Lunadigas [di Marilisa Piga e Nicoletta Nesler ]

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Antefatto. Sono ormai trascorsi alcuni anni da quando abbiamo pensato alla composizione di un film documentario da dedicare alle donne che non hanno generato figli. Nei paesi anglofoni le chiamano children-free o no-mamas. L’idea di dedicarlo alle donne senza figli era arrivata all’improvviso, quasi come un fulmine a ciel sereno nel settembre del 2008. In Sardegna, dove l’idea è nata, il mese di settembre lo chiamano cabudanni, capodanno. È l’inizio della rinascita. Ci era parsa subito una certa sfida, in primo luogo con noi stesse donne senza figli in prima persona. Abbiamo subito ragionato su un possibile sviluppo di questo tema e su un trattamento cinematico capace di svolgere una matassa tanto delicata e sensibile. Nella vita di una donna, la scelta di non avere figli si inserisce come un capitolo del tutto fuori dall’ordinario.

L’esigenza di metterci subito al lavoro si è scontrata da principio con l’accoglienza piuttosto tiepida da parte delle donne che man mano venivano coinvolte per essere interrogate sul tema. Le nostre certezze hanno vacillato e abbiamo dovuto far passare del tempo per acquisire noi per prime la giusta consapevolezza sulla condizione di donne senza figli. Certamente, la nostra crescita di coscienza intorno alle motivazioni della non maternità ha funzionato e così, a poco a poco, nessuna delle donne contattate si è più tirata indietro ma anzi abbiamo avvertito chiaramente l’esigenza prepotente da parte delle protagoniste di volerne parlare, anche distesamente.

La storia. Il racconto prende le mosse dal privato di ciascuna donna ritratta e, di volta in volta, passa dalla singolarità dei casi alla universalità della condizione femminile. La condizione di non madre è comune al 60% delle donne del mondo occidentale, pur nelle diverse e soggettive declinazioni o variazioni culturali, economiche e sociali.
In realtà, intorno a questa condizione così diffusa si è detto e scritto pochissimo. Qualche pubblicazione in Italia, qualcuna in più nei paesi europei ed extraeuropei. Emerge qualche ricerca sociologica colma di grafici e diagrammi che interpella un campione di donne valido per tutte. Tra le righe di questi lavori si avverte quanto sia palpabile il sollievo e l’immediata propensione a parlare che le donne manifestano, quando capiscono di trovarsi insieme per una condizone condivisa e accogliente dove a nessuno verrà in mente di giudicarle. Anche la nostra personale esperienza si iscrive in questo atteggiamento.

Infatti, sulla base di un meccanismo automatico ed empatico di condivisione, si è creata un’atmosfera di interesse, adesione, complicità, abbandono senza riserve a confidarsi, condividere e raccontarsi. Le nostre interlocutrici, già conosciute o appena incontrate, hanno cominciato a reagire e rispondere nel modo che avevamo immaginato, con generosità e senza alcuna ritrosia. Ecco le confidenze e le parole spesso sorprendenti o spiazzanti, i temi inaspettati e spesso imprevedibili. Nel corso del tempo, il copione di questo film si è sempre dovuto adattare a continui cambiamenti e a diversi cambi di direzione per via della grande variabilità di casi e situazioni. Uno sviluppo in perpetua metamorfosi. Le donne sentono che è finalmente arrivato il momento di parlare dopo anni di silenzio e la risposta arriva subito, palpitante, sincera, vibrante.

Quando un’amica mi ha chiesto se mi faceva piacere un incontro per parlare sulla mia scelta di non avere figli, mi son tanto sorpresa che una donna che non mi conosceva volesse parlare con me. In più la sorpresa del tema, una donna che ha scelto di non avere figli qui è un tabù. – Elba Teresa, 56 anni

Per la prima volta, in un web-doc e di seguito in un film, le donne che non hanno voluto essere madri potranno raccontare motivazioni, complicazioni o soddisfazioni di questa loro scelta di vita. Si compie così un gesto importante che, partendo dal privato di ciascuna, esplora una zona poco illuminata e poco frequentata dell’esistenza, con la consapevolezza che parlarne potrebbe comunque costituire anche una sofferenza. Sono arrivati così tanti e generosi racconti, acquisiti uno dopo l’altro e catalogati come prezioso materiale di indagine e di narrazione. Le donne ne parlano davanti alla macchina da presa coscienti di trovarsi di fronte ad autrici che propongono questo tema a partire dalla loro medesima condizione e da vissuti che, pur essendo individuali, si muovono su un terreno comune e per questo più empatico e solidale.

