Il PPR esistente va salvato: è uno dei migliori del mondo [di Pier Giorgio Pinna]

SALVATORESETTIS

La Nuova Sardegna 31 ottobre 2013. Temo che vengano riesumate cubature-zombie. Ma in caso di conflitto davanti alla Corte costituzionale la giunta sarda uscirà sconfitta. L’isola non è una collezione di cartoline. Concepire alcuni pezzi di costa come degni di tutela e altri no significa tornare indietro di cento anni. La legge salvacoste voluta in Sardegna da Renato Soru va tutelata in ogni modo: pensare a riforme che la stravolgano come sta facendo oggi il governatore Cappellacci significa rischiare di compromettere di nuovo il patrimonio dell’isola.

Salvatore Settis, uno degli specialisti europei più attenti alla difesa dell’ambiente, è molto critico sulle ultime norme ventilate dalla giunta regionale. Abbandonare un modello eccellente per aprire la strada al cemento selvaggio mi sembrerebbe un suicidio, aggiunge con estrema convinzione.

Professore, lei in questi anni è spesso intervenuto proprio per rendere pubblicamente merito al centrosinistra di avere varato il Ppr nel 2006: quali sono allora i suoi dubbi su possibili modifiche?

«La legge esistente va protetta perché rappresenta il miglior piano paesaggistico d’Italia e uno dei migliori del pianeta. Tutti i sardi dovrebbero essere fieri di poter ispirare gli altri da questo punto di vista. E adesso che sento circolare proposte di riforma mi viene quasi da non crederci».

In che cosa consiste il valore dell’attuale Ppr?

«L’elemento più avanzato del piano elaborato dalla giunta Soru, piano che io ho studiato e conosco bene, è rappresentato dal fatto di considerare l’intera fascia costiera un bene unitario unico al mondo».

Può precisare meglio questo concetto?

«Sappiamo bene quale sia il valore dei litorali della Sardegna. Ma qui non parliamo mica d’una collezione di cartoline. Quel Ppr concepisce tutte le coste come un bene non soltanto estetico, ma anche ecologico, antropologico, storico, culturale. Ed è appunto questo l’elemento più avanzato di tutta la programmazione urbanistica regionale predisposta a suo tempo».

Che succederebbe invece se la valutazione non fosse fatta in una maniera tanto globale?

«Concepire alcuni pezzi di costa come degni di tutela, e altri invece no, significherebbe riportare indietro di cento anni l’orologio della storia».

Eppure, a carico del vecchio Ppr, oggi il centrodestra al governo della Regione, sia pure alla vigilia della campagna elettorale, muove pesanti rilievi: come mai, secondo lei, queste posizioni critiche?

«Credo non ci sia nulla di più sbagliato che continuare ad aggiungere norme su norme. Se si vuole semplificare, non ha proprio senso cambiare in continuazione le leggi, dato che, fra l’altro, quel Ppr è entrato in vigore soltanto nel 2006. Chi vuole mutare indirizzo crea solo un enorme intrico tra disposizioni precedenti e successive. In questo modo è lui che fa scomparire la certezza del diritto».

Come si possono conciliare queste accuse di eccessiva burocrazia, contraddizioni fra norme e vincoli troppo rigidi avanzati dal centrodestra col fatto che il Ppr ha retto decisamente bene a un’infinità di ricorsi amministrativi?

«Ecco, è appunto la dimostrazione di quanto il sistema normativo predisposto a suo tempo sia solido. La verità è che, come ho indicato ripetutamente nei miei libri, quel piano paesaggistico regionale è fatto benissimo. I sardi, che ora ce l’hanno già a disposizione, dovrebbero toccare il cielo con un dito. Perché il loro modello potrebbe essere applicato con estremo successo anche altrove, rispetto all’isola persino in aree molto più popolate. E invece questi tentativi ultimi sembra vadano in tutt’altra direzione».

Che cosa pensa dell’allentamento di certi freni all’edilizia e delle maggiori volumetrie previste?

«Li vedo come la riesumazione di cubature-zombie che tornano e invadono in maniera selvaggia il territorio. Lo ripeto: un sistema del genere mi pare destinato solamente a uccidere tutto e tutti».

Da presidente della commissione nazionale per il Codice del paesaggio, in che modo giudica la mancata co-pianificazione con il ministero dei Beni culturali?

«Non ho ancora visto la nota ufficiale del Mibac. Mi sembra tuttavia che il ministero abbia fatto benissimo a intervenire. Non c’è alcun dubbio: a creare il problema, volendo fare le cose senza le debite cautele, sono il governatore Cappellacci e i suoi assessori, non altri».

In campo ci sono adesso diverse ipotesi: fra le altre, l’impugnazione del piano voluto da Cappellacci da parte del governo e la scelta di azioni legali da parte del Mibac. Come finirà?

«Naturalmente io non ho la sfera di cristallo davanti per poterlo dire. Rilevo solo che se il conflitto arriverà alla Corte costituzionale, com’è più che plausibile, la giunta sarda con ogni probabilità uscirà sconfitta dalla partita. Esiste infatti una giurisprudenza costante in questo senso: le Regioni, di fronte a questioni del genere, in passato hanno sempre perso».

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