Svelare le mistificazioni e le menzogne [di Padre Ernesto Balducci]

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Conferenza tenuta da Padre Ernesto Balducci all’Isolotto nel 1974, in occasione del Referendum sul divorzio.

Vogliamo svelare tutte le mistificazioni, le menzogne, concretizzate e dissimulate all’interno di certi principi suggestivi. Parlando da cristiano a gente che in gran parte si ritiene tale, ci tengo a dire che il momento che stiamo vivendo è proprio il momento in cui dobbiamo abbattere l’ideologia cattolica, come ideologia di copertura del mondo borghese, il quale mondo borghese trova vantaggio nel coprire i suoi obiettivi di conservazione sociale con dei valori cosiddetti cristiani che hanno ancora una grandissima forza di suggestione nelle coscienze.

La difesa della famiglia cristiana è un aspetto dell’ideologia cattolica che, molto di più di quanto potremmo pensare, nasconde la volontà di conservare un certo tipo di società e un certo tipo di sistema di rapporti di proprietà. Alzare quindi questo velo è in un sol momento recuperare la possibilità di un rapporto più liberatorio col Vangelo e smascherare le reali intenzioni della classe dominante.

Che cosa si nasconde dietro il modello cristiano della famiglia? È lecito attribuire al messaggio cristiano un modello di famiglia ereditato dal passato che ancora sopravvive? NO. Si tratta appunto di una menzogna. Non esiste la ‘famiglia cristiana’, essa è un falso valore. Io vorrei mostrarvi come possiamo liberarci da questa falsificazione, ricercando anche le ragioni per cui essa è nata. Che cosa intendiamo quando si parla di modello cristiano della famiglia? Noi possiamo riferirci o al particolare ordinamento giuridico della famiglia, quello che è stato elaborato lungo i secoli dalla Chiesa cattolica, oppure ad un particolare concetto etico, morale della famiglia, che si è fatto valere da parte della società italiana. Per cui si dice che la famiglia tipica italiana è una famiglia di formazione cristiana.

Non dobbiamo affatto ritenere che si tratti della traduzione giuridica di un ideale evangelico. E’ una creazione storica, precisamente databile, di cui è responsabile la Chiesa cattolica. I primi cattolici non avevano un ordinamento giuridico proprio della famiglia. Vivevano la vita di famiglia secondo il costume del tempo. Non c’era il matrimonio in chiesa; non c’era un’anagrafe o un tribunale ecclesiastico per i matrimoni, non c’era il prete al matrimonio. I cattolici si sposavano come tutti gli altri. Non sentivano alcun bisogno di dare al loro matrimonio un ordinamento giuridico particolare all’interno della società romana.

Ad es., là dove erano le famiglie a stabilire il matrimonio dei figli, i primi cristiani facevano come gli altri: il padre di famiglia destinava alla figlia un dato marito, d’accordo con la famiglia del promesso sposo, senza che i due interessati potessero aggiungere nulla, perché questo era il costume. Inutile quindi andare a cercare nei primi cristiani un modello di famiglia cristiana.

Ugualmente nei primi secoli non esiste un concetto etico specificamente cristiano di famiglia. La prassi familiare si modellava sul costume morale del tempo. Anche se è chiaro che il cristianesimo impose un rigore morale, un rifiuto di certe forme di depravazione, una condanna di certe degenerazioni; però non disse cose diverse da quelle che poteva dire l’etica del tempo. Solo quando la Chiesa, con Giustiniano, acquista una responsabilità di tipo sociale, per cui tutti i momenti della vita sociale vengono gestiti dal clero, incomincia a formarsi un ordinamento matrimoniale cristiano che si è poi accresciuto, si è arricchito, si è accreditato in ogni modo fino a trovare il suo sigillo nel Concilio di Trento e a diventare anche un modello di ispirazione per molti ordinamenti giuridici civili. Il codice napoleonico fu in gran parte tributario di questa tradizione giuridica della Chiesa medioevale.

La cosiddetta famiglia cristiana, con tutti i connotati giuridici ritrovabili nel codice canonico, con tutti i connotati etici ritrovabili nel costume esemplare, è un prodotto storico e, come tale, relativo. Per cui io non riesco a capire che significhi difendere in una società pluralistica un modello cristiano di famiglia, perché non so quale sia questo modello. La famiglia cristiana, se noi la conserviamo come prodotto storico ereditario, nasconde invece in sé particolari pregiudizi, particolari difformazioni, particolari rapporti sociali legati allo sfruttamento che sono tutti da rifiutare.