È difficile parlarne perchè ho un pregiudizio. Penso che gli altri pensino che non è naturale decidere di non avere figli. È difficile verbalizzarlo, molto difficile. La mia paura di stamane era anche questa: come si racconta? Le madri delle mie amiche mi dicevano: oh poverina! Io non ho mai spiegato nulla e pensavo: guarda che cosa buffa, non pensano mai che forse l’hai scelto! – Daniela, 57 anni

La nostra decisione di dedicare il film alle donne senza figli ha tra le sue finalità quella di far scoprire il mondo che sta dietro questa scelta. Questa finalità ne comprende un’altra: fare in modo di abbassare lo stigma che spesso è associato a quel tipo di scelta per poter affermare un senso comune in cui tutte le donne, interessate o meno, possano ritrovarsi.
Abbiamo cercato le ragioni più intime, spesso indicibili e a volte scomode da far emergere sulla scelta di non avere figli. Nel passare da un caso all’altro, abbiamo sempre puntato sulla autenticità delle narrazioni. Del resto, anche le spiegazioni e le confessioni più ragionate e razionali da qualche parte nascondono sempre una scelta forte e, a volte, imposta dalle circostanze o dalle avversità.

Figli tutta la vita TUOI, non ce la posso fare. La mia casa? Si capisce che non ho figli, è perfetta e per niente “incasinata”.  -Rosanna, 48 anni

In aggiunta, puntiamo anche sul fatto che questo nostro lavoro possa aiutare le stesse donne a capirsi meglio e a sentirsi parte di un gruppo. Una motivazione questa molto importante per noi da sempre attente ai temi di interesse sociale, come risulta dai titoli presenti nella nostra filmografia.

C’è una componente sessuofobica. Se hai un figlio, vuol dire che sei andata a letto con tuo marito.Tutti vedendo la pancia, avrebbero pensato quello e io mi sentivo in colpa. – Marina, 70 anni.

L’architettura del racconto è di tipo corale, composta di una moltitudine di incontri, di scambi, di proposte in un continuo passaggio di testimone e di testimonianze.

Testimonianze personali di donne note (Maria Lai, Margherita Hack, Lea Melandri, Valeria Viganò, Veronica Pivetti, Melissa P., Marisa Volpi Orlandini e altre) o sconosciute, incontrate da sole o in gruppo, da single o in coppie anche di fatto. Monologhi impossibili o dialoghi immaginari di e con personaggi storici femminili vissuti in altre epoche, in un viaggio nel tempo alla ricerca di donne celebri che possano essere state un riferimento per questa scelta (eroine – dive del cinema – artiste – poetesse – figure del mito – personaggi dei fumetti – banditesse – mistiche – ecc.). Con la dicitura monologhi impossibili, vogliamo esplicitamente riferirci alla tipologia della famosa serie radiofonica intitolata le interviste impossibili. Ricerca e utilizzo di immagini di repertorio, anche tratti da album di famiglia fotografici o da filmini domestici girati in otto millimetri e in superotto.

Ricorso alle tecniche grafiche, per impaginazioni speciali da utilizzare soprattutto nel caso della versione web-doc e del sito ad essa dedicato. Ricorso alle tecniche dell’infografica, per meglio rappresentare visivamente dati e numeri in modo accessibile, significativo ed immediato. Lo scopo è quello di riuscire a comunicare dati e statistiche nella maniera più chiara e meno noiosa possibile. Confronto con altre culture per considerare e incamerare anche lo sguardo e il giudizio di donne di nazionalità straniera. Donne di diversa provenienza spesso immigrate e sradicate. Donne di diversa estrazione religiosa. Donne che possono testimoniare diversità di atteggiamenti riguardo alla scelta della non maternità o alle circostanze di vita che l’hanno causata. Racconti di madri che giudicano severamente la scelta di parenti, amiche, vicine di casa di non avere figli, in un confronto con quella parte del mondo femminile che la maternità l’ha scelta e praticata. Testimonianze di uomini che hanno scelto di non essere padri. Trattamento del girato raccolto in anni di riprese, per una trasposizione multimediale in formato web-doc.

