Disegno di legge “sul governo del territorio sardo” di Pigliaru – Erriu: un ossimoro o la resurrezione del Patto del Nazareno in salsa sarda? [di Mauro Gargiulo]

betoniera

Adoro gli ossimori! Questa antinomia semantica, che svela la capacità tutta umana di comprendere l’irrazionale, mi si è d’istinto evocata nel leggere il Disegno di legge sul Governo del territorio Sardo (per diritto maieutico ddl Erriu). La scure dell’editore e la pazienza del lettore mi dissuadono dalla disanima testuale,  mi limiterò pertanto a spigolare quei passaggi  che all’ossimoro rimandano.

Si prenda il Capo VI dove sono previste le modalità di partecipazione dei privati alle scelte pianificatorie. Argomento delicatissimo quello della partecipazione attiva e consapevole dei cittadini ai processi decisionali, premessa evocata in declaratorie, disattesa nei fatti. Di vitale importanza per l’ambientalismo che mira con strenuo impegno ad un coinvolgimento delle comunità sul destino del territorio.

Prescindo dalle ovvie critiche a immotivate limitazioni (art.25) per i soggetti cui competerebbe l’iniziativa (10% residenti, anche organizzati in associazioni o comitati sic!), ma non posso esimermi dallo stupirmi nel leggere che (comma 8) i residenti, le associazioni, i comitati “possono intervenire nel dibattito pubblico secondo la motivata valutazione sull’utilità della partecipazione da parte dell’amministrazione pubblica procedente”.

La conciliazione tra pubblico dibattito, che si auspica debba svolgersi sulla base del principio della libertà di espressione (e di pensiero!),  e  l’azione censoria esercitata a priori dal procedente sulla base di una presunta valutazione di utilità, non può che definirsi una contraddizione in termini. Se si pensa che tali dibattiti investono  opere a rilevante impatto ambientale, spesso non disgiunte da finalità speculative, per le quali il Ddl in esame prevede generosi spazi di agibilità, si è indotti a credere a un inconsapevole transito nel dettato normativo del liberismo (fattualità concessa ) illiberale (dialettica impedita).

In sintesi  vacuità dei contenuti e limitazione di libertà di espressione, confermano una sostanziale volontà politica di impedire la cittadinanza attiva, peraltro sancita per norma (Codice dell’Ambiente) nei procedimenti di VIA.

Anche il successivo Capo VII costituisce  un florilegio retorico. A fronte delle affermazioni di principio (art.3) di sostenibilità ambientale e riduzione del consumo dei suoli, di fatto in tale Capo si approntano scelte urbanistiche che perseguono abnormi e indiscriminati incrementi di cubatura. E’ sulla base di tale postulato che trova definitivo recepimento nel ddl Erriu quella normativa transitoria, varata (Cappellacci) e reiterata (Pigliaru) in sede  emergenziale, nota col nome di Piano casa.

La  conseguenza è l’ingiustificato incremento del 25% rispetto alla potenzialità edificatoria fissata dallo strumento urbanistico vigente (art.29 e 30). Analoghi incrementi volumetrici sono previsti dal successivo art.31 per la riqualificazione delle strutture alberghiere. In tal caso l’effetto devastante sul paesaggio deriva da quelle strutture che ricadono all’interno della fascia dei 300 mt dalla linea di battigia marina.

Superfluo rammentare che tali  territori costieri sono stati posti sotto tutela dal Codice dei BB.CC.  (art.142, comma 1, lett.a) e dal Piano Paesaggistico Regionale  (in molti Ambiti di ampiezza anche superiore), che li ha dichiarati beni paesaggistici d’insieme  (art. 17, comma 3°, lettera g, delle N.T.A. – art.26 NTA), tutelandoli (art. 18 delle N.T.A. del P.P.R.,)  ed escludendo per essi nelle aree inedificate “qualsiasi intervento di trasformazione” (art.20, comma 1.a), mentre per le aree interessate da insediamenti turistici riqualificazione, riuso e completamento delle stesse (art.20, comma 2 NTA).

La tesi che “interventi edilizi attuati anche mediante demolizioni e ricostruzioni”, incrementati con volumi pari al 25 % dell’edificato,  eseguibili in deroga degli strumenti urbanistici esistenti (ovvero eccedenti le già esaurite cubature di piano), anche mediante “la realizzazione di corpi di fabbrica separati”  siano da ritenersi coerenti con i vincoli espressi da Codice e PPR sembra non poggiare su alcun fondamento di razionalità giuridica e tecnica.

