Il bisogno di Storia [di Silvano Tagliagambe]

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La Relazione è stata presentata all’Iniziativa “Alla ricerca della storia perduta”: La trilogia giudicale di Vindice Lecis, organizzata dalla Presidenza FAI Sardegna con la Delegazione ed il FAI Giovani di Cagliari Lunedì 9 febbraio 2015 nella Sala Convegni Fondazione Banco di Sardegna di Cagliari. Il secondo appuntamento è previsto Lunedì 2 marzo alle 16 nella stessa Sala Convegni (NdR).

La consapevolezza di che cosa sia la storia e di quanto vasto possa essere il repertorio di strumenti a sua disposizione ha subito un significativo incremento almeno dal momento in cui, nel 1982, Jacques Le Goff, il noto medievalista francese da poco scomparso, pubblicò in Francia La naissance du Purgatoire introducendo, come oggetto storico, accanto ai grandi avvenimenti, agli eventi militari e diplomatici, alle battaglie e trattati, alle biografie dei grandi uomini, uno spazio intermedio tra l’inferno e il paradiso. Prima del XIII secolo non esistevano né la parola «purgatorio», né le sue rappresentazioni, per cui l’uomo medioevale era abituato a ragionare su sistemi binari e antitetici: dio e diavolo, bene e male, nobili e plebei, chierici e laici, ricchi e poveri.

L’introduzione del purgatorio ha spezzato questa concezione del mondo e della società basata su coppie opposizionali: ha fatto nascere un terreno neutro, né santo, né dannato, sottratto alle valutazioni estreme, e perciò in grado di fungere da terreno di riserva per un mutamento graduale delle istituzioni e dei costumi. Non a caso, in parallelo con il riferimento a questa nuova sfera, di cui la Bibbia non faceva menzione, poté pian piano emergere un terzo luogo sociale, quello del mercante, seme della borghesia, un germe di rinnovamento destinato, con le sue radici, a sgretolare pian piano la struttura e l’organizzazione preesistente. La velocità con cui questa idea davvero rivoluzionaria si affermò è testimoniata da Dante, che ne fa uno dei gironi della sua Commedia, pochi decenni dopo la sua efficace invenzione.

Quando uscì questa fortunata opera di Le Goff pochissimi ricordarono (e forse allora sapevano) che probabilmente l’idea di costruzione di questo nuovo oggetto della storia costituiva un debito intellettuale nei confronti di un notevole saggio di Lotman e Uspenskij, dal titolo Rol’ dual’nych modelei v dinamike russkoj kul’tury do konca XVIII veka (Il ruolo dei modello bipolari nella dinamica della cultura russa fino alla fine del XVIII secolo), pubblicato nel 1977, quindi cinque anni prima del volume dello storico francese. In esso questi due grandi semiologi sottolineavano che, proprio a causa della mancanza del purgatorio, la cultura russa, e quella bizantina in generale, sono caratterizzate dalla concezione del mutamento come ribaltamento escatologico del tutto.

In seguito alla prevalenza, presso che assoluta, di questa visione il processo dinamico presenta aspetti del tutto particolari, che portano a vedere il cambiamento esclusivamente come radicale ripulsa della fase precedente e il nuovo come risultato di una pura e semplice trasformazione del vecchio o, per meglio dire, di un’operazione di radicale capovolgimento di esso, per cui ciò che prima era santo diventa dannato e viceversa. Una damnatio memoriae e una ripulsa dell’idea di progresso come mutamento graduale che interessano da vicino anche la Sardegna, dal momento che il retaggio bizantino, insieme a quello arabo, è entrat in modo profondo nelle pieghe coscienziali del modo di essere di questa Isola.

Grazie a Foucault, altri oggetti della storia prima impensabili, quali la follia, la clinica, il mondo carcerario, la sessualità, sono entrati a far parte del tessuto narrativo di questa disciplina, individuando un nuovo filo conduttore: la grande segregazione dei devianti nelle società occidentali tra la fine del medioevo e il XIX secolo. La storia ha così cominciato a parlare e a raccontare anche attraverso i suoi silenzi, anche quando si era di fronte all’assenza di documenti, e si è per questo dovuto far ricorso all’archeologia, alla ricerca di significati attraverso lo scavo di esperienze e pratiche precedentemente prive di voce, come ad esempio la stregoneria, la follia, la festa, la letteratura popolare, il mondo dimenticato del contadino e dei suoi saperi, il lavoro prezioso e oscuro delle donne all’interno delle cerchie famigliari, ma non solo.

Questo accorto interrogare la documentazione storica sulle sue lacune, sugli oblii, i vuoti, gli spazi bianchi che presentava, questo ricorso all’inventario degli archivi del silenzio hanno avuto il significato di spalancare le porte della ricerca storica al senso del possibile e all’immaginario, facendo di chi la pratica un rabdomantico, “profetico” interprete del passato, secondo l’efficace definizione con la quale Arnaldo Momigliano ha sintetizzato il pensiero e l’opera di Santo Mazzarino, che sfocia nella convinzione che ogni rievocazione poetica o mitica o utopica o altrimenti fantastica del passato rientri, con piena legittimità, nella storiografia.

