ll paese in cui i giovani sono in via d’estinzione [di Francesca Sironi]

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L’Espresso 9 agosto 2017. La provincia che ha la più bassa percentuale di abitanti dai 18 ai 30 anni in Italia è Ferrara. Il comune che detiene il record negativo si chiama Lagosanto. Lo specchio dell’Italia che invecchia, che non investe sui ragazzi, che li lascia scappare, o diventare “Neet“.

Fra politica, chiusura, e declino, la voce di chi resta. Giovedì sera all’interno del bar Centrale La strada avanza in bilico sugli argini, una crepa nell’asfalto a ricordarne la precarietà sulla palude. «Che l’uomo s’addormenti, per così dire, un solo istante, ed in pochi anni troverassi affogato», annotava un geografo nel 1831: «o almeno costretto ad abbandonare il suolo che lo vide nascere». Quell’abbandono adesso è in corso, ma non è dovuto al fango. È un esodo volontario, e inarrestabile. Di giovani.

La provincia di Ferrara ne è diventata un deserto: il territorio in cui si contano meno giovani in assoluto in Italia. Solo un abitante su 10 ha fra i 18 e i 30 anni. I futuri ventenni hanno smesso di nascere, quelli attuali se ne vanno. La fuga all’estero sovrapposta al declino demografico è uno dei problemi più gravi dell’ultimo decennio per tutta la nazione. Queste terre basse ne rappresentano allora il campione perfetto, lo specchio proiettato al futuro. Il ripiegamento qui raggiunge il record in un comune chiamato Lagosanto.

All’ingresso del paese una rotonda sfiora le camere dismesse di un albergo. Inaugurato dieci anni fa, è stato hotel di lusso, poi centro congressi, quindi polo socio-sanitario. È fallito. Hanno rubato tutto, compreso mezzo quintale di rame. Ora è in vendita, promessa di sviluppo passata velocemente all’incanto: l’asta si terrà per l’estate. Dall’altro lato di un campo l’Ospedale del Delta accoglie pazienti da tutta la foce del Po. Non più le partorienti, però: dal 2017 il punto nascita «lontanissimo ormai dai 500 parti/anno» è stato trasferito a 36 chilometri, più in dentro, verso il centro e il capoluogo. Due palazzi, un presente. Il declino in ferro e cemento rimane circondato dalla campagna.

La curva verso Lagosanto venne fotografata da Luciano Ghirri trent’anni fa. L’orizzonte ha lo stesso ininterrotto cielo di allora, lo stesso odore di concime giallo mais. Nel frattempo però il Pil pro capite in Emilia Romagna è aumentato, fermandosi più nella vicina Bologna – fra le province più ricche d’Italia – che nel ferrarese, dove la disoccupazione è alta, ma resta inferiore alla media nazionale. C’è una zona industriale, e soprattutto il più grande impianto di trasformazione alimentare d’Europa. La città “Conserve Italia” di Valfrutta, Cirio et al. si spalanca fra il comune e il mare, fra la piazza e i vicini ombrelloni dei lidi sull’Adriatico.

«A Lagosanto ci sono sei bar, quattro pizzerie, tre supermercati, due forni, una farmacia», elenca Tiziano. Ma non ci sono giovani. I ventenni sono soltanto l’otto per cento della popolazione di cinquemila abitanti. Tiziano e Riccardo sono ciò che non c’è. Hanno l’età in via d’estinzione, 18 e 22 anni, gli occhiali da sole anche di sera o dentro al bar. Il loro bar è il “Centrale”, grande, sulla piazza, proprietà cinese da circa cinque anni. Anche qui il “bar-sport” ha infatti cambiato gestione e capitali, cinesi, rimanendo però il cuore della comunità. «Quando riesci a scappare scappi», dice Tiziano ordinando un caffè: «Qui non c’è un posto dove possiamo stare senza avere “l’altra età” vicino».

Dentro al bar “l’altra età”, ovvero gli anziani, gioca a carte. Non vogliono saperne né dei ragazzi né di parlare dell’argomento. «Andatevene da un’altra parte, a chiedere, qui non c’è niente da vedere». «Abbiamo cinque centri di aggregazione giovanile, nel Delta del Po. Quello di Lagosanto è l’unico che deve condividere la sede con l’Auser, il centro sociale per over70» mostra su una mappa Arianna, educatrice di una cooperativa sociale che abita a poche strade dal bar.

La Germania vive un declino demografico simile al nostro. «Ma al contrario dell’Italia ha deciso di investire sui ragazzi, di non lasciarli alla deriva. Ha compensato la perdita in numeri con il potenziamento in qualità. Perché si è resa conto presto che un paese che vuole crescere deve per forza dare più peso e più spazio ai suoi giovani», riflette Alessandro Rosina, professore di demografia, uno dei più stimati del settore.

