A proposito di Turismo e di Paesaggio (2) [di Alan Batzella]

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Pubblichiamo la seconda parte di un intervento sul rapporto tra pianificazione urbanistica, paesaggio e turismo. Una cronistoria della relativa legislazione perché sia chiaro che l’”opzione turismo” si deve fondare su norme rispettose del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” e del PPR del 2006 che ne discende. Non pare essere l’indirizzo della giunta Pigliaru come si evince dal Disegno di legge sull’urbanistica e dalla Legge sul turismo. Per un modus operandi adeguato è giusto riandare al modo in cui la Regione Sardegna ha normato le cosiddette zone turistiche, avulse  da qualsiasi dimensione paesaggistica. Ha privilegiato fino alla cosiddetta Legge salvacoste  e al PPR una dimensione compartimentata e,  in molti casi, distruttiva dei valori garantiti dall’art.9 della Costituzione. Eppure già dagli anni 70 si registrano interventi critici su scelte che fondavano il futuro della Sardegna su cemento e chimica di base. Scelte trasversali che hanno svenduto metà delle coste sarde ad un’edilizia spesso di cattiva qualità e comunque invasiva e di pura speculazione. Ricordiamo per tutti  Antonio Cederna sul Corriere della sera e  La Nuova Sardegna  che denunciava  anche la localizzazione degli stabilimenti petrolchimici in aree pregiate dal punto di vista ambientale e storico. Porto Torres, Santa Gilla, Portovesme raccontano come è andata. Ecco perché riflettere sul passato serve per evitare gli errori di oggi. (N.d.R.)

Nel  1976 la Regione sarda ha emanato la Legge contenente “Norme provvisorie in materia urbanistica e misure provvisorie di tutela ambientale” (abrogata e sostituita dalla L.R. 19 maggio 1981, n.17 “Norme in materia urbanistica“, a sua volta abrogata e sostituita dalla L.R. 22 dicembre 1989, n.45 “Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale“), con la quale, definendo genericamente i valori che determinano la vocazione turistica delle zone qualificate come “F, turistiche“, veniva fatto obbligo ai comuni costieri di predisporre un piano organico che consentisse un’armonica localizzazione delle attività economiche sul territorio.

Secondo quanto disposto in quella Legge, “nelle Zone territoriali omogenee d’interesse turistico è obbligatoria la lottizzazione per subzone omogenee dimensionate dall’Amministrazione comunale tramite uno Studio di disciplina del territorio esteso all’intera zona F“.  Gli obiettivi da raggiungere, secondo quanto illustrato nella Circolare assessoriale contenente i criteri per la redazione degli Studi di disciplina, dovevano essere i seguenti:

  1. verifica ed eventuale ridimensionamento, alla luce d’indagini più approfondite sul territorio interessato, delle zone F previste dagli strumenti urbanistici generali;
  2. conservazione dei valori paesaggistici, morfologici e florofaunistici del territorio interessato;
  3. salvaguardia e valorizzazione di tutti i valori socio culturali presenti con particolare riferimento alle zone d’interesse storico, archeologico e speleologico;
  4. garanzia della pubblica fruibilità per le parti del territorio più appetibili all’utenza (fasce costiere, boschi, zone interessate da complessi storici, archeologici, golene di fiumi, ecc.);
  5. coordinamento dei piani di lottizzazione già attuati o da attuare in relazione principalmente alle aree verdi ed agli spazi pubblici attrezzati;
  6. individuazione delle aree per i servizi e le attrezzature per le zone compromesse dall’edificazione;
  7. traslazione dei volumi dalle zone particolarmente emergenti allo scopo della tutela del paesaggio e della migliore fruizione della risorsa.

Oltre a contenere un appropriato apparato esemplificativo di cartografie analitiche, da predisporre preliminarmente alla redazione dello stesso Studio di disciplina, la Circolare esplicativa aggiungeva “Nel momento redazionale dello Studio, considerato che il turismo è un’attività economica suscettibile di essere sviluppata soltanto entro limiti imposti da un bilancio delle capacità territoriali, devono tenersi presenti alcuni fattori base che possono riassumersi in:

  • attrazione turistica, intesa come l’insieme degli elementi che concorrono ad individuare una zona come ambito territoriale privilegiato;
  • fattibilità economica degli interventi in relazione alle fonti energetiche, idriche ed alla possibilità di infrastrutturazione, tenendo in debito conto anche il bene risorsa territorio;
  • disponibilità di forza lavoro locale nel settore turistico.”