A fugare dubbi sul reale intendimento del legislatore di saturare  l’ambita fascia vincolata (per il PPR ben più ampia dei 300 mt. “costituisce una risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio regionale”),  provvede (comma 3c e 3d) la fissazione dei limiti geometrici. Quello inferiore in particolare sarebbe costituito da una linea che partendo dallo spigolo più prossimo al mare della struttura alberghiera corre parallelamente alla battigia. In pratica ove si riscontrasse una mancata occupazione per disallineamento delle strutture o modifiche della battigia lo spazio residuale potrà essere cementificato.

Aspetti  non secondari che giustificherebbero tali interventi risiederebbero nella sinallagmicità tra i presunti interventi di riqualificazione con relativi incrementi di cubatura senza alcun vincolo di destinazione d’uso e il turismo sostenibile. Al di là di un’indimostrabile relazione tra cubature aggiuntive  e decremento degli impatti ambientali indotti da un ipotetico aumento dei flussi turistici, sarebbe stato “equo” ispirarsi non solo al principio della sostenibilità, ma anche quello della solidarietà e della responsabilità sociale.

E’ infatti diffusa convinzione che un turismo se “responsabile” si rivolge a contesti in cui le comunità locali siano attori della gestione e dello sviluppo dei principi di sostenibilità ambientale, nonchè  fruitori dei benefici e derivano dalla conservazione dei valori naturali e culturali. In tale ottica appare ovvio che,  piuttosto che rimpinguare con ulteriore volumetrie la bisaccia dei saccheggiatori dei litorali, sarebbe stato saggia azione di Governo privilegiare la ricettività diffusa, soprattutto ai fini della valorizzazione delle zone interne e della conoscenza del patrimonio socio culturale sardo.

Da non diversa fonte sembrano trarre ispirazione gli artt.32 e 33. In questo caso rinnovo del patrimonio edilizio e riqualificazione paesaggistica sembrerebbero dover conseguire da incrementi volumetrici,  che vanno dal 30% nel primo caso, al 40% nel secondo, del demolito. Sotto le mentite spoglie della riqualificazione, le due norme consentono per la  genericità che le caratterizza (si parla di patrimonio edilizio esistente) trasferimenti di cubatura ad libitum e crediti volumetrici impensabili. Difficile poter fare previsioni sugli impatti che una tale normativa potrà avere sui PUC  in vigore e sopratutto su quelli da redigere.

La mente corre però al travagliato iter giurisprudenziale che dagli anni 60, attraverso ben 7  sentenze della Corte costituzionale, ha tentato di sciogliere il nodo gordiano tra ius aedificandi e diritto di proprietà. Con il ddl Erriu sembra essere sancita la definitiva scissione tra i due diritti. La titolarità infatti di un diritto edificatorio acquisito per demolizione, nonché incrementato delle aliquote di compenso, potrà essere iscritta nell’istituendo Registro dei diritti edificatori e trascritta nei Pubblici Registri Immobiliari, anche “in assenza della individuazione dell’area di utilizzo dei diritti edificatori aggiuntivi”    (art.34, comma 2, lett.d).

Al di là del dubbio sulla legittimità costituzionale di tale assunto, appaiono imprevedibili e dirompenti, sia in ambito urbanistico che di mercato, gli effetti della norma.

Occorre chiudere. Risulta evidente, per la contraddittorietà tra principi enunciati ed esiti postulati, per la sconsiderata elargizione di cubature integrative,  che questo ddl è destinato a generare effetti catastrofici  sui valori ambientali e paesaggistici,  a dilapidare la risorsa suolo, a impoverire quadro culturale e partecipativo.

La cacofonica sintonia tra l’abortito affossamento del PPR da parte della destra e le aberrazioni urbanistiche della sinistra evoca una simbiotica resurrezione del Patto del Nazareno in salsa isolana. Non è dunque da ritenersi casuale il ricercato consenso di Confindustria,  Ordini professionali, tutori  di cazzuola e compasso. Si è volato in alto, là dove osano i pennuti di Planargia, per scempiare membra di territorio.

Noi, inascoltate Cassandre ambientaliste, ci laceriamo le vesti e ci percuotiamo il petto. Forse una fugace visita in quel di Siena potrebbe suggerire una riflessione sugli effetti del Buono e del cattivo Governo del territorio.

*Italia Nostra Sardegna – Referente Energia

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