Canfora: “Dobbiamo credere nell’utopia dell’uguaglianza” intervista a Luciano Canfora [di Giacomo Russo Spena]

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MicroMega 4 maggio 2017In libreria con “La schiavitù del Capitale”, il noto intellettuale ritiene che la vittoria del capitalismo sia solo un tornante della storia: “Esistono gli anticorpi per spezzare la supremazia dell’utopia dell’egoismo e del profitto”. Poi insiste sulle responsabilità dell’Occidente che dopo aver assassinato la via socialista, per motivi di realpolitik ha finanziato il fondamentalismo islamico. E il populismo? “Una categoria pre scentifica utilizzata per squalificare chi non è d’accordo col sistema dominante: uno strumento volgare di lotta contro qualcuno”.

«Come osservò Tocqueville la libertà è un ideale intermittente, l’uguaglianza invece è una necessità che si ripresenta continuamente, come la fame». Luciano Canfora, classe ’42, è professore emerito dell’Università di Bari, storico, filologo classico e saggista. Per ultimo, ha scritto per Il Mulino “La schiavitù del Capitale” (112 pp., 12 euro) nel quale sottolinea, con un pizzico di ottimismo, come il capitalismo abbia vinto «ma forse è solo un tornante della storia». Insomma, la partita sarebbe tutt’altro che chiusa: «L’Occidente si trova di fronte a controspinte molteplici, tutte gravide di conflitti e di tensioni e daccapo ha perso l’offensiva. Più sfida il mondo (per usare la terminologia di Toynbee) e più aspra è la risposta».

Professor Canfora, per lei campeggiano due utopie al mondo: l’utopia della fratellanza e quella dell’egoismo. Non trova che quest’ultima stia stravincendo a livello globale?
Ha quasi sempre vinto sul breve periodo: l’utopia dell’egoismo nella storia ha giocato all’attacco. Come scrive Lucrezio nel quinto libro del De rerum natura essa inizia quando l’uomo scoprì l’oro e la proprietà privata. Il moderno profitto ne è l’equivalente monetario; è connaturato da una spinta biologica. Ma, attenzione, questa egemonia ha la strada in salita, la storia ci ha anche dimostrato che prima o poi all’utopia dell’egoismo si contrappone una reazione. Gli anticorpi consistono nella spinta all’uguaglianza che mette in discussione la supremazia dell’egoismo proiettato verso il profitto. La storia non ha ancora dato la vittoria a nessuno.

Sono più pessimista: come reazione alle politiche dell’Occidente abbiamo il fanatismo religioso dove – lo dimostra il caso della banlieus parigine – gli emarginati ormai scelgono l’integralismo islamico come via di riscatto dall’esclusione sociale. Prima della caduta del Muro di Berlino, in Occidente chi si opponeva allo status quo optava per la “via socialista” mentre ora si iscrive direttamente alle milizie del Califfato?
Nel Novecento pur di sconfiggere il vacillante “socialismo realizzato”, l’Occidente ha preferito armare il peggior fondamentalismo islamico, ad esempio i Talebani in Afghanistan. Così sulle ceneri del socialismo – pensiamo anche alle varie esperienze nel mondo arabo con il partito Baath e alle forme laiche di antimperialismo in Medioriente – si è imposta la barbarie dell’integralismo religioso con la sua escalation di terrore. Anche qui la storia ci può essere d’aiuto: ucciso Robespierre, dopo anni, quel pensiero si è palesato nuovamente, ma in forma ancor più violenta, sotto le sembianze di Stalin. I vuoti vengono riempiti, con modalità sempre più cruente. L’Islam di oggi, comunque, non è surrogato del mondo socialista ma, come dimostra un recente studio di un ex diplomatico USA, pubblicato dall’editore Kopp, è uno dei prodotti della guerra globale della Cia.