La Circolare aggiungeva ancora: “Il primo attento esame va pertanto condotto sulla principale risorsa costituita dalle aree disponibili e sul carico urbanistico che dalle medesime può essere sopportato, tenendo presente che nel fattore attrazione turistica è contenuto un limite all’edificabilità, oltre il quale vengono meno le caratteristiche fondamentali che avevano portato alla classificazione delle aree in zone di interesse turistico”….. “Per quanto riguarda l’ampiezza delle aree da destinare ad insediamenti turistici, si dovrà tener conto, oltreché della suscettività del territorio interessato, dell’attendibilità e dell’entità di eventuali concrete iniziative nel settore, anche della loro fruibilità in relazione alle caratteristiche orografiche, al fine di determinare la capacità insediativa massima”.

“Per quanto riguarda le zone costiere, l’elemento che definisce, in prima approssimazione, la capacità insediativa è dato dalla morfologia e dallo sviluppo della costa in relazione alla profondità della fascia litoranea destinata ad accogliere i bagnanti. In particolare è opportuno far riferimento, ai fini della determinazione della ricettività massima, ai seguenti parametri:” (così come risultano dopo le modifiche apportate dal successivo decreto n.2266/U del 20.12.1983 (Decreto Floris):

  • 2 posti bagnante/ml per costa sabbiosa la cui fascia abbia una larghezza superiore a 50 m.;
  • 1,5 posti bagnante/ml per costa sabbiosa la cui fascia abbia una larghezza compresa tra 50 e 30 m.;
  • 1 posto bagnante/ml per costa sabbiosa la cui fascia abbia una larghezza inferiore a 30 m.;
  • 0,5 posto bagnante/ml per costa rocciosa”.

 “La capacità ricettiva come sopra determinata deve ritenersi un vincolo permanente, in quanto elemento modificabile soltanto con interventi che richiedono notevoli investimenti ed alterazioni ecologiche. Tale capacità massima dovrà essere verificata ed eventualmente ridotta alla luce delle possibilità edificatorie dettate dalla orografia e dalla necessità di salvaguardare preesistenze paesaggistiche, ambientali e culturali in genere”.

 Questi parametri furono, come è noto, dimezzati dalla Legge regionale n.8/2004, la “Salvacoste” anche perché  non sempre gli Studi di disciplina sono stati in grado di preservare le nostre coste la cui cementificazione di quella fase è sotto gli occhi di tutti. Se ciò è avvenuto è da addebitarsi comunque  alla dimensione economica e politica degli interessi in gioco; all’inadeguatezza degli strumenti di controllo della Regione ma anche a ragioni culturali: un atteggiamento predativo sulle coste sarde di molta imprenditoria.

E’ noto che con l’approvazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio lo scenario è totalmente cambiato perché da questo è disceso il PPR del 2006 che, notoriamente, è legge costituzionale sovraordinata che individua nel paesaggio, nella sua conservazione e manutenzione un rango anche economico. Si fonda infatti su un’idea di sviluppo realmente sostenibile. Un capovolgimento di paradigma in cui l’economia turistica è chiamata a rivestire un ruolo decisivo.

Ecco perché nella nuova Legge urbanistica lo stesso concetto di “zona turistica” vada radicalmente rivisto in base a più adeguati criteri di classificazione e pianificazione da prescrivere in tutti i Piani urbanistici. Accorte linee guida di iniziativa pubblica preliminari alla pianificazione esecutiva, se accuratamente gestite e verificate nelle fasi di realizzazione, potrebbero infatti evitare il dilagante disordine urbanistico che si riscontra nella scala comunale e sovracomunale. 

Strategica risulta pertanto, ai fini del discorso sulla programmazione turistica, l’elaborazione a priori della capacità che ha l’ambiente considerato di sopportare il carico urbanistico generato da queste attività, in termini di ricettività, servizi connessi, mobilità e conservazione dell’ambiente. Relativamente allo standard costiero, rimodulato insufficientemente  dal ddl sul governo del territorio proposto dalla giunta Pigliaru,  si devono avere parametri più confacenti alle caratteristiche funzionali e fisionomiche degli ambienti costieri più delicati e non più attinenti quindi al solo sviluppo metrico della fascia costiera.

E’ da sottolineare è che, per una gestione ecosostenibile del territorio nella sua totalità, al pari dell’insediabilità turistica risulta strategico e irrinunciabile che i Piani urbanistici comunali siano preceduti da un serio dimensionamento della popolazione e del patrimonio edilizio presente e futuro, fatto in termini statistici e sociologici attendibili, e non più con le abituali proiezioni dilettantesche, elaborate generalmente per dimostrare  a posteriori assunti “espansivi” già decisi a monte, ma legando ad esso ogni previsione di trasformabilità di nuove aree insediative e produttive.

 

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