la fase istruttoria del riconoscimento di un bene culturale da parte di quell’organismo internazionale, e la messa a fuoco del canto a tenore dopo che si era partiti dal Gennargentu, passando per le maschere di Mamoiada, Orotelli, Ottana.

    E’ questa fase preparatoria che mi interessa del riconoscimento Unesco, a me, alla mia amministrazionee ai sedilesi. Un processo, cioè, che anziché banalizzare e cedere al luogo comune confermandolo, alle sovrapposizioni esterne, alle letture folcloristiche e ideologiche che giustamente Ruiu rileva, recuperi la complessità della festa e della corsa, la sua fortuna e visibilità e forza simbolica rispetto a tutte le Ardie della Sardegna, numerose per fortuna e diffuse in molte comunità, dedicate effettivamente a Santi e Madonne diverse, ma in qualche modo rappresentandole tutte e a tutte restituendo dignità e forza propria, tutt’altro che sottraendogliela.

    Mi sembra che Ruiu non dica quel che sembrerebbe dal titolo dato al suo intervento: “L’Ardia di Sedilo non può essere specchio dell’identità sarda”. Non da sola, mi pare che dica il fotografo nuorese nel testo. Che è un’altra cosa. Semmai con tutte le altre Ardie, suggerisce. Invitandoci a rifuggire dalla la retorica dell’unico, del superiore, del meglio, che effettivamente si attacca a molte nostre espressioni (e che è un riflesso del provincialismo e del folclorismo con i quali non finiremo mai di fare i conti).

    Io aggiungerei: l’Ardia di San Costantino patrimonio dell’umanità non solo con tutte le altre Ardie, ma con tutte le altre corse a cavallo della tradizione sarda. E’ questa cultura popolare, che comprende gli uomini che le corrono le Ardie e Sas Carrèlas e le donne che pregano nelle feste religiose, i pellegrini della Provincia di Sassari che praticano il culto di San Costantino prima dei sedilesi, e l’allevamento del cavallo in Sardegna oggi veramente a rischio di sparizione, con l’enormità dei significati, delle relazioni, le implicazioni di paesaggio rurale che porterebbe via con sé se non troviamo rimedi.

    L’Unesco ci può aiutare a fare questo ragionamento, e nella realtà questo sta facendo, raccomandando la gestione del bene da tutelare, non banalmente il riconoscimento che è anzi pericoloso se fissa una volta per tutte una tradizione per sua natura dinamica, in movimento; scoraggiando chi è semplicemente alla ricerca di un brand commerciale e turistico. Non ha bisogno di questo l’Ardia di Sedilo, viene persino troppa gente a San Costantino in quelle ore poche ore. Ne vorremmo di più durante tutto l’anno, e non solo a Sedilo ma per esempio in questi altipiani centrali, e che i pastori vivessero meglio allevando anche cavalli, facendone un’economia, così del paesaggio, della vita rurale nel suo insieme.
    Umberto Cocco
    Sindaco di Sedilo

  5. FRANCO STEFANO RUIU

    Leggo la risposta di Umberto Cocco, risposta che ho letto sempre oggi (in ritardo) anche nella Nuova. Ironia della sorte sia la sua risposta che il mio intervento sono della stessa data, quindi si annullano a vicenda e la cosa mi fa piacere sperando che le mie parole rivolte nei suoi confronti non siano sembrate più alterate di quello che potevano sembrare, equivoco che comprendo è stato generato dal titolo che la redazione della Nuova ha voluto dare al mio articolo. Il fatto che Umberto Cocco abbia saputo leggere fra le righe e non mi consideri responsabile di quello che non volevo dire mi fa piacere, non foss’altro che per il fatto che questa strana corrispondenza di amorosi sensi troverà finalmente, da parte mia, la parola fine. Caro Umberto, permettimi questo “caro” che sento di dire, hai capito perfettamente il senso del mio intervento e il mio attaccamento morboso alle tradizioni (tutte) della nostra isola, Manda avanti il discorso delle Ardie, includici pure le corse a cavallo, mettici come prima pandela l’Ardia di Sedilo, ma metti bene per iscritto che l’Ardia in Sardegna non è una soltanto, che tutte meritano di essere visitate e conosciute, che l’Ardia di Sedilo non vuol dire battaglia di Ponte Milvio e io, se non ti spiace, senza macchina fotografica ma da sardo, sarò al tuo fianco. Con amicizia, e già, …. paragulas in cara cheren narrere amistade. Franco Stefano Ruiu

  6. Fernando

    Ho molto apprezzato il pezzo di Umberto Cocco che offre una visione da una prospettiva insolita, tropo poco spesso osservata, discussa e scritta, dell’Ardia di San Costantino di Sedilo.
    Non sta certo a me fare l’esegesi ma mi pare che lo sguardo attento dello scrittore, la sua profondità sia ad un livello tale di astrazione che non necessiti giustificazioni né ulteriori specificazioni poiché completo, esaustivo.

    Da semplice osservatore e studioso dei fenomeni sociali e culturali mi auguro che il discorso Unesco per l’Ardia di Sedilo possa proseguire e diventare di per se fattore di salvaguardia consapevole, di orgoglio, non solo per la comunità di Sedilo ma per l’isola in genere, e per tutte quelle comunità in cui è prospera la cultura del cavallo.
    Mi chiedo in che termini di ragionamento logico possa essere considerato tale riconoscimento un affronto per le altre ardie e mi chiedo soprattutto a che tipo di identità faccia riferimento il Ruiu quando afferma “la vogliamo si o non questa benedetta identità di cui tanto si parla”?

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