Incalzava tutti, “ispantosa”, Antonia Dettori [di Umberto Cocco]

antonia

E’ morta ieri a Nuoro in ospedale Antonia Dettori, 58 anni, orgolese, nuorese, figlia di Ganzittu tabaccaio mitico di Santu Predu… Assistente sociale a Bad’e Carros, diventata criminologa per far meglio il suo lavoro, e fotografa free lance con una libertà enorme di fare quel che le pareva, di girare dove le andava, da sola e mai in solitudine.

E’ un lutto grandissimo da zone interne e periferie del mondo, lutto un po’ antico, di paese, di paesi, ma perdita di una “contemporanea” come diceva ieri la mamma di Giulio Regeni del figlio ucciso e torturato al Cairo. Che avrebbe potuto continuare a dare un sacco di bene a molti, in Sardegna e altrove, ultime le figlie che si stanno affacciando al mondo del lavoro e che adorava e alle quali pensava orgogliosa che una fosse nel piano di sotto dell’ospedale infermiera precaria, l’altra al suo primo colloquio da psicologa mentre la mamma stava morendo e però progettava una cena con amici a Nuoro, e un viaggio in Siria e uno a Noragugume.

 

Partiva per la Palestina e per la Bosnia come stesse andando a fotografare il carnevale di Orotelli o la corsa della gallina a Sedilo a carnevale, sembrava senz’altra ambizione che quella di vivere, entrare in relazione, chiacchierare con chiunque fosse lontano dal potere come indugiando nel vicinato di casa, così nell’ora d’aria in carcere con i mafiosi in regime di “41 bis”, a Nuoro e Macomer.

Estraeva umanità e ce ne metteva moltissima della sua, ingenua e libera, stava dietro ai fotografi che stimava come grandi, da Francesco Cito a Gianni Berengo Gardin, ma disposta a imparare da tutti, non dava lezioni nemmeno quando insegnava nei corsi di formazione; un’ansia esagerata di scambio, zero competizione, mai nessuna lite, semmai allontanamenti silenziosi.

 

Era, è, straconosciuta in mezza Sardegna, per questo vagare in libertà, per la curiosità che le apriva gli occhi al mondo, e ogni paese era un mondo, e ogni persona un mondo. «Incalzava tutti, “ispantosa“,  fingeva meraviglia con domande delle quali conosceva già la risposta, per sapere di più, per andare oltre, per non dare l’aria di chi conosceva già tutto» (Gianni Carta, associazione Frontes).

 

Aveva fatto qualche anno fa, poco prima di ammalarsi, il lavoro forse più bello e intenso, un libro fotografico («Quaderni di fabbrica»), su quel che restava e resta degli impianti chimici di Ottana, ruderi industriali e in mezzo, come affacciati nei pertugi delle rovine, le sopravvivenze umane, anziani operai con qualche mansione residua, a volte imbolsiti, seduti su seggiole sbrecciate, una stufetta ai piedi, appeso al muro un calendario Pirelli con le donne nude e una foto di Che Guevara. A volte nel proprio paese, invece, accanto al proprio cavallo, e tornati orgogliosi a quel che erano.

 

La nostra modernità decadente, non cercava il folclore, come se ne conoscesse tutte le premesse, e le false promesse, l’inganno, lei orgolese che aveva conosciuto la cattiva sorte e gli esiti tragici della boria giovanile spacciata per valore, e conosceva in carcere vite rovinate, tentativi faticosissimi di riscatto in quell’ambiente.

 

Aveva esposto a Mogoro dopo la malattia e l’operazione di tre anni fa, 18 fotografie al ritorno dal Medio Oriente. Le ricorda così Fabio Ferrari, già docente dell’Istituto d’Arte di Oristano: «Erano 18 scatti esposti in occasione della mostra, tutta al femminile, del BiFoto Festival. Un reportage frutto di un suo recente viaggio nella Palestina della guerra, delle macerie, delle difficoltà del sopravvivere quotidiano.

Oggi direi quasi un testamento reso attraverso fotografie in bianco e nero, cupe e ruvide, nelle quali ambienti e spazi quasi lividi si alternano alla forza dei volti increduli di una umanità sofferente. A parziale riscatto seguivano immagini via via più contrastate e luminose nelle quali dalla limpidezza dello sguardo dei bambini sembrava emergere un filo speranza».

 

La ricordava così ieri un cofondatore con lei dell’associazione Frontes: «Così sarei voluto essere…. Come lei. Una persona molto libera, che amava fare tante cose, che amava tutto quello che faceva, che amava vivere e riempire la vita di tante cose interessanti. Conosceva tanto, conosceva il mondo, anche grazie all’obiettivo della sua Reflex. Che bel ricordo che ho di Antonia!».

Oggi la sepoltura a Nuoro, alle 16 a partire dall’ospedale; e sembrerà a molti di vederla viva là in mezzo, che chiede a tutti: cosa ci fate qui, a questo rito?

5 Comments

  1. Francesco Sogos

    Che bello aver fatto insieme (io, Antonia, Gianluca, Gianfranco, Rossella e Umberto) il libro “Chiedi alla polvere”.

  2. Silvia

    Antó la felicità di averti conosciuto rende meno greve il dolore di una perdita incolmabile.
    Ciao amica mia, so che aspetterai con serenità di rivedere chi ti ha voluto bene!

  3. Nicola Dettori

    Orgoglioso di aver avuto una sorella come a te …

  4. Augusto Medda

    Grazie Umberto per questo bel ritratto della nostra amica, che serve a raccontarla a chi non ha avuto la fortuna di conoscerla nella sua umanità, io l’ultimo ricordo è stato ad Ottana , due anni fa, era in compagnia di alcune allieve di un corso di fotografia a cui con con tanta passione insegnava oltre che a fotografare anche ad amare le nostre tradizioni e contribuire a esaltarne i valori.

  5. FRANCESCO MUGONI FENU

    Ohimé, la mia lontana Sardegna ! la lasciano i Sardi migliori che, per uno strano gioco del Creato, sono DONNE !
    Lieve che petali di rose sia per Te la madre Terra,
    O ANTONIA “ISPANTOSA”. Amen

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