Le bugie di una madre [di Anonimo filippino]

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Ero bambino e la mia famiglia era molto povera. Non avevamo neppure cibo a sufficienza per sfamarci. Quando era il momento del pasto mia madre mi dava anche la sua porzione di riso. Versandolo nella mia ciottola diceva: “Mangia questo riso, figlio. Io non ho fame“. Era la prima bugia di mia madre.

Durante la mia fanciullezza mia madre impegnava il suo tempo libero andando a pescare nel fiume vicino a casa nostra. Sperava di darmi un maggior nutrimento per la mia crescita. Col pescato cucinava per me una zuppa molto appetitosa. Mentre mangiavo lei stava seduta accanto a me e mangiava quel poco di polpa che era rimasta attaccata alla lisca e che io avevo lasciato nel piatto. Provavo una gran pena nel guardarla e con la forchetta le porgevo gli altri pesci interi perché li mangiasse. Lei però rifiutava dicendo: “Mangia questo pesce, figlio. A me non piace”. Era la seconda bugia.

Quando cominciai la scuola media, per poter pagare le spese, mia madre lavorò per un’impresa. Il lavoro consisteva nel riassemblare delle scatole usate. Una notte d’inverno mi svegliai nel cuore della notte e vidi mia madre che alla flebile luce di una candela continuava il lavoro che si era portata a casa. Le dissi: “Mamma, vai a dormire, è tardi! Domani devi andare ancora al lavoro”. Lei mi sorrise e disse: “Torna a dormire caro, non sono stanca“. Era la terza bugia.

Arrivò per me il giorno dell’esame e mia madre chiese un permesso dal lavoro per accompagnarmi. Il sole picchiava duro e lei mi aspettò per diverse ore in quella calura. Quando la campana diede l’avviso che le prove erano terminate lei mi venne incontro e mi versò una tazza di the da una borraccia che aveva portato con se. Vedendola bagnata di sudore, le porsi la tazza invitandola a bere anche lei. Mi disse:“Bevi figlio, io non ho sete!” Era la quarta bugia.

Dopo la morte per malattia di mio padre, la mia povera madre assunse anche il ruolo paterno. Doveva riuscire a soddisfare i nostri bisogni da sola. La vita della nostra famiglia si fece più difficile, non vi furono giorni senza sofferenze. Ci aiutava uno zio che abitava vicino a casa nostra. I nostri vicini consigliavano ripetutamente a mia madre di risposarsi. Ma lei, testarda, non seguì i loro consigli. Disse: “Non ho bisogno di amore” . Era la quinta bugia.

Terminati gli studi secondari trovai un lavoro lontano da casa. Finalmente mia madre avrebbe potuto smettere di lavorare. Lei però non ne volle sentire. Andava tutte le mattine al mercato per vendere delle verdure e col misero ricavato si manteneva da sola. Io le inviavo talvolta dei soldi per aiutarla, ma lei non li accettava e me li rispediva indietro. Diceva: “Ho abbastanza soldi.” Era la sesta bugia.

Proseguii gli studi e mi laureai. Frequentai anche un Master, finanziato con una borsa di studio messa a disposizione da una società. Fui quindi assunto da un’azienda, con un ottimo stipendio. Volevo portare mia madre a stare con me, per godersi finalmente una vita senza privazioni. Lei però non voleva essermi di peso. Disse: “No, non riuscirei a vivere in un altro luogo”. Era la settima bugia.

Ormai vecchia, mia madre si ammalò di cancro allo stomaco e subì un intervento chirurgico. Attraversai l’oceano per andarla a trovare. La trovai in un letto d’ospedale, spossata e senza più energie. Mi fissava assorta in pensieri sicuramente molto profondi. Cercava di sorridermi ma era evidente che faceva uno sforzo enorme. La malattia l’aveva prostrata, non l’avevo mai vista così fragile e debole. La guardai col cuore spezzato, le lacrime mi sgorgarono copiose. Trovò la forza per dirmi: “Non piangere mio caro, non soffro”. Dopo aver detto la sua ottava bugia, la mia adorata madre chiuse gli occhi. Per sempre.

*Titolo originale inglese del racconto: Eight Lies of Mother
(tradotto e adattato da Raffaele Deidda)–

 

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