Del resto già nel 1949 Lucien Febvre affermava che la ”storia si fa, senza dubbio, con documenti scritti. Quando ce n’è. Ma si può fare, si deve fare senza documenti scritti, se non ne esistono. Per mezzo di tutto quello che l’ingegnosità dello storico gli consente di utilizzare per fabbricare il suo miele, in mancanza dei fiori normalmente usati. Quindi, con parole. Con segni. Con paesaggi e con mattoni. Con forme di campi e con erbe cattive. Con eclissi lunari e con collari da tiro. Con le ricerce su pietre, eseguite da geologi, e con analisi di spade metalliche, compiute da chmici. In una parola, con tutto quello che, essendo proprio dell’uomo, dipende dall’uomo, serve all’uomo, esprime l’uomo, significa la presenza, l’attività, i gusti e i modi d’essere dell’uomo”.

Quindi, aggiungiamo noi, anche con il romanzo storico, quando è ben documentato, quando si nutre di una ricerca appassionata, rigorosa e minuziosa che, rispettando scrupolosamente i dati di base di un’epoca – costumi, istituzioni, mentalità, cultura – riesce a ricreare fasi significative del passato giocando sul caso, sul senso del possibile, coniugando il senso della realtà, il rispetto di ciò che vi è di più importante in storia, con il piacere della sorpresa e dell’inventiva ben architettata e fondata.

Esemplare, da questo punto di vista, è la fortunata saga storica di Vindice Lecis. Sostenuta da una puntigliosa ricostruzione dei fatti, la trilogia – Buiakesos: le guardie del Giudice, Il condaghe segreto, Judikes – fornisce un affresco di quel grande momento storico della Sardegna che è stata l’epoca dei Giudicati accurato, approfondito e accattivante, capace di far parlare il silenzio di informazioni e ricostruzioni sempre considerate poco rilevanti e pertinenti, come una rivolta pacifica dei servi, un conflitto sociale tra il monastero e le proprie dipendenze, che vengono invece esaltate e trasformate in trama narrativa.

Anche così la storia, come campo ricerca e come materia d’insegnamento, risponde alla consapevolezza sulla natura del passato maturata grazie agli sviluppi delle neuroscienze, in particolare all’apporto del neurobiologo Gerald Edelman, premio Nobel della Medicina per gli studi di immunologia nel 1972. Nella sua opera del 1989 dall’omonimo titolo egli chiama «presente ricordato» la capacità di un organismo di collegare il proprio stato di coscienza attuale e vigile a momenti passati, «archiviati» nella sua memoria ma continuamente rielaborati in funzione delle esigenze dello specifico momento vissuto.

Come aveva già intuito Proust, allorché un rumore, un odore, un sapore già ascoltati, respirati o assaporati prima lo sono di nuovo, essi coesistono nel presente e nel passato, collegano l’oggi a ciò che magari da lungo tempo sembrava dimenticato, ma non lo era del tutto. Lo dimostra il fatto che, in seguito al “nutrimento celeste che gli viene apportato” dal «qui e ora», cioè dal vissuto attuale, quest’oggetto di un apparente oblio si sveglia e si anima, recuperando ex post le emozioni a esso legate, di cui si scopre il significato anche molto dopo che i fatti che le avevano prodotte sono in realtà avvenuti. Come nella scena degli stivali in cui il narratore scopre, a un anno di distanza, che cosa la morte della nonna abbia rappresentato per lui. Non a caso, in Du côté de chez Swann, troviamo l’immagine più fulminante ed efficace di questa coesistenza di finito e infinito, di presente e passato nel tempo: “Un homme qui dort tient en cercle autour de lui le fil des heures, l’ordre des années et des mondes”.

Anche i popoli a volte dormono: e a risvegliarne la coscienza può contribuire anche un racconto che, là dove alla storia mancano i monumenti scritti, sappia chiedere alle lingue in apparente disarmo i loro segreti, sappia indovinare nelle loro forme sintattiche e nelle loro stesse parole il pensiero degli uomini che le hanno parlate. La storia deve scrutare le favole, i miti, i sogni della fantasia, al di sotto dei quali deve scoprire qualcosa di reale, le credenze e le intenzioni umane, i progetti, gli ideali, i sogni, le utopie di chi ci ha preceduto.

Là dove è passato l’uomo, dove ha lasciato qualche impronta della sua vita e della sua intelligenza, là sta la storia. Là dove stanno romanzi che, come la trilogia di Vindice Lecis, ricostruiscono in modo credibile e godibile un intero mondo e riescono a interpretare in modo autentico il gusto che una determinata società ha per il proprio passato e il bisogno di capire le proprie radici e di renderne testimonianza, là sta la storia.

*Filosofo della scienza. Fai Sardegna

 

 

One Comment

  1. Giuseppe Aresu

    Grazie.

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