Berlino, spiega, ha deciso per questo di spendere di più sulla formazione professionale, sulle politiche attive per il lavoro, sulla ricerca. Tre settori in cui Roma investe molto meno della media europea. La Germania di più. Risultato: «Non solo abbiamo pochi giovani. Ma abbiamo la più alta percentuale, dopo la Grecia, di ragazzi che non studiano e non lavorano, di scoraggiati. Oltre a un saldo negativo verso l’estero», perché chi può scappa, come dice Tiziano. È la spirale negativa di un presente bloccato.

«Non ci rendiamo conto che significa non avere mattoni – economici e sociali – per sostenere la casa di tutti», conclude Rosina. E anziché una risorsa, in una nazione che invecchia, i giovani necessari a sostenerla diventano una noia, un fastidio. «D’estate qui era pieno di gente. Avevamo le discoteche ai lidi, posti dove andare a ballare», raccontano Mauro, parrucchiere, 33 anni, jeans chiari, e Fabio, 42, che ha frequentato le elementari a Lagosanto quando le sezioni arrivavano alla F.

Ora si fermano alla B: «Ma hanno chiuso tutti i locali in zona. Perché? Perché hanno costruito sulla spiaggia seconde case e multiproprietà che sono state vendute a pensionati. E gli anziani non volevano musica e rumore». Il divertimento non è certo importante quanto il lavoro. Ma è un’altra spinta a partire. «Ci stiamo addormentando», riflettono i due amici.

L’unica corriera per Ferrara, da Lagosanto, è alle sei e mezzo del mattino. Riccardo, che ha l’auto, quando cala la nebbia evita il raccordo a due corsie che collega alla città. Perché ci sono troppe buche, e non si fida. Sulle strade provinciali, per mancanza di manutenzione, hanno ridotto ancora il limite di velocità. La nebbia qui è un muro implacabile. Al suo arrivo, il paese si richiude. Scompare. «Io andrei in Spagna, a Tenerife, a vivere», dice lui: «Appena avrò i soldi partirò». Partono tutti. Non solo i “cervelli“, i migloiri, i talenti   che non hanno trovato merito a casa. Partono anche i ragazzi che preferiscono fare i camerieri a Tenerife piuttosto che a Ferrara.

«Abbiamo l’obbligo di assumere laureati per i servizi educativi», racconta Arianna della cooperativa: «E non ne troviamo. Non ce ne sono disponibili nel territorio». Altro specchio di un futuro opaco che riguarda la nazione. Il sindaco di Lagosanto, Maria Teresa Romanini, è infermiera caposala all’Ospedale del Delta, dove sempre più reparti sembrano sotto minaccia di trasloco.

Ha 44 anni, è cresciuta qui. «Ho avuto questa fortuna: trovare lavoro dove ho la mia comunità, i miei amici». Sua figlia ha diciott’anni e andrà a studiare a Forlì. «Chi ha avuto la possibilità è andato via», commenta, diretta: «Chi non l’ha avuta si sta adeguando a questa situazione di disagio». Adeguarsi. Movimento nazionale, anche questo: Rosina parla della «tendenza dei giovani ad adattarsi, in Italia, a cercare una via di fuga individuale, anziché diventare motore collettivo».

Lagosanto, mostra il sindaco, è uno dei “municipi” più antichi dello Stato. Esiste ininterrottamente dal 1013, dai tempi delle crociate, da prima di Barbarossa. Per risparmiare oggi mantiene la polizia municipale in condivisione con i comuni vicini. Così spartiscono le spese dell’auto di servizio. I carabinieri invece sono stanziali. Ma negli ultimi due mesi hanno avuto molto da fare con i turni per l’inseguimento di Igor/Ezechiele.

Il “killer di Budrio” si era nascosto infatti fra questi fossi dopo i due omicidi, prima di riuscire a scappare. È in questa zona che lo stato d’emergenza militare per la “caccia” all’uomo è stato salutato con entusiasmo dai residenti. Gli abitanti, nonostante i dati sui crimini bassi e in diminuzione, chiedono sempre più sicurezza. Sintomo, ancora, dell’età sociale. L’Istat lo ricorda da tempo: la percezione d’insicurezza aumenta fra gli anziani, diminuisce fra giovani e adulti. È statistica. È politica.

Questa è la stessa terra delle barricate di Goro. Ad ottobre del 2016 gli abitanti del piccolo comune del Delta bloccarono l’unica strada d’ingresso al paese per impedire l’arrivo di un pullman con un gruppo di richiedenti asilo, fra cui donne e madri. Nella frazione di Gorino, patria internazionale dei vongolari, fra Porsche e casupole di pescatori, tutt’ora non si vede un rifugiato.

Nemmeno a Lagosanto è stato trovato un solo appartamento da dedicare all’accoglienza nel momento di massima emergenza per gli sbarchi. «Non ho edifici comunali agibili e la comunità non ha dato disponibilità», taglia corto il sindaco, pure di centrosinistra. Federico Menegatti, consigliere d’opposizione per i 5 stelle, su questo non contesta. Anzi. «Gli stranieri? Vengono con le corriere da Ferrara a fare accattonaggio, e non pagano il biglietto», commenta, e chiude il tema.

