Per capire meglio: Perequazione e Compensazione nella legislazione urbanistica [di Alan Batzella]

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Dopo l’intervento qui di Paolo Numerico, già  presidente del TAR Sardegna e di Sezione del Consiglio di Stato, il dibattito sale di livello;  e sarà  più  difficile per il governo della Regione presentare gli oppositori al DDL come uno schieramento scomposto di fanatici. La competenza e l’autorevolezza di quelli che stanno intervenendo nel confronto, democratico e competente, proposto da questa rivista, non possono essere messe in discussione con slogans  ed etichette nel segno del disconoscimento dell’altro.

Comportamento di regime su un argomento quale il paesaggio su cui il mandato dell’elettorato di centrosinistra non era quello delle Delibere approvate a marzo dalla giunta Pigliaru e sul merito delle quali articoli ed iniziative ne stanno stigmatizzando il contenuto all’insegna del consumo del suolo, della cementificazione, del rilancio di attività inquinanti e dannose per la salute dei cittadini.

La preoccupazione dei sardi per paesaggio, suolo, ambiente dell’isola segna l’inconciliabile distanza che si sta creando tra la giunta di centro sinistra ed il suo popolo di cui i recenti esiti del Referendum e delle Amministrative sono spia preoccupante.

Speriamo tutti che il presidente Pigliaru revochi le Delibere in questione ed estenda il PPR alle zone interne evitando di trasformare la terra che doveva essere la più istruita ed ambientale dell’Europa in una piattaforma gasiera e con una densità di cemento sulle coste senza eguali. Di seguito pubblichiamo un contributo dell’arch. Alan Batzella ad integrazione della sua proposta di legge alternativa a quella della giunta Pigliaru, pubblicata qui di recente (NdR).

Si è registrato, da metà degli anni ’90, il diffondersi nella pianificazione comunale in molte Regioni di tecniche di pianificazione urbanistica in funzione maggiormente perequativa; prima di chiarire i concetti di perequazione è opportuno richiamare le ragioni che ne hanno giustificato la diffusione generalizzata nel resto del Paese. Si tratta di ragioni che è agevole cogliere se si volge lo sguardo ai tradizionali pilastri della classica pianificazione urbanistica, costituiti dagli standard, dalla zonizzazione e dalle localizzazioni.

Schematizzando e sintetizzando, queste ragioni possono individuarsi:

  • da un lato, nell’esigenza di ovviare alle criticità proprie della zonizzazione, in specie alle forti sperequazioni che la tecnica dello zoning determina tra le diverse classi dei proprietari fondiari, taluni avvantaggiati in maniera considerevole dalle scelte della pubblica amministrazione in ordine alla edificabilità dei suoli, altri invece impoveriti perché colpiti da disposizioni vincolistiche o comunque riduttive della capacità edificatoria.
  • ancora, nell’esigenza di consentire ai Comuni di disporre di aree pubbliche per servizi senza affrontare da un lato il carico finanziario necessario per l’attuazione di misure espropriative, dall’altro la conflittualità inevitabilmente conseguente al ricorso ai vincoli di inedificabilità e alle successive misure espropriative.

Possiamo poi aggiungere che il ricorso alla tecnica perequativa risponde anche all’esigenza della cosiddetta integrazione di funzioni edificatorie: ovvero la possibilità che coesistano nei medesimi spazi diverse forme di utilizzazione del territorio. L’obiettivo è quello di superare il rigido principio dello zoning monofunzionale che però, più che altro per applicazioni pedisseque connotate da scarsa cultura del progetto, si è rivelato spesso come elemento di rigidità pianificatoria.

Volendo quindi fornire una spiegazione, la perequazione è una tecnica urbanistica volta ad attribuire un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà che possono concorrere alla trasformazione di uno o più ambiti del territorio comunale, prescindendo dall’effettiva localizzazione della capacità edificatoria sulle singole proprietà e dalla imposizione di vincoli di inedificabilità apposti al fine di garantire all’amministrazione la disponibilità di spazi da destinare ad opere collettive.

Il che reca con sé che i proprietari partecipano in misura uguale alla distribuzione dei valori e degli oneri correlati alla trasformazione urbanistica: si supera, in tal modo, la discriminatorietà degli effetti propri della zonizzazione, e si consente al contempo, ed entro certi limiti, al Comune di disporre gratuitamente di aree pubbliche.

I concetti di perequazione e compensazione non sono però costituiti da criteri “scientifici” matematici e non confutabili, calabili apoditticamente e senza i necessari supporti applicativi in una legge urbanistica. Trattandosi di strumenti finalizzati a contenere la rendita con l’obiettivo di ridistribuire i valori fondiari sul territorio, pertanto con una intrinseca carica “politica”, ogni Regione ha provveduto a legiferare in proposito secondo le proprie esigenze e il proprio livello di cultura urbanistica.

Riteniamo pertanto deviante, inutile e ambiguo il criterio estremamente superficiale con cui sono stati introdotti nel ddl della Giunta regionale, calandoli dall’alto, quasi si trattasse di assiomi matematici per loro stessa natura non necessitanti di spiegazione o di dimostrazione, nè di regolamentazione e verifica delle finalità per cui sono stati inseriti.

