Crisi demografica e sovranità [di Franco Mannoni]

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Nicolò Migheli riprende la questione della crisi demografica della Sardegna rinnovando l’allarme e denunciando il silenzio di istituzioni e politica sul problema. Per lungo tempo abbiamo discusso sulla consolidata tendenza allo spopolamento dei paesi delle zone lontane dal mare e della tendenza dell’insediamento a disporsi in un andamento a ciambella lungo le coste.

La caduta del tasso di natalità e la tendenza alla decrescita della popolazione sembrava riguardare alcuni territori, conservando tuttavia la Sardegna nel suo insieme un trend di leggera crescita. Oggi non è più così, il saldo complessivo fra nascite e morti, immigrazione ed emigrazione, volge verso il basso e le proiezioni, nei diversi scenari ipotizzabili, sono comunque verso il basso. Meno abitanti, pochi giovani attivi, molti anziani.

Non è la prima volta nella storia che un popolo si estingue, potrebbe accadere anche ai sardi. C’ è chi pensa che le tendenze in atto siano non solo incoercibili, ma anche, in qualche misura, auspicabili. La densità urbana ed economica sarebbe capace di procurare competenze, iniziative e sviluppo. L’intendenza seguirà. Mi sforzo di capire quale esperienza vissuta e quale teoria economica possano avvalorare questa tesi bislacca, ma resto di parere contrario.

Certo è che, come recentemente ha scritto Livi Bacci, le tendenze demografiche di questo tipo sono difficilmente invertibili nel tempo breve. Le politiche per la natalità e la famiglia hanno tempi di ricaduta molto differiti e costi finanziarii notevoli. Quelle per l’immigrazione, sia pure gradualmente introducibili, si scontrano con resistenze sociali e politiche di non poco conto. Però da una parte occorrerà cominciare, anzi da entrambe. Impensabile che si resti fatalisticamente sull’uscio ad assistere a pochi matrimoni e molti funerali.

Se si assume come realistica, e lo è, questa previsione credo che si debba subito capovolgere la freccia delle politiche di riorganizzazione in atto dell’assetto del territorio. La narrazione della semplificazione e dell’efficienza che ci è stata proposta come base dei processi di tagli alle strutture civili, scolastiche , sanitarie, culturali va ripresa criticamente non per negarne la necessità finanziaria, ma per ridisegnarne i profili e le procedure.Credo che in Sardegna stiamo andando incontro a una situazione di cittadinanza dimezzata quando non denegata.

Faccio un esempio, e badate che non riguarda Esterzili o Talana, ma una zona baciata dal turismo e da buone condizioni di reddito, la Gallura. Per un abitante di Aglientu, se va avanti la riforma così come si prospetta, la nascita è già un problema. Il punto nascita sarà a 50-60 chilometri che con le strade esistenti corrisponde ad oltre un’ora. Idem per un ricovero urgente. La scuola è stata in Gallura negli anni cinquanta sessanta il risultato di uno sforzo enorme per portare l’istruzione ai fanciulli dei villaggi, negli stazzi e nei fari sulle isole. La razionalizzazione oggi porta via le scuole dai piccoli centri, accelerandone la decadenza. Quale sviluppo locale senza sanità e senza scuole, quale argine al decadimento demografico?

E’ fuori discussione il ruolo determinante delle città per l’innovazione, l’aggregazione di energie, il progresso della scienza e della cultura. Abbiamo bisogno semmai di potenziarne il ruolo in Sardegna, sia per Cagliari che per Sassari e per le altre realtà intermedie. Così che possano inserirsi nel sistema delle reti di città e divenirne nodi intelligenti e performanti , come dicono oggi. Con due attenzioni. La prima è che svolgano , rispetto al territorio di riferimento, una leadership e una polarità reali. Non sempre è così per tutte le aspiranti metropoline.

La seconda è che la rete di insediamenti e attività intorno ai poli siano mantenute vitali e amichevoli, perché dal deserto non viene niente. Questione di fondo è che siano consentite a tutte le comunità, sia pure in maniera differenziata ma equipollente, le condizioni di accesso ai minimi che garantiscono la cittadinanza , come per l’energia, le reti immateriali, la mobilità.

Questo non è poco. Se è in forse e non garantita la cittadinanza ( e non parlo di lavoro e diritti civili) allora si pone un problema grande come un macigno per i sardi, per la cultura e la politica innanzitutto. Il tema dell’autogoverno come strumento di attuazione della cittadinanza e dei poteri relativi. Questo, credo, il terreno concreto sul quale condurre la nuova questione sarda, che è questione di sovranità.

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