Vanessa Mele: “Io, vittima collaterale di femminicidio [di Maria Francesca Chiappe]

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L’Unione Sarda 5/03/2017. Certo: si capisce tutto. Anche a sei anni. Vanessa lo sa. Ha letto il giornale, «più o meno», e nessuno meglio di lei conosce il calvario che aspetta le tre sorelline di Iglesias. Sono passati quasi vent’anni ma ogni uomo che uccide la moglie rinnova un dolore troppo grande. «No, non mi riporta indietro nel tempo il femmincidio di Iglesias ma mi fa pensare a quanto ci sia ancora da fare sulla prevenzione».

Il padre di Vanessa, Pier Paolo Cardia, era una guardia giurata: il 3 dicembre 1998 aveva sparato a Nuoro un colpo di pistola alla moglie Annamaria, 30 anni, in lotta con un tumore. «Erano separati, l’appartamento doveva restare a lei  insieme a me ma lui era sempre là».

Lo hanno condannato a 14 anni e otto mesi, dopo 9 anni era fuori e per prima cosa ha pensato di attivarsi per sottrarre alla figlia la pensione di reversibilità della moglie: gli spettava di diritto, codice civile alla mano. Vanessa si è arrabbiata e ha iniziato una battaglia per la madre, per se stessa, per i diritti delle vittime. Ora, a 25 anni, non porta più il cognome del padre: si chiama Mele, come la madre, vive

in Inghilterra ma in questi giorni è dagli zii, a Mamoiada. Ed è lì che ha saputo di Federica Madau, uccisa con 10 coltellate alla gola dal marito Giovanni Murru dal quale si era appena separata. Aveva denunciato i maltrattamenti ma non è servito a nulla.

«Esatto, non serve. Mi metto le mani nei capelli perché la situazione è terribile».

 Che cosa bisogna fare? «Offrire più supporto alle donne, fare prevenzione, insegnare l’uguaglianza, combattere il bullismo».

La scuola è il punto d’inizio? «Sì, bisogna educare al rispetto reciproco, è questo che manca».

I comportamenti quotidiani e il linguaggio possono influire? «Certo, bisogna insegnare ai bambini il rispetto, dunque servono persone preparate e attente. In Sardegna poi c’è un problema in più».

Quale? «L’omertà. Le donne maltrattate hanno paura, anche la ragazza di Iglesias aveva paura, eppure nessuno lo dice, da noi si continua a farsi i fatti propri, “tra moglie e marito non mettere il dito”. Bisogna cambiare mentalità, questi sono comportamenti radicati che ci dobbiamo imporre di modificare».

I figli sono spesso lo strumento attraverso il quale controllare l’ex partner. «Vero, l’ho vissuto anche io con mia madre: l’omicidio avviene sempre quando la donna si ribella, anche per mia madre è stato così. Bisogna che lavorino bene i centri anti violenza, invece ho appena saputo una cosa sconvolgente: a Nuoro Onda rosa non esiste più. È inutile fare leggi per chi resta, bisogna agire prima che sia versato il sangue».

Le sorelline di Iglesias erano a casa, come 19 anni fa la piccola Vanessa. «».

Una bambina di sei anni ricorda? «Sì ma non mi va di parlarne. Voglio però dire che i bambini capiscono tutto ed è importante che se ne parli a casa e non si cerchi di mascherare. I bisbiglii, le parole sotto voce non vanno bene».

È difficile gestire il dopo. «In certe realtà si evitano i discorsi davanti agli orfani invece io invito a non aver paura di parlare: è qualcosa che è successo».

La battaglia di Vanessa Mele è culminata mercoledí scorso nel voto unanime alla Camera dei deputati per una legge a tutela delle vittime collaterali del femminicidio.

«È un traguardo importantissimo, non mi sembrava neanche vero. È stato un riprendersi un diritto che è di tutte le vittime, di tutti noi figli. È assurdo che prima non fosse così e sia stata necessaria la mia battaglia insieme all’avvocata Annamaria Busia, redattrice del testo originario della legge».

Questo impegno è servito per superare il dramma personale? «Il mio capitolo è chiuso, risolto. Questa cosa che ora faccio è il piacere di impegnarmi per chi si ritrova in una situazione difficile. Anche a me sarebbe servita una figura che mi dicesse “non sei sola”.

Si è sentita sola? «A parte la famiglia e gli psicologi…».

Anche i suoi studi in criminologia sono figli del bisogno di aiutare gli altri? «Mi sono laureata ma ora devo decidere se continuare con qualcosa che mi ha coinvolto così pesantemente».

Non è più sicura? «Ho studiato perché volevo aiutare gli altri ma ora ho dubbi e ho preso una pausa di riflessione per decidere che fare».

Sempre in Inghilterra? «».

In Italia comunque Vanessa Mele è un punto di riferimento per tante persone. «Quello sì, infatti mi piacerebbe fare qualcosa per il mio Paese, soprattutto per la Sardegna».

Che cosa? «Mancano le strutture, vorrei fare qualcosa per il futuro della mia regione».

La tragedia di Iglesias lascia nel dramma tre sorelline, orfane di madre e, di fatto, anche di padre. «Anche per i parenti più stretti è comunque difficile, il peso emotivo è enorme. Ed è complicato pure sotto il profilo burocratico: la mia casa è stata sigillata per due o tre anni, i miei giocattoli sono rimasti lì con i miei vestiti, tutto. Bisognava chiedere il permesso al giudice per ogni cosa».

Un uomo che ammazza la moglie toglie ai figli la madre e un mondo intero. «Sì, mi è stato tolto tutto. Mi hanno portato all’estero senza niente, mi ha preso qualche parente, nei primi giorni mi portavano da una casa all’altra, non ricordo bene».

È stato giusto così? «È stata la scelta migliore: riniziare daccapo, crescere e diventare autonoma lontano da tutti».

Per poi tornare, con un altro cognome, la stessa forza e la voglia di trasformare il sogno in speranza: non deve succedere mai più.

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