Il meccanismo perequativo nella sua essenza di base è il seguente:

  • ciascun proprietario di un’area edificabile – seppur titolare del diritto di costruire – non può sfruttare in concreto il proprio diritto all’edificazione, e ciò in quanto l’area soggetta a perequazione non raggiunge il limite minimo dell’indice di edificabilità previsto; pertanto il proprietario sarà incentivato a procurarsi altrove la differenza volumetrica al fine di poter esercitare in concreto il proprio diritto all’edificazione.

Una prima distinzione concettuale va quindi operata tra perequazione ristretta e perequazione allargata.

  • La prima (ristretta) è riferita ai comparti oggetto degli strumenti urbanistici attuativi;
  • la seconda (allargata) è riferita tendenzialmente a tutto il territorio comunale individuato come trasformabile.

Nella perequazione ristretta (a posteriori o per comparti, di cui alla Legge Ponte n.765/1967, quindi ordinariamente già operativa nella disciplina urbanistica, anche se scarsamente nota persino a non pochi operatori del settore, tecnici o politici che siano) è identificato un insieme di aree di proprietà privata, che formano un comparto; all’interno di questo, a ciascuna area viene attribuita un’identica capacità volumetrica proporzionale all’estensione dell’area.

Contestualmente vengono individuate le aree destinate ai servizi ed opere di pubblica utilità. Successivamente il proprietario di un’area destinata a pubblici servizi od alla realizzazione di opere di interesse pubblico potrà autonomamente decidere di cedere senza corrispettivo in denaro tali aree al Comune, attualizzando i diritti edificatori assegnati direttamente a tale area a seguito della formazione del piano.

Tecnicamente il meccanismo consiste nell’assegnazione all’insieme delle aree, pur con diverse destinazione pubbliche e private, costituenti un comparto, un indice perequativo; ne consegue che i proprietari delle aree destinate all’edificazione privata dovranno ristorare i proprietari delle aree con destinazione pubblica, acquistando virtualmente da questi ultimi i diritti edificatori, che rappresentano una quota dell’indice fondiario, al fine di esercitare concretamente il loro diritto ad edificare. Il privato non subisce un vincolo e non è gravato dall’obbligo di soggiacere all’esproprio, ma sarà titolare dell’onere previsto dal piano perequativo il cui assolvimento gli permetterà di partecipare ai vantaggi del piano stesso.

In questo tipo di perequazione, assumono rilievo sia la figura del Comparto edificatorio, che costituisce pertanto l’unità di intervento perequativo, ricomprendendovi sia una zona edificabile sia una zona preordinata ad ospitare attrezzature collettive o, fuori dal comparto, comprendenti aree destinate in funzione ambientale a rimanere verdi o a costituire un demanio pubblico, sia la necessità di ridistribuire le aree fra i proprietari e il Comune con la Ricomposizione fondiaria (o particellare-catastale).

All’interno del Comparto sarà ancora una volta fondamentale l’atto di ricomposizione fondiaria, ordinariamente messo in essere negli attuali Piani di lottizzazione convenzionata, grazie al quale ad ognuno vengono restituite le proprietà in forma di lotti fondiari che, per quanto diminuite di superficie per la cessione delle aree ad uso pubblico, mantengono la stessa potenzialità volumetrica originaria (con ciò si effettua il passaggio dall’indice territoriale all’indice fondiario).

Tale modello consolidato, nel disegno di legge da noi proposto presenta una variante di un certo rilievo, che è quella che prevede l’edificabilità attribuita anche ad aree esterne al comparto (pure se non contigue), le quali possono contribuire alla trasformazione dello stesso (perequazione ad arcipelago).

In questo caso l’edificabilità convenzionale attribuita alle aree esterne, di cui si richiede la conservazione per la realizzazione dei servizi, viene spostata all’interno del comparto determinando una capacità edificatoria aggiuntiva, mentre la perequazione degli oneri viene ripartita tra tutte le aree esterne o interne ad esso. L’utilità di questo sistema si esprime con la possibilità immediata di “liberare” aree vincolate negli ambiti urbanizzati (Centri storici e zone di Completamento), che possono così entrare a far parte senza esborsi del demanio comunale compensandone l’acquisizione con diritti edificatori da impiegare nei Comparti preventivamente individuati.

La perequazione estesa, prevede a sua volta l’assegnazione ai cosiddetti fondi sorgente di una dotazione volumetrica sotto forma di diritto edificatorio cedibile ai terzi. Il Piano operativo si limita pertanto a prevedere all’interno delle aree di trasformazione due macrocategorie di fondi:

  • aree trasformabili con i Piani attuativi
  • aree destinate a costituire un demanio comunale di aree, da utilizzare per ulteriori servizi, per verde ambientale o per la realizzazione di edilizia sociale.