Mi sta dicendo che sono “giocattoli” scappati di mano?
L’Isis si muove in modo unitario, come una grande potenza. Il capitalismo è quel titanico stregone che unificando il pianeta nel nome e nel segno del profitto ha suscitato e scatenato forze che non sa e non può più dominare. Pensiamo al rapporto con l’Arabia Saudita wahabita, per gli Usa il criterio realpolitico ha quasi sempre avuto la meglio sulle scelte di principio.

Sicuramente l’Occidente avrà le sue responsabilità, intanto in Europa resta il problema degli attentati…
Bisogna dirsi le verità scomode: da un lato abbiamo la barbarie, dall’altro non ha senso schierarsi con le nostre guerre umanitarie. Siamo dentro una spirale guerra/terrorismo. L’Occidente detiene la ricchezza, le armi, la cultura ed ha in mano le principali carte del gioco. Ha tutto l’interesse, economico e politico, ad alimentare odi e violenza per smerciare le armi che produce.

Tra l’altro costruisce l’immaginario e le narrazioni con morti di serie A e morti di serie B: gli attentati in Occidente vengono deprecati col massimo della solennità, mentre le azioni terroristiche che da 14 anni insanguinano l’Iraq dopo la proditoria cacciata di Saddam ottengono un trafiletto sui giornali. Nel luglio 2016 due centri commerciali a Baghdad vengono distrutti da un attentato suicida dell’Isis, le dimensioni dell’enorme carneficina vennero rese note col contagocce. In Occidente utilizziamo due pesi e due misure.

Nella prima parte de La schiavitù del Capitale Lei compie una ri- o de-costruzione storica della categoria di “Occidente”. Non è quindi un blocco unitario come troppo spesso crediamo?
L’ingresso degli Usa negli equilibri europei nel 1917, nella I guerra mondiale, cambia gli scenari. Per Oswald Spengler, in quella data, ha inizio il declino dell’Occidente. Dopo il 1917 il concetto di Occidente prende le sembianze degli Usa: non è un giudizio di valore il mio ma una fotografia dei rapporti di forza tra gli Stati Uniti e l’Europa.

Torniamo all’utopia della fratellanza, come uscire da questo capitalismo che ha ripristinato forme di dipendenza di tipo schiavile?
La crisi non scoppierà ai margini, nelle periferie metropolitane, ma scoppierà dentro il cuore del sistema. Mi spiego meglio: la crisi si produrrà al suo interno, tra le sue classi dirigenti tecnicamente attrezzate ma non dominanti. All’orizzonte non intravedo organizzazioni di qualche peso capaci di contrapporsi – e a livello globale le soluzioni non passano per l’Isis o per la Corea del Nord – soltanto la critica può salvare l’Occidente da se stesso. Il potere finanziario si fonda anche su ceti acculturati i quali non sono complici del profitto, o lo sono in misura marginale rispetto ai veri detentori della ricchezza. Sono questi ceti che vanno scossi tramite l’arma della critica. Consentimi una battuta: una rivista come MicroMega ha più responsabilità di quanto si pensi!

Alla fine del libro, come appendice, c’è un intervento di Alexis Tsipras del giugno 2015 nel quale invita i greci a ribellarsi ai diktat della Troika parlando di recupero della democrazia e di sovranità popolare. Non crede che in Grecia abbiamo visto il vero volto criminale delle Istituzioni? Alla fine il governo ellenico è stato costretto a capitolare accettando i vari memorandum…
Quando ho deciso di inserire questa parte, ero consapevole del fatto che, alla fine, Alexis Tsipras fosse stato costretto alla resa e ad andare contro il suo popolo. Ma quel discorso è di grande importanza simbolica perché mise in crisi il sistema UE. Mi ricordo i giornali dell’epoca che criticarono la scelta del referendum: come aveva osato Tsipras dare la parola ai cittadini disobbedendo alla Troika?

Poi, purtroppo, col coltello puntato alla gola è stato costretto a cedere alle pressioni dell’Eurogruppo. Ma nella sua lotta era isolato ed è stato abbandonato, dal governo spagnolo e dal nostro. Adesso Renzi dice di voler sbattere i pugni a Bruxelles contro Junker, con quale credibilità essendo stato il pugnalatore della Grecia? L’Italia poteva fare fronte con la Grecia e chiedere alla Troika di rinegoziare un debito pubblico assurdo e una serie di parametri di Maastricht. Si poteva venire a patti. Invece… è andata come è andata.

