Tra sensi di colpa e realpolitik nel tempo del pensiero semplice [di Nicolò Migheli]

Pope: general audience

Il grido di papa Francesco sullo sterminio dei cristiani in Asia e Africa sembra destinato a rimanere inascoltato. Un’altra drammatica coincidenza con il 1915. Giusto nell’aprile di cent’anni fa cominciò nell’Impero Ottomano l’olocausto degli armeni. Centinaia di migliaia di persone crocefisse, uccise per mano dei turchi, le chiese rase al suolo, i cimiteri cancellati. Con loro i cristiani greci, siriaci, assiri, caldei, nestoriani e i più indifesi tra tutti: gli yazidi accusati di essere adoratori di Satana. Il ripetersi di quelle tragedie non sembra coinvolgere gli occidentali. La stessa sinistra e i movimenti pacifisti, muti e distratti.

Queste stragi non appartengono al paradigma dominante, non sono opera né dei sionisti né degli imperialisti anglo-americani-francesi, di conseguenza non esistono. Interessano solo alle destre che anelano al conflitto di civiltà. Dove è però la sinistra, quel pensiero politico che della difesa degli ultimi, dello schierarsi con ogni lotta di liberazione,  aveva fatto la cifra del proprio impegno? Stare dalla parte di quei cristiani evidentemente non giova. Le ragioni sono molte. In questo tempo di pensiero semplice si tende ad equiparare il cristianesimo con il Vaticano e con il ruolo che le gerarchie cattoliche hanno nel favorire politiche conservatrici, specie sui diritti umani, in Italia ed in Europa. Posizione che dimentica o non sa, che molti dei cristiani uccisi e scacciati dalle loro terre non sono solo cattolici, molti appartengono a chiese autocefale molto antiche, nate dalle predicazioni apostoliche e che nulla hanno a che fare con Roma.

Nella memoria della sinistra terzomondista è presente il ricordo del cristianesimo come punta ideologica della penetrazione colonialista in America, Asia ed Africa; oppure il ruolo ambiguo giocato dalle gerarchie cattoliche nelle dittature sud americane. Posizioni che oggi sono poco utili nella interpretazione di quel che accade. Ad esempio in India i cristiani vengono discriminati perché predicano l’abolizione delle caste; i convertiti vengono dai dalit, gli intoccabili, gli ultimi degli ultimi.

Una religione di liberazione, secondo i dettati evangelici. Tutto ciò o non è conosciuto o è sovrastato del senso di colpa per quel che gli occidentali hanno fatto nel mondo. Nel caos mediorientale, le spiegazioni assumono altre chiavi di interpretazione. Ancora una volta i primi imputati sono i paesi occidentali e il loro ruolo nella destabilizzazione di Iraq e Siria, cosa vera peraltro. C’è questo ma non è tutto, come se fosse possibile che migliaia di combattenti, come quelli dell’Isis e delle centinaia di formazioni jihaidiste che riconoscono l’autorità del Califfo, siano agli ordini degli occidentali.

Ancora una volta una spiegazione semplice ad un fenomeno complesso. È evidente che il demone una volta uscito dalla giara agisce di vita propria. Benché oramai siano – lo saranno veramente?- ripudiati dai sauditi, essi sono l’emanazione della setta dei wahabiti che hanno permesso alla tribù dei Saud di conquistare la penisola araba e di diventare i custodi dei luoghi santi dell’Islam. La potenza finanziaria dei principi arabi viene usata per espandere il wahabitismo edificando moschee e formando imam radicali. La predicazione di questi imam tende a dividere il mondo tra musulmani e non. I cristiani vengono considerati i primi nemici insieme agli ebrei, definiti come crociati e da estirpare dalle terre in loro possesso.

Una visione così radicale non impedisce loro di avere rapporti con gli Usa e ai Sauditi di esserne fedeli alleati. Non sono soli però, agiscono in competizione con l’altra ala jihaidista, quella salafita dei Fratelli Musulmani che fanno riferimento al Qatar e alla Turchia. Questi usano il movimento fondato da al-Hasan al-Bannâ nel 1925 in Egitto e fuori legge in gran parte dei paesi islamici, per accrescere il proprio dominio. Un conflitto per il controllo della Umma sunnita. I cristiani orientali impauriti da queste interpretazioni messianiche, hanno preferito appoggiare governi dispotici come quelli del Baat iracheno-siriano, perché garantivano la libertà religiosa essendo laici.

Questo agli occhi dei fondamentalisti è una ulteriore colpa grave. I governi occidentali ricattati dalla finanza e dal petrolio saudita, impauriti dai teorici dello scontro di civiltà, ignorano il dramma. Lo considerano un affare interno, uno dei tanti eccidi che si compiono in quelle regioni. Realpolitik che sembra aver conquistato anche la sinistra. Nei giorni di Pasqua, nella periferia di Damasco, un campo di profughi palestinesi è stato conquistato dall’Isis al prezzo di centinaia di morti tra la popolazione civile e la decapitazione di alcuni combattenti. Anche quelle vittime non rispondono al paradigma dominante. Yarmouk non è Gaza.

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