L’utilizzo del diritto edificatorio che spetta ad un’area non suscettibile di trasformazione secondo le indicazioni del pianificatore potrà avvenire su un altro fondo detto accipiente, scelto tra le numerose aree di atterraggio previste dal Piano operativo. Non vi è la predeterminazione della destinazione dei diritti edificatori, ma il Piano si limiterà a prevedere che ogni trasformazione sia il risultato di un atterraggio di diritti edificatori che si uniranno alla dotazione intrinseca di edificabilità dell’area, di per se stessa insufficiente a consentire la trasformazione dell’area in conseguenza dell’indice  di edificabilità territoriale estremamente basso attribuito in fase di formazione del Piano strutturale a tutte le aree di trasformazione.

Volendo distinguere tra cessione perequativa e cessione compensativa:

  • la prima (perequativa) è alternativa all’espropriazione perché non prevede più l’apposizione di un vincolo preordinato all’esproprio sulle aree destinate ai servizi pubblici, ma prevede che tutti i proprietari, sia quelli che possono edificare sulle loro aree sia quelli i cui immobili dovranno realizzare la città pubblica, partecipino alla realizzazione delle infrastrutture pubbliche attraverso l’equa e uniforme distribuzione di diritti edificatori indipendentemente dalla localizzazione delle aree per servizi e viabilità e dei relativi obblighi nei confronti del comune; la cessione perequativa si caratterizza così per il fatto che il terreno che sarà oggetto di trasferimento in favore dell’amministrazione sviluppa volumetria propria (espressa appunto dall’indice di edificabilità territoriale che gli viene attribuito), che, però, può essere realizzata solo sulle aree su cui deve concentrarsi l’edificabilità (aree alle quali è attribuito un indice urbanistico -l’indice fondiario- adeguato a ricevere anche la cubatura proveniente dai terreni oggetto di cessione per strade, servizi e la costituzione del demanio comunale di aree);
  • la seconda (compensativa) invece si caratterizza per l’individuazione da parte del pianificatore di aree destinate alla costruzione della città pubblica rispetto alle quali l’amministrazione non può rinunciare alla facoltà imperativa e unilaterale dell’acquisizione coattiva delle aree, in quanto facenti parte del territorio già urbanizzato. In queste aree il Comune appone il vincolo di destinazione e con il Piano operativo dà corso all’immissione in possesso delle aree ristorando il proprietario con l’attribuzione di crediti compensativi o aree trasformabili in permuta in luogo dell’indennizzo pecuniario; la cessione compensativa, pertanto, prevede la corresponsione di un corrispettivo (per la cessione) in volumetria (diritto edificatorio) anzichè in denaro, come avverrebbe tanto nel caso in cui l’area fosse acquisita bonariamente quanto nel caso venisse espropriata.

La questione dei Diritti edificatori.  Chiarite le differenze tra perequazione propriamente detta e compensazione, è utile segnalare che le stesse presentano un comune denominatore costituito dall’attitudine a generare diritti edificatori.

Si tratta dei diritti edificatori cui ha ora riguardo l’art. 5, comma 3, D.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106 (c.d. decreto sviluppo), laddove dispone che, «per garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori, all’articolo 2643, comma 1, del codice civile, dopo il n. 2, è inserito il seguente comma:

            2-bis) i contratti che trasferiscono i diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni urbanistiche ad essi relative“.

Allorché l’amministrazione ricorre alle misure citate si registra una separazione della capacità edificatoria dalla proprietà del terreno da cui la stessa ha origine, divenendo tale capacità qualcosa di trasferibile e negoziabile.

I diritti edificatori attribuiti ad un soggetto in seguito a perequazione, incentivazione o compensazione della cessione di aree al Comune si connotano, infatti, perché rimangono svincolati dal fondo potendo verificarsi che al momento dell’attribuzione della volumetria il beneficiario dei diritti edificatori non sia proprietario di altro suolo su cui sfruttare la volumetria attribuitagli, avendo già ceduto al comune l’area di sua proprietà e dovendosi pertanto limitare a mantenere i diritti edificatori in vista di un acquisto futuro.

Da questo angolo visuale l’innovatività degli istituti urbanistici della perequazione, compensazione ed incentivazione sta nel fatto che i diritti edificatori dagli stessi generati sono autonomi ed idonei in quanto tali ad essere oggetto di negozi giuridici, senza un collegamento diretto con l’area di provenienza o destinazione; con la precisazione che se nell’ipotesi di perequazione c’è un collegamento diretto tra diritto e terreno legato alla zonizzazione del Piano, nell’ipotesi di compensazione e di incentivazione può mancare il rapporto diretto essendo il diritto edificatorio attribuito dall’amministrazione quale corrispettivo per la cessione di un’area o in seguito ad un intervento di riqualificazione, non costituendo quindi qualità intrinseca dell’area stessa.

E’ ovvio, all’interno di un corretto e coerente quadro pianificatorio, che questi diritti non possano essere spalmati a volontà ovunque decida autonomamente il detentore, rischiando così di scombinare gli equilibri di piano così faticosamente individuati, ma sarà lo stesso Comune, con il Piano operativo a decidere su quali zone, e con quali modalità e tempi, queste quantità edificatorie da virtuali possano materializzarsi calandosi in comparti già predisposti a tale evenienza.

 

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