Gramsci ci può far ancora molta, lunga compagnia [di Luca Zorzenon]

12_aprile_2015_GRAMSCI_spettacolo

È una bella sorpresa ritrovare Gramsci in un sito internet! Tradizionalmente mai amatissimo, al prezzo (e che prezzo!) di defilare dalla scuola uno degli intellettuali più importanti e decisivi della modernità – ed invece oggi molto studiato nel mondo anglosassone di qua e di là dall’oceano, nonché in altri continenti –, leggerne la citazione proposta odora immediatamente, come vedo notato, di “gigante” su spalle nane.

E però, se citazione deve essere, occorrerebbe saperne anche trarre conseguenze serie e in nulla retoriche ed oleografiche: ciò, sia chiaro, non vale per questa o quella scuola, ma per la fase confusa e critica che oggi attraversa l’intero sistema scolastico italiano: dalla proliferazione mercantile dell’istruzione professionale e tecnica, elevata fino al microspecialismo più spinto e antiformativo, alla disseminazione degli studi liceali degna di un “rococò” primo-settecentesco.

L’acutezza gramsciana nel disegnare linee di tendenza negative oggi ampiamente realizzate lascia di stucco: gli scritti gramsciani dal carcere sulla scuola risalgono ai primi anni ’30, in tempi di crisi interna al fascismo della riforma gentiliana, tant’è vero che a Bottai verrà affidato il compito dei necessari correttivi.

Non si intende, tuttavia, il pensiero di Gramsci se non si precisa che egli riteneva inevitabile la perdita di centralità assoluta del nucleo umanistico degli studi nella formazione scolastica, con un pizzico di comprensibile nostalgia e con grande preoccupazione che non se ne trovassero altri altrettanto forti. In una lettera al figlio gli indicava l’uomo leonardesco come paradigma moderno della formazione, di un Leonardo “omo sanza lettere” corretto, tuttavia, dalla persistenza degli studi umanistici entro una rinnovata loro collocazione culturale.

Illuminanti, come si può leggere, le notazioni gramsciane che riguardano, serietà, fatica, lavoro, impegno, rigore, elogio della formazione disinteressata e non immediatamente pratica, nonché sulle differenze di classe oggi non certo sopite, ed anzi modernamente in grado di riguadagnar terreno.

Il contrario esatto della scuola come da circa vent’anni a questa parte , nel mutuo cambiar di segno governativo, ma non culturale, si è venuta riformando nel nostro paese, all’insegna del mercantilismo, della competizione fra scuole, della proliferazione di offerte formative e di pratiche didattiche sovente di incontrollata efficacia, sotto la bandiera comoda ma spesso molto lisa nella confezione del suo tessuto concreto delle parole magiche “innovazione”, “sperimentazione” ecc. ecc..

Il “pensiero magico” era un altro degli avversari contro cui Gramsci intendeva combattere e contro il quale rivendicava la grande, imprescindibile, funzione della scuola, regno invece della formazione seria di un “pensiero critico”. Ecco: oggi la scuola ha ancora la stessa medesima funzione, se non vuole essere (e Gramsci vi accenna anche nelle righe citate) cinghia di trasmissione del puro esistente e delle sue modernissime “magie”…

Sta tutta qui ancora la vera, seria, importante ricerca di una scuola moderna, almeno per chi la scuola la ama davvero. E Gramsci, allora, ci può far ancora molta, lunga compagnia.

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