Innanzitutto è chiaro che l’unità della famiglia cristiana poggiava su un dato economico: l’unità patrimoniale. Il padre di famiglia era l’unico responsabile del patrimonio familiare, era lui l’unica figura economica della famiglia. E quindi l’unità della famiglia, anziché essere il prodotto della scelta cosciente dei coniugi, era un portato fatale del patrimonio.

A reggere l’indissolubilità della famiglia, oltre a questa ragione economica, serviva un ambiente a cultura unica, per cui tutti gli elementi ambientali spingevano a ricercare la propria identità nella famiglia di appartenenza. Una donna non aveva un suo mondo culturale. I figli non avevano un mondo culturale autonomo. Non c’erano spazi diversi per l’esperienza di vita. La famiglia era il luogo normale e continuativo dell’esperienza culturale. L’unità quindi si manteneva perché mancavano forze centrifughe, aperture di orizzonti diversi per i componenti della famiglia. Pensate, ad es. al legame quasi fatale fra il lavoro del padre e del figlio.

Poi c’era la subordinazione della donna all’autorità maritale, come norma assoluta. L’attività pastorale della Chiesa ha in questo una specifica responsabilità, perché il modello che si forniva alla donna era un modello di subordinazione al marito. La ‘donna cristiana’ è quella che dice sempre di sì al marito, che non ha in nessun campo iniziativa propria, le cui virtù sono tutte una garanzia alla tirannide maschile e i cui compensi mistificanti sono l’essere l’angelo del focolare.

Perfino san Paolo porta riflessi della condizione sociale della donna dei suoi tempi, quando dice che la donna deve essere sottoposta al marito, o deve coprirsi il capo quando entra in assemblea perché il capo della donna è l’uomo. San Paolo assume norme di comportamento della società ebraica. Ma la fedeltà alla parola di Dio non è fedeltà ai modelli sociologici legati ad una certa fase dello sviluppo storico. La parola di Dio non assolutizza, non rende normativi quei modi di comportamento, ci esorta anzi a liberarcene.

Infine c’era il pessimismo sessuale, che svuotava la famiglia di ogni significato positivo di comunione spontanea a tutti i livelli e relegava la vita sessuale a una funzione di servizio. Il matrimonio è per i figli. Pensate che, nel passato, il consenso libero della donna al matrimonio era una circostanza neanche presa in considerazione. La donna aveva così radicalmente accettato il modello impostole dalla società e dalla Chiesa che aveva perfino vergogna a dire che desiderava prender marito.

Doveva essere senza iniziative e con un’etica del comportamento femminile che voi conoscete bene. La stessa definizione della donna era di tipo biologico. La donna era vergine o madre. Non persona, come l’uomo, capace di decidere della propria vita in modo indipendente, ma legata strettamente alla sua funzione biologica, con delle mortificazioni terribili, per cui la donna non sposata, la zitella, era considerata una donna fallita.

Oggi lo sviluppo della società ha messo in crisi le componenti strutturali che sorreggevano un certo tipo di famiglia. Abbiamo la crisi della famiglia cristiana, che è la crisi della famiglia tradizionale e niente altro. Allora, un credente, quali doveri ha in questo momento? Non di stringersi, di far quadrato attorno a un modello di famiglia che non ha più nessuna ragione storica di continuare, ma rifarsi all’esigenza evangelica, interrogarsi di fronte ai Vangelo.

Ora, secondo me, il Vangelo, non ci dà nessun esempio di famiglia precisa. Anche la sacra famiglia è un invenzione posteriore, borghese, perché la famiglia di Nazareth non è un modello di famiglia, per il semplice fatto che Maria e Giuseppe non erano autenticamente marito e moglie. Quindi, presentare come modello di famiglia un modello in cui proprio l’aspetto principale non era integro, significa fare una mistificazione.

Occorre domandarsi piuttosto in che senso il Vangelo si apre a questa esperienza particolare della vita che è l’amore nella famiglia, nella linea della liberazione, cioè nella crescita secondo il disegno di Dio. A me pare che ci siano dei punti fermi, a cui fare riferimento in questo tentativo di recupero del significato evangelico che può avere la vita nell’amore, la vita familiare. Innanzi tutto, è sicuramente un’affermazione di fondo del Vangelo che dinanzi a Cristo non c’è nessuna differenza fra l’uomo e la donna, dinanzi a Cristo non c’è né maschio né femmina.