Menegatti ha trent’anni e vive con i genitori in una villetta bianca. La sua passione sono le macchine – è abbonato alla rivista TopGear – e la politica: «Ho iniziato nel 2011 a seguire Grillo. Prima c’era il meetup, ora è un gruppo di simpatizzanti. Ho preso molti voti da tanti delusi dal centrodestra». Per la presenza in consiglio comunale riceve nove euro lordi a gettone. È un consigliere attento e presente: è lui ad aver denunciato gli sprechi dell’asilo comunale, ad aver elaborato proposte per ottimizzare i costi dell’amministrazione.

Ha studiato Economia a Ferrara, fatto il bagnino d’estate, provato ad aprire una ditta di import/export con una compagna di classe cinese. Ora collabora con un imprenditore brianzolo («che per salvare l’aziendain Italia soffochiamo di tasseaveva esternalizzato in Albania»), con cui vuole costruire un centro di ricerca sui materiali innovativi a Ostellato, qui vicino. Il suo sogno sarebbe portare sviluppo alla sua terra.

Che è una terra fertile. Campi, frutteti e vivai si alternano continui lungo la linea dritta degli argini, fra le schiene curve a raccogliere. Il suolo basso è coltivato da donne. Braccianti polacche e rumene assunte attraverso agenzie interinali pagate in media cinque euro l’ora, spiega Dario Alba, referente locale della Cgil, presente ogni venerdì per il patronato a Lagosanto. Sono donne che vivono nei container per il periodo necessario alla raccolta e poi tornano a casa.

Ma Alba ha urgenza di parlare anche d’altro. «Non mi chiedi dell’invecchiamento della popolazione?», domanda: «Perché io una risposta ce l’ho». E inizia a elencare: «ho 33 anni, mia moglie 29, siamo fortunati a lavorare entrambi. Lo stipendio medio a Ferrara è di 1.300 euro. Paghiamo 700 euro a rata di mutuo; 500 euro al mese di asilo nido, più 5,16 di pasto al giorno. Ma come fai a fare figli? Un ragazzo che lavora in agricoltura, come se lo permette? Le visite mediche per la gravidanza, se non stai attento, come ho fatto io, finiscono per costarti tremila euro, è andata così a un mio amico; e il latte, se non puoi allattare, e giuro che ho controllato tutti i negozi, costa 18 euro per tre giorni. Per fortuna ci sono gli stranieri, che forse nell’incoscienza i figli li fanno».

Aurelio Bruzzo insegna demografia all’Università di Ferrara. Di fronte a lui dispiega quello che definisce un «circolo vizioso» fra demografia e sviluppo. Un «trend estremamente negativo, in prospettiva. I dati lasciano intravedere una situazione drammatica». È preoccupato sul serio, il professore. «L’ultimo anno in cui la popolazione è cresciuta, in questa provincia, era il 1951. L’unica oggettiva speranza demografica sono gli immigrati».

Mentre il peso degli anziani sulle strutture sanitarie aumenta, l’abbandono dei giovani impoverisce le prospettive. E la politica non sembra aver intenzione di aiutare, anzi. È dal 1995, racconta Bruzzo, che si parla di due grandi infrastrutture per l’area, progetti entrambi finanziati, entrambi fermi. Eco di simili impasse nazionali arrivano da ogni parte. «Se entro i prossimi cinque o sei anni non cambierà qualcosa, non potrà esserci sviluppo», conclude.

Queste paure restano fuori dal bar Centrale. È lunedì pomeriggio, i tavolini all’aperto si riempiono. Fanta, motorini, cellulari, «ho visto due fighe imperiali arrivando», ride un ragazzo. Poi vede il blocco di appunti e chiama gli amici, «venite, che stanno misurando il tasso di giovinezza del paese». Nella compagnia hanno un amico di seconda generazione e una quindicenne arrivata dal Brasile. Hanno tutti gli stessi cappellini, le stesse ore su YouTube, le stesse gite all’estero per un festival, le stesse sere nelle stesse piazze.

Perché rimanete? «Si fa con quel che si ha», risponde Mattia, 18 anni, figlio unico, studente di Informatica. «Rimango qui perché ci sono i miei amici. Se me ne andassi, mi mancherebbero», aggiunge Lara, 20 anni. Simone, 22: «Perché ci sono nato ed è la mia casa. Non sento l’esigenza di andar via». Nicole, 17: secondo te, se i giovani se ne vanno, o non ci sono più, cosa succede a un luogo? «Lagosanto? Rimarrà così anche senza di noi». Marco Gadda ne ha 35 di anni, è sera: «Siamo in declino su tutto. Ma si sta bene».

 

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