Raccontare la storia con le storie [di Nicolò Migheli]

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Avere una storia, riconoscersi in essa, è uno dei bisogni innati dell’essere umano. Un modo per stabilire una continuità con le generazioni antecedenti. Capire da dove si viene. Nonostante l’esigenza, questo è un tempo che tende a dimenticare facilmente. Schiacciati sul presente facciamo difficoltà a leggerlo perché sottovalutiamo le tendenze di lunga durata.

Quanto, ad esempio, ci hanno segnato i sette secoli di appartenenza al mondo bizantino o i quattro della dominazione spagnola? Perché la Sarda Rivoluzione gode di cattiva memoria, perché si sono esaltati la resa ai Savoia e non il sacrificio degli Angioy, Obino e Cilloco? Quanto quelle letture siano state funzionali alla subordinazione dei sardi e alla loro negazione come nazione? Come raccontare la storia, il romanzo storico può avere ruolo nella trasmissione culturale tra generazioni?

Se ne è parlato a Cagliari il 9 febbraio nell’incontro “Alla ricerca della storia perduta: La trilogia giudicale di Vindice Lecis”, promosso dal FAI Sardegna con la rinata Delegazione di Cagliari e l’appena fondato Fai Giovani sempre di Cagliari. Storici, insegnanti, filosofi e studenti si sono confrontati sulla funzione che il romanzo può avere nella conoscenza della storia. Le storie minime hanno dignità nel narrare il tempo passato? Quanto il verosimile ha il potere di restituire il vero? Sempre che esista un “vero” oggettivo, poiché anche la storia scritta dagli storici è un racconto che privilegia alcuni aspetti a discapito di altri, tramutandosi talvolta in versione dei fatti.

La soggettività e il bisogno del presente, sono le lenti interpretative a cui sottoponiamo gli avvenimenti passati. Nel suo intervento Vindice Lecis diceva che nel Condaghe di Silki si accenna ad una rivolta pacifica dei servi, un conflitto sociale tra il monastero e le proprie dipendenze sfuggito o ignorato dagli storici, che potrebbe essere lo spunto per un romanzo innovativo sul periodo giudicale. L’arte del raccontare utilizza le informazioni che ad un primo sguardo sembrano poco degne di nota, le esalta e le trasforma in vicenda.

Paradossalmente anche il mito può essere una chiave di interpretazione, non tanto dei fatti raccontati, quanto di chi lo ha creato. È il caso delle Carte di Arborea, un falso costruito nella Cagliari di metà Ottocento da intellettuali raffinati. Carte che narrano il bisogno di quella èlite sarda di essere protagonista del Risorgimento. Un’aspirazione ad uscire da una percezione di marginalità della Sardegna. Ci si inventa così Torbeno Falliti e la corte giudicale degli Arborea come centro propulsore dell’italianità.

Uno storico del futuro potrebbe – il condizionale è d’obbligo – leggere l’attuale diatriba sui Giganti di Mont’e Prama, come il desiderio nostro di spostare il centro della civilizzazione da Roma verso la Sardegna, farla diventare il luogo originario di quello che poi sarà l’Occidente. Quella lettura riverberandosi nel presente avrebbe la capacità di riscattare la nostra immagine periferica. Lo storico del futuro probabilmente non si limiterà a riportare i fatti, ma esaminerà il linguaggio e le simbologie. Una lettura del clima culturale più che dei protagonisti. Anche questa prefigurazione però, è il frutto di una lettura presente e dei pericoli insiti in una nuova mitopoiesi. Di conseguenza passato, presente e futuro come figli di questo momento.

La storia come autobiografia di un popolo, scritta con gli occhi di oggi e con i medesimi bisogni. Il romanzo può essere d’aiuto? Far dialogare personaggi realmente esistiti con quelli letterari sono libertà che le storie possono permettersi e lo storico no. Però entrambi finiscono con il restituire l’immagine di un tempo. Quanto quei periodi  servano per interpretare il presente? Il romanzo, se sorretto da una documentazione accurata, può essere utile all’insegnamento. Le vicissitudini dei personaggi non fanno altro che raccontare le donne e gli uomini di allora e quelli di sempre; il potere, l’amore, la violenza, lo scontro degli interessi e tra le classi sociali.

Lunedì 9 il primo di tanti incontri. Il secondo sarà lunedì 2 marzo sempre nella Sala Convegni della Fondazione Banco di Sardegna, in via san Salvatore da Horta. Con la stessa metodologia si affronterà il periodo spagnolo e quello sabaudo fino alla Sarda Rivoluzione. Il confronto tra insegnanti, storici e scrittori potrà offrire nuove chiavi interpretative di quei secoli. E’ un’opportunità per quanti sono curiosi della storia della Sardegna e per gli insegnanti che sono i veri protagonisti della trasmissione della storia attraverso le storie.

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