In secondo luogo, secondo il Vangelo, la fedeltà non è il risultato di una legge esterna che costringe, ma è un’espressione dell’amore. Un’altra esigenza interna allo spirito evangelico è il rifiuto della strumentalizzazione, rendere l’altro uno strumento di sé. Espressioni bibliche quali la persona umana è fatta a immagine di Dio, amate i vostri mariti come la Chiesa ama Cristo, amate le vostre mogli come Cristo ama la Chiesa, per un credente sono un invito decisivo a rifiutare di fare dell’altra persona uno strumento di sé, si tratti dei rapporti fra coniugi, si tratti di rapporti familiari.

Questo rispetto della persona significa garanzia del rapporto veramente comunitario, perché tra rapporto comunitario e rapporto di società stabilito dalla legge c’è una differenza di qualità: il rapporto comunitario in tanto è, in tanto vive, in quanto trova la sua sorgente nel libero consenso e nel rispetto spontaneo della coscienza verso l’altro; i rapporti societari invece sono quelli che si stabiliscono per forza di legge.

Ultimo punto. Ogni espressione dell’uomo, ma la famiglia in particolare, in quanto si innesta nei rapporti sociali generali, ha bisogno di istituzionalizzarsi, di tradurre in norma esterna la responsabilità di fronte alla società intera. Però, non è con questo momento istituzionale che si definisce la famiglia. Il momento istituzionale è quello in cui l’esperienza della famiglia assume rapporti e responsabilità con la società e questa ha bisogno di tutelare la famiglia, di farsene garante in qualche modo, di proteggerne e favorirne lo sviluppo. Ma ciò è del tutto legato alle condizioni storiche e varia a seconda del mutare di esse; perciò oggi c’è bisogno di una nuova istituzionalizzazione della famiglia.

La famiglia è una creazione continua. Nella Bibbia c’è la poligamia, poi si è acquisito il concetto di famiglia monogamica. Però non si deve dire che è la natura che l’ha voluto, perché questo significa attribuire alla natura astratta delle conquiste storiche. Forse la famiglia dovrà cambiare ancora forma e struttura. Il concetto del diritto naturale appartiene all’immobilismo borghese, con cui si sono voluti rendere eterni e immutabili alcuni rapporti che erano funzionali alla società borghese. E qual è il criterio con cui la famiglia deve cambiare struttura? È quel di più di libertà che l’uomo deve avere.

Quando diciamo libertà non parliamo della libertà soggettivistica identica al libero arbitrio, ma di una libertà in cui veramente l’esistenza dell’uno sia garanzia e condizione della libertà di tutti gli altri. Questa crescita della famiglia presuppone un nuovo diritto familiare in cui dovrà essere anche previsto il caso in cui la fedeltà reciproca di indissolubilità non è più possibile. Cioè la clausola del divorzio come verifica di un fallimento dell’esperienza e come legittima dei due, che hanno portato a termine un esperienza fallita, di crearsi un’esistenza coniugale.

Questo la legge lo può fare e lo deve fare. Però il diritto di famiglia non è questo. Ecco perché dovremo, una volta superata la battaglia sul referendum, considerarci continuamente mobilitati per favorire in Italia una modificazione profonda del diritto di famiglia, perché esistono le condizioni di coscienza generali e perché certe norme giuridiche della tradizione siano abolite e superate.

E naturalmente, quando si fa questa battaglia per un nuovo tipo di famiglia, si deve fare anche una battaglia per un nuovo tipo di società, perché se i rapporti economici rimangono quelli che sono poco vale il modificare i rapporti giuridici. Al più avremmo un aggiornamento neo-capitalistico della famiglia. In ogni caso la battaglia che si apre con il referendum non si chiude con il referendum. Ma noi, in quanto cristiani, non abbiamo nessun modello nostro da difendere.

Noi dobbiamo ricercare con gli altri un modello giuridico ed etico di famiglia, perché non abbiamo privilegi di nessuna sorta come credenti. Come credenti ci compete l’onere e il privilegio di essere fedeli alle ispirazioni evangeliche fondamentali; ma queste ispirazioni non sono da tradurre come modello etico-giuridico, poiché sono una spinta continuamente trasformante della realtà storica, disponibili a sempre nuove forme di ordinamento familiare.

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