Anche la Francia di Hollande in realtà non si spese molto per la Grecia, non trova?
Certo, è complice in primis. Fa ribrezzo la politica dei socialisti francesi: calpestano i vari parametri europei ma essendo soci di serie A, nessuno gli dirà mai nulla. Un milieu ripugnante.

Rimaniamo in Francia. Adesso in Europa, come si evidenzia dalle elezioni di domenica con il duello tra Le Pen e Macron, lo scontro è tra un nuovo populismo xenofobo e l’ultraliberismo?
Innanzitutto, sarei meno succube della propaganda nostrana che descrive i fenomeni populisti con caratteristiche di fascismo. Andrei più cauto nell’affibbiare etichette. Gli stessi media che per anni hanno accusato la sinistra di utilizzare con troppa leggerezza il termine “fascismo”, vedi la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, adesso utilizzano tale categoria con disinvoltura. La storia va analizzata bene: quando Charles De Gaulle prospettò l’Europa delle patrie, dall’Atlantico agli Urali, qualcuno pensò di definirlo fascista? O un sovranista? Potremmo davvero definirlo tale? Direi piuttosto che il gollismo è un fenomeno specifico, con le sue proprie caratteristiche, circoscritto alla storia francese.

Professore, mi sta dicendo che Marine Le Pen non incarna un nuovo fascismo? È sicuro di ciò che sostiene?
È una definizione grossolana. Ha degli elementi in comune con il fascismo ma anche aspetti diversi: per esempio la capacità di intercettare un malcontento sociale della classe operaia francese. Cosa che non fu per il fascismo al suo sorgere: Mussolini, appoggiato dalla Corona, vinse contro la classe operaia. La situazione era diversa. Non vengo intimidito dalle formule dei giornaloni e dico che il lepenismo è una specifica realtà francese che dà voce ad una parte dei francesi che verrà calpestata da Macron e dalle sue banche.

Sì, ma fomenta razzismo e guerra tra poveri. Prende i voti della classe operai al grido «prima i francesi»…
Se l’Europa dei Macron fosse in grado di salvaguardare il welfare, e anzi fosse in grado di estenderlo alle masse impoverite che vengono dai barconi, sarei il primo a dire «viva la Bce». Ma non avviene questo. In Italia abbiamo visto come Renzi col Jobs Act ha destrutturato lo Stato Sociale per poi tacciare di populismo chi invece vuole difenderlo. L’uguaglianza è come la fame, è un bisogno permanente. E Marine Le Pen si rivolge a quelle classi subalterne abbandonate dalla sinistra.

In realtà in Francia il candidato Melenchon ha ottenuto al primo turno il 17% prendendo i voti, in primis, dei ceti sociali più deboli. Non crede possa esistere una terza via, tra i Macron e i Le Pen?
L’unica speranza è questa. E devo dire che, per fortuna, in Europa esistono alcune forze di sinistra alternativa. Ad esempio si parla troppo poco della Linke in Germania, è un modello molto interessante.

Beh, penso a Podemos e al suo “populismo di sinistra”. Così è stato bollato anche Melenchon. Su questo che idea si è fatto?
Respingo in toto la categoria del populismo. È ridicola dal punto di vista lessicale e non ha alcun valore concettuale né pratico. Populisti sarebbero tutti quelli che si richiamano al popolo, e allora lo sono tutti a partire da Giuseppe Mazzini? Altrimenti chi sono? Castro era populista? Il partito popolare, che parlava di “popolo” e rifiutava la nozione di “lotta di classe”, era populista? Lenin era populista? Salvini è populista? Dunque Garibaldi, Lenin, Sturzo tutti populisti? È un termine che viene utilizzato per squalificare coloro che non sono d’accordo col sistema dominante vigente: uno strumento volgare di lotta contro qualcuno.
 

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