Catastrofi naturali? No. Antropiche [di Sergio Vacca]

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Nel parlare  del devastante terremoto che ha colpito l’Italia centrale, c’è in questi giorni una grande confusione nelle terminologie adottate dai media ma anche dai politici. “Catastrofi naturali o disastri naturali” sono i termini maggiormente in uso. Anche il termine calamità naturale, come definito dall’Enciclopedia Treccani della Scienza e della Tecnica, si presta ad ambiguità quando affronta il tema delle conseguenze  sulle attività umane.

Se, con  “calamità naturale si intende ogni fatto catastrofico, ragionevolmente imprevedibile, conseguente a eventi e a fattori di ordine naturale”, gli effetti sono da ricondursi alla sfera delle attività umane.  Occorre perciò, prima di attribuire all’evento naturale la responsabilità dei fatti, valutarne gli effetti sui processi risultanti. In altri termini, un evento naturale normale non ha niente di calamitoso, in quanto è riconducibile ai cicli tettonici, geomorfologici e geo-idrologici che caratterizzano la vita della Terra.

La sismicità e il vulcanismo, tra gli agenti endogeni, la dinamica fluviale (piene e alluvioni), la dinamica dei versanti (erosione e  frane), la dinamica dei litorali (variazioni nella linea di costa) tra quelli esogeni sono processi naturali che modificano in continuazione le forme della superficie terrestre, che agirebbero anche in assenza dell’uomo. Diventano calamità quando gli effetti degli agenti endogeni ed esogeni interferiscono con le azioni dell’uomo; per cui, gli effetti disastrosi, in termini di vite umane e danni materiali a manufatti, sono da imputare, più che alla natura all’uso del territorio  imprevidente o sconsiderato da parte dell’uomo.

Va perciò osservato che il progressivo aumento di perdite di vite umane su scala mondiale ed i danni materiali subiti dalle economie nazionali, da rapportare anch’essi alla scala mondiale, non sono da attribuire all’aumentata frequenza ed intensità degli eventi naturali estremi, quanto all’aumento della vulnerabilità umana, che è funzione delle azioni e dei comportamenti dell’uomo.

Vulnerabilità è un concetto legato alle condizioni di esposizione ai danni materiali, in funzione dell’intensità di un fenomeno naturale. Riguarda perciò le popolazioni, le costruzioni, le infrastrutture, le attività economiche, ma anche l’organizzazione sociale. Ne consegue pertanto che la vulnerabilità esprima tanto la suscettività quanto la resilienza di un sistema socioeconomico nei riguardi degli impatti di calamità naturali.

Il terremoto che ha colpito ieri una grande porzione dell’Italia centrale dimostra ancora una volta – se ce ne fosse bisogno – la grande suscettività alle  calamità da agenti endogeni (terremoti), ma anche – osservando le cronache e gli archivi storici –  alle calamità da agenti esogeni (erosione, frane).

Il territorio appenninico è assolutamente fragile, caratterizzato da alterne  pressione e depressione demografica, con   il corollario di fabbricati e infrastrutture spesso non appropriati  alle condizioni dei luoghi, più spesso non adeguatamente manutenuti. Di più, soggetto all’inefficienza della pubblica amministrazione e  a norme che hanno favorito negli ultimi decenni l’espansione edilizia indiscriminata.

Occorre modificare radicalmente il paradigma del governo del territorio. Occorre quindi impostare una seria strategia, e conseguentemente una politica, di prevenzione e riduzione del rischio. Non è più sufficiente – anche se necessario – disporre di un efficiente sistema di reazione ai disastri; è assolutamente indispensabile attuare credibili strategie di prevenzione e mitigazione dei danni attesi in quel potenziale evento naturale. Occorre, con riferimento al disastroso evento sismico, attuare obbligatoriamente  le norme antisismiche agli edifici esistenti.

Paradossalmente, hanno subito i maggiori danni i fabbricati degli anni 60 e 70 del 1900, mentre molti edifici del 1800 si sono mantenuti intatti o hanno subito lievi danni.  Ma occorre soprattutto  inquadrare queste attività in un contesto più generale di razionale assetto del territorio.  Una nuova e più credibile Legge sul Suolo, che sottragga questa risorsa alla speculazione che ha permesso l’espansione edilizia nelle aree più belle, ma anche più fragili del territorio nazionale. E norme più severe di difesa dei litorali.

Ma anche forti incentivi alla riqualificazione dei fabbricate nelle zione sismiche, e abbattimento degli edifici realizzati nelle aree a rischio idrogeologico. Con l’obbligo del ripristino delle condizioni ex ante.

*Foto: Anselm Kefer in MeMus/Terrae Motus- Appartamenti Storici della Reggia di Caserta

One Comment

  1. fra

    Ma l’uomo non fa dunque più parte della natura?

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