La Sarda Rivoluzione? Sciocchezzuole! [di Nicolò Migheli]

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Taglia che ti taglio, la giunta che governa questa isola disgraziata, ha eliminato persino i finanziamenti per Sa Die de sa Sardinia. È la prima volta che capita da quando è stata istituita nel 1993. La finanziaria del 2015 cancella la Giornata del popolo sardo. Chi vuole la festeggi, ma le massime istituzioni dell’Isola saranno assenti. Forse si rimedierà con una riunione straordinaria in Consiglio Regionale, lo si farà per non perdere definitivamente la faccia. Tutti quei programmi che garantivano la memoria dei fatti di fine Settecento nelle scuole e nelle piazze della Sardegna non ci saranno più.

Chi vuole festeggi, chi vuole faccia iniziative, il governo dell’Isola lascia ampia libertà ai privati ed ad altre istituzioni. In fin dei conti chi erano Giovanni Maria Angioy, Michele Obino, morti esuli ed in povertà a Parigi? Chi era Francesco Cillocco impiccato e squartato dalla (in)giustizia savoiarda, colpevole di essersi rivoltato contro l’assolutismo monarchico e di aver sognato una Sardegna libera e indipendente? Chi erano costoro di cui non vi è traccia nei libri di scuola dove studiano i nostri figli? Chi si ricorda della Sarda Rivoluzione che ebbe il pregio di essere l’unica rivolta liberale non istigata dai francesi, autonoma, frutto di questa terra martoriata? Chi si ricorda dell’avvenimento che portò la Sardegna nella modernità?

In molti, ma non i professori che ci governano. La giunta più competente della storia, liquida quell’avvenimento come un sciocchezzuola, una quisquilia buona per romantici neo sardisti e para indipendentisti. Che senso ha ricordare si saranno chiesti, se mai se lo sono chiesti. Qui occorre operare con la lesina che fu di Quintino Sella, tutto il resto non conta. Ci siamo ridotti a questo. Come il Manno neghiamo e nascondiamo la nostra storia. Anzi esaltiamo i Giganti, facciamone pure una operazione mitopoietica ma nascondiamo il nostro passato prossimo. Trasformiamo pure la nostra identità in orpello markettaro, buono per vendere il “prodotto” Sardegna, ma evitiamo qualsiasi legame con una storia diversa; una possibilità di riscatto che vada oltre quella del sogno di essere al pari delle migliori regioni italiane.

Abbiamo ridotto a folklore le nostre tradizioni culturali ed ora è il momento della storia. Questa linea di condotta è coerente con l’economicismo che domina questi tempi, tutto è buono per “vendere” fuori dalla Sardegna, esportare. Siccome Sa Die de sa Sardinia interessa solo i sardi, possiamo persino cancellarla. Così come lo sono stati i finanziamenti per il sardo nelle scuole. Altro orpello inutile secondo certa vulgata che sente l’essere sardi come una diminutio, che si immagina internazionale ed invece si nasconde, finendo con l’esprimere la vergogna di sé.

Ancora una volta viviamo nella negazione di noi stessi. Si sogna lo Stato e si distruggono le fondamenta e gli avvenimenti storici che lo legittimano. Come se la Francia non finanziasse il 14 luglio e i catalani la Diada. Il sospetto però è, che questa che passerà come dimenticanza o distrazione, sia un voler aderire al progetto centralista che anima il governo Renzi, reputandolo il migliore per l’Italia di questo secolo. Si sa lo spirito del sacrificio dei sardi per il bene italiano è sempre dietro l’angolo. Dentro di noi freme il sassarino. In quello sì che ci si riconosce. Accumulare meriti e porte sbattute in faccia. È bene prenderne atto.

Si cancelli il 28 aprile 1794 e si adotti come festa nazionale il 30 di marzo quando i Savoia respinsero le famose “Cinque domande”. Noi il rifiuto dei governanti esterni lo abbiamo interiorizzato. Ci giustifica come eterna vittima e ci deresponsabilizza. Se poi nei recessi di bilancio si dovessero trovare qualche migliaio di euro, si potrebbe costruire davanti al Consiglio Regionale o in viale Trento un monumento, o almeno una targa ricordo, a Efisio Luigi Pintor Sirigu, noto Pintoreddu, prima rivoluzionario e poi capo dei reazionari. Pintor non si limitò a chiedere perdono al Savoia, ma fu artefice della dura repressione dei rivoluzionari.

Facciamola questa opera di chiarimento, dimentichiamo l’inno de su Patriotu sardu.  Riconosciamolo fino in fondo, non siamo degni dei nostri sogni.

 

3 Comments

  1. Maria Luisa Vargiu

    ” Non siamo degni dei nostri sogni ” ?
    Per Tutti , per Noi , per Loro , chiarissimo.
    Soprattutto per Sardegna però amarissimo.

  2. Giuseppe Aresu

    Modo di fare, tipico di chi sente di vivere in zona esterna. Pochezza di autostima.
    In una parola: PROVINCIALISMO.
    Menano dati sui conti e sui bilanci, come se a tavola sfamasse la carta moneta.
    Questo atteggiamento, può portare al ricordo di un geniale studioso locale, vicino al Nobel per la medicina, come ad un messaggero di sfiga.
    Al diavolo il Leone russo, che aveva fiducia di divenire universale, descrivendo semplicemente il proprio villaggio.

  3. Secondo me festeggiare il 28 aprile 1794 nel momento in cui abbiamo proseguito a far parte del Regno di Sardegna non ha senso ed è una solenne cavolata. Ritengo sia meglio festeggiare, a scelta, il giorno in cui Mariano IV o il nipote Mariano V riunificarono tutti i giudicati sardi in un unico Giudicato della Sardegna

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