La decisione serena di non fare figli è un progetto familiare meravigliosamente importante, proprio come la decisione di farne dieci. È una scelta di vita che rivela un’intesa profonda, nonostante l’enorme pressione sociale. Si dimostra una grandissima indipendenza. Soli contro tutti, felici e autosuffcienti, sapendo che anche la vita a due ha i suoi vantaggi. – Claudio Rossi Marcelli

Consideriamo importante nella coralità del film dare spazio anche a donne molto giovani, molto decise nella loro scelta e capaci di elaborarla magari in conflitto con i diversi modi di interpretarla. Del resto, la scelta di non avere figli non risente poi tanto delle differenze culturali, sociali ed economiche.
Da molto piccola pensavo che fosse obbligatorio avere bambini. Ho chiesto a mia madre e mi ha tranquillizzato. Già da allora, non ne volevo e ormai non cambio più idea. Avevo sei anni e mentre mia madre aspettava mio fratello, lei non faceva che guardare documentari sulla gravidanza e il parto. Mi facevano moltissima impressione, fisicamente. Anche ora lo trovo un fatto innaturale, una cosa che ti cresce nella pancia… e poi fanno troppo rumore. – Francesca, 30 anni

Sono storie che appartengono a donne di diversa estrazione e provenienza, abituate a modelli di vita diversi tra loro, in contesti geografici e paesaggi differenti. Parlano di un argomento pieno di risvolti e sfumature, vissuto in modo simile a tutte le latitudini e per questo immediatamente politico e universale.

Fare che fu una cosa pesantissima, non gli passò per la controcassa del cervello di chiedere di mio marito. Una donna la si sfrugona, un uomo no. – Margherita, 80 anni.

Ab antiquo e nelle antiche comunità rurali mediterranee, le donne senza figli venivano definite rami secchi o aqrah. Sono termini che esprimono e comunicano una certa durezza e un giudizio al limite del dispregio o della diffidenza. Le donne che non avevano fatto l’esperienza della procreazione venivano tenute lontane dai campi seminati e dagli animali in attesa di partorire. Durante la prima fase di elaborazione di questo tema, abbiamo avuto la fortuna di incontrare Monica Lugas, artista sarda autrice di una serie di sculture intitolate Lunadiga.

Da lei abbiamo appreso dell’esistenza e dell’uso di questa parola tra i pastori sardi che chiamano lunadigas le pecore del loro gregge che, per un motivo o per un altro o per via di una luna storta, non vogliono saperne di generare agnelli. Così, la parola lunadigas l’abbiamo subito adottata come titolo di questo lavoro che nel tempo e attraverso diverse fasi di lavorazione è andato avanti per accumulazioni successive fino a costituire un grande archivio di racconti e ritratti filmati. Nell’isola di Sardegna, dove è nata l’idea di questo film, non c’è luogo o contrada che non possa vantare le sue antiche e neolitiche statuine votive chiamate dee madri, simboli di fertilità.

La storia continua. Una volta presa la decisione di inoltrarci all’interno di un tema così ampio e mai trattato prima con le tecniche audiovisive, abbiamo subito pensato a un ribaltamento di 180 gradi riguardo alla posizione e al ruolo dell’autore-regista nella conduzione di questo film centrato sulla non maternità. In un caso speciale come questo, ci è parso riduttivo pensare di star ferme e confinate dietro la macchina da presa. Il nostro coinvolgimento è tale che abbiamo scelto di comparire con il nostro corpo e le nostre storie personali, mescolandoci con tutte le donne in azione nel film.
Non abbiamo abdicato al nostro ruolo autoriale ma anzi abbiamo voluto tentare di trasmettere a chi guarda che il mondo che abbiamo scelto di raccontare è in pieno anche il nostro. È un mondo di cui facciamo parte e che ci riguarda in tutti i suoi aspetti.

È cinema verità. Cinema oggettivo che sconfina nell’iperrealismo ma emozionale per il fatto che gira intorno al corpo delle donne che non hanno sperimentato la condizione fusionale della madre con il suo bambino. – Carlo Antonio, 63 anni

Le donne coinvolte come persone e voci narranti possono essere riprese da sole, faccia a faccia con la macchina da presa. Il rapporto è diretto, intimo, confidenziale e spesso riserva sorprese. La location prescelta è spesso la loro casa, lasciando a loro stesse la possibilità di scegliere come e dove mettersi per essere filmate.

Donne che si raccontano all’interno di ambienti domestici, i quali spesso manifestano per la loro conformazione e i loro arredi la condizione della non maternità. Possono nascere speciali curiosità: in cosa si differenziano i cassetti e le borsette delle donne senza figli dai cassetti e dalle borsette delle donne che hanno avuto a che fare con propri figli?! Altre volte, le donne parlano e si muovono anche in gruppo, per esempio in un tiepido pomeriggio d’estate e si raccontano passandosi il testimone nella corte di un casale fiorentino. In casi come questi, le protagoniste vengono riprese con camera a spalla, in modo tale da restituire agilmente la vivacità delle testimonianze, spesso incrociate e scoppiettanti.

Quando una coppia non aveva figli era senz’altro colpa della donna e con un disprezzo!
Mi meravigliava vederlo anche nel primario della maternità. Se invece di fare tutto, pasticche, analisi, prove, e ancora pasticche, di tutti i colori, mi avessero detto subito che sarebbe stato meglio controllare tutti e due, avrei evitato l’esaurimento ma non per i figli. Per tutto questo ho già detto alle mie amiche: non cercate nei cassetti quando non ci sarò più. Non ho niente. Ci siamo lasciate già tutto nei nostri incontri, nella nostra crescita comune. – Lea, 71 anni.

Il paesaggio interiore di queste donne emerge dal loro modo di raccontarsi. Il loro paesaggio fisico è messo in scena con luci usate di taglio per ottenere effetti di contrappunto e contrasto. È, per esempio, la luce dei giorni di maestrale a Cagliari. È la luce delle ore mattutine e pomeridiane che poi non arrivano al tramonto. Questo è un tentativo di rappresentare il dentro e il fuori di ognuna, l’interno e l’esterno. È il lato metaforico di un argomento pieno di chiaroscuri che noi scegliamo, per contrasto, di tratteggiare con luci forti e nette, naturali o artificiali che siano.
Abbiamo scelto di allestire troupe leggerissime e composte da donne, per favorire l’intimità del rapporto tra noi autrici e le protagoniste.

Penso che le donne raffigurate da Edward Hopper sappiano già di non volere figli, anzi forse lo stanno decidendo nell’esatto momento in cui Hopper le ha dipinte, mentre guardano fuori nella luce. È una decisione che si prende da sole, da piccole o da adulte, e ci si mette del tempo e della fatica per metabolizzarla e comunicarla al mondo. Forse perché ci hanno insegnato che, così facendo, si manca al naturale corso della vita. – Nic, 54 anni

Ho provato spesso a immaginare come poteva essere avere un bambino.
A partire dall’infanzia via via fino a un certo punto, poi le circostanze, le relazioni… c’era sempre qualcosa che non mi convinceva del tutto, non riuscivo a vedermi “mamma” e neanche volevo pronunciarla quella parola. L’immagine che poi mi ha consolato è stata quella ispirata da Jo March di Piccole donne: una fattoria allegra piena di bambini trovatelli, bisognosi di cure, immersi nella natura. Mancava sempre quello struggimento, quella dimensione di impaziente attesa di avere bambini, c’era sempre una riserva mentale. Infatti nella mia visione il raduno dei ragazzi li considerava già belli e pronti non fatti da me e questo, con un salto temporale acrobatico, ci conduce finalmente all’argomento del film: le donne che hanno deciso di non avere figli. – Isè, 62 anni

Considerata la complessità e la quantità delle testimonianze raccolte in diverse regioni d’Italia, abbiamo pensato a uno sviluppo e a un trattamento di questo tema da articolare e prolungare in quella nuova forma di narrazione audiovideo che viene definita web-doc. Un web documentario, per la sua conformazione crossmediale, consente di aprire numerose finestre sui contenuti e permette ai visitatori di interagire con l’opera esposta in rete. La versione web-doc di Lunadigas si configura come passaggio intermedio e come work in progress verso la realizzazione di Lunadigas come film documentario lavorato e compiuto con le modalità e le tecniche cinematografiche tradizionali. A dicembre 2014, per sostenere l’uscita in rete del web-doc, è stata aperta una pagina facebook con la medesima intitolazione: Lunadigas. Lunadigas è anche il titolo del sito dedicato a ospitare e diffondere contributi di varia natura riferiti al tema delle donne non madri. La pagina facebook, il sito e il web-doc nel loro insieme costituiranno un’opera aperta a nuove acquisizioni, nuovi approfondimenti e nuove testimonianze. Nel frattempo, personaggi come Lilith, Adelasia di Torres, Giovanna d’Arco, Vittoria Colonna, Jane Austen, Rosa Luxemburg, Dora Maar, Maria Callas, Dorothy Parker, Barbie e altre hanno già dato la loro personale testimonianza in quanto lunadigas.

Epilogo: non c’è. Le lunadias saranno sempre con noi e tra noi

Titolo: Lunadigas
Sottotitolo: Quei rami secchi delle donne senza figli
Oggetto: web-doc e film documentario
Autrici: Marilisa Piga e Nicoletta Nesler (l’una ramo secco e l’altra pure)
Il web-doc Lunadigas è visibile e navigabile nel sito lunadigas